Nell’Ucraina che si prepara alle elezioni un caso rimane irrisolto: il sequestro delle tre navi militari ordinato da Mosca e il destino degli oltre 20 prigionieri di “guerra” che vi erano a bordo. La Russia ha infatti esteso il periodo di detenzioni dei marinai e degli agenti del servizio segreto che in seguito allo scontro navale nel Mar d’Azov sono stati catturati e trattenuti dalla Guardia Costiera di Mosca.

Le tensioni tra i due Paesi che si contendono il diritto di navigazione attraverso lo stretto di Kerch sembrano essere uscite dai radar della stampa occidentale; l’escalation mai raggiunta ha portato l’attenzione distante dalla penisola della Crimea, ma resta che da novembre due dozzine tra marinai e agenti dei servizi segreti sono trattenuti dal governo di Mosca, lontani dalle loro famiglie, e solo lo scorso mese sarebbero apparsi per la prima volta in tribunale. Kiev ha dichiarato che il processo viola le Convenzioni di Ginevra, ma nonostante le reazioni internazionali vicine alle posizioni ucraine, Mosca non ha rilasciato i prigionieri, prolungando la loro detenzione senza comunicare notizie certe riguardo le dinamiche della loro liberazione.

I prigionieri, che sono stati ripresi mentre venivano scortati nel tribunale distrettuale di Lefortovsky a Mosca da militari russi in tuta mimetica, passamontagna sul volto e fucili d’assalto in spalla, dopo un periodo in Crimea sono stati tradotti nella carcere di Lefortovo, nella capitale russa. Il braccio di ferro tra in tribunali verte su quale considerazione la corte debba avere di questi 24 uomini: se considerarli civili, dunque violare la convenzioni di Ginevra, o considerali militari, quindi trasferire il processo al tribunale militare. In seguito a diverse udienze, i giudici russi hanno comunque ordinato che la detenzione preventiva venisse prorogata fino al 26 aprile, quando saranno passati esattamente sei mesi e un giorno dall’incidente che ha visto coinvolte due piccole motovedette trainate da un rimorchiatore all’interno dello stretto di Kerch per raggiungere la costa ucraina che affaccia sul Mar d’Azov e difendere le navi mercantili dal blocco navale russo.

“Siamo guerrieri per il nostro Paese”, dichiarano i marinai ucraini, rifiutandosi di rilasciare alcuna dichiarazione in tribunale all’infuori di nome e grado, appellandosi proprio alle linee guida delle convenzioni di Ginevra che protegge i prigionieri di guerra e concede loro il diritto di non divulgare alcuna informazione. Gli avvocati assegnati alla difesa stanno sostenendo una linea fondata sulla violazione da parte della Federazione russa del secondo articolo della Convenzione: che stabilisce che i Paesi sono vincolati dai trattati anche quando uno di loro non riconosce di essere impegnato in uno stato di guerra.

La Russia invece sembra determinata ad affrontare il caso non come un atto di guerra tra due marine militari belligeranti che si sono affrontate in uno scontro navale, ma come un semplice incidente commesso da semplici cittadini di una nazione ostile, e affrontare il caso come un processo criminale. “È già stato deciso su alcuni altissimi livelli che queste persone saranno considerate criminali comuni”, ha detto uno degli avvocati della difesa. 

Secondo quanto riportato dai media ucraini, sul tavolo sarebbe stata messa anche la possibilità di uno scambio di prigionieri avanzata da alcuni funzionari dell’intelligence di Kiev. Ma non si hanno notizie su quali e quanti prigionieri filo-russi il governo sarebbe in grado di “restituire” in cambio della liberazione dei marinai. Anche il presidente russo Vladimir Putin ha suggerito nella sua conferenza stampa di fine 2018 la possibilità di uno scambio di prigionieri, ma ha anche aggiunto che era troppo presto per concedere all’Ucraina questa possibilità, rimandando un’eventuale apertura alle trattative solo al termine del processo. Questo lascia pensare ad una mossa politica, congrua con la tattica di “congelare” l’accaduto fino a dopo le elezioni per screditare il presidente Poroshenko facendo leva non solo sul blocco navale, ma anche sulla vita dei marinai di Kiev che servono la causa della libertà di navigazione nell’Azov.