I talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan. Il ritiro degli Stati Uniti, lo scorso 31 agosto in concomitanza con l’uscita di scena di tutte le forze Nato impegnate in loco, ha sostanzialmente sancito la caduta del governo di Kabul. Il presidente Mohammad Ashraf Ghani Ahmadzai ha alzato bandiera bianca ed è fuggito all’estero, lasciando campo aperto all’avanzata del gruppo islamico che, nel giro di poche settimane, è riuscito a ipotecare un successo avvenuto con fin troppa facilità.
In ogni caso, mentre i talebani stanno pianificando come organizzare il loro nuovo esecutivo nella capitale afghana, c’è una piccolissima parte del Paese che continua a resistere. Stiamo parlando della Valle del Panjshir, una piccolissima valle appena a nord-est da Kabul – completamente circondata dai nemici – che raccoglie le ultime sacche di resistenza anti talebane rimaste in patria. Il capo dei talebani, Amir Khan Motaqi, ha invitato gli abitanti del Panjshir a deporre le armi. Ma, almeno per il momento, non ci sono segnali di resa. Anzi: i media hanno scritto che dozzine di combattenti talebani sono stati uccisi nel tentativo di assalire “roccaforte”.
La “casa” del Fronte di Resistenza Nazionale
Come riportato dalla Bbc, i talebani hanno lanciato un violento assalto contro le milizie presenti nella Valle del Panjshir. La situazione è estremamente fluida, nel senso che entrambe le parti affermano di avere la meglio sugli avversari. L’emittente sostiene inoltre che molti combattenti sarebbero rimasti uccisi. La sensazione è che, nelle prossime ore, i talebani lanceranno nuovi attacchi, fino a quando non riusciranno a conquistare l’intera valle.
Il Panjshir è diventata la sede del National Resistance Front (NFR), un gruppo composto da milizie ed ex membri delle forze di sicurezze afghane. Come ha sottolineato la Bbc, le immagini diffuse lasciano immaginare un gruppo organizzato, armato e ben addestrato. Come se non bastasse, all’NFR si è aggiunto anche l’ex vicepresidente Amrullah Saleh, mentre il leader del gruppo è Ahmad Massoud, figlio di Ahmad Shah Massoud, il Leone del Panjshir ucciso da alcuni assassini poco prima dell’11 settembre, e che negli anni ’90 è stato in grado di resistere all’assalto dei talebani.
Massoud jr adesso intende percorrere le orme del padre, sia cercando sostegno in patria che allacciando rapporti con leader stranieri (emblematico l’incontro con Emmanuel Macron, avvenuto all’inizio di quest’anno). “Preferirei morire piuttosto che arrendermi. Sono figlio di Ahmad Chah Massoud. Arrendersi non è una parola che si trova nel mio dizionario”, ha dichiarato Massoud nel corso della sua prima intervista da quando i Talebani hanno riconquistato Kabul. Arroccato tra le montagne dell’Hindu Kush, il Fronte di Resistenza si è organizzato al meglio per respingere la nuova ombra che minaccia il Paese. Da decenni, infatti, questa valle ha accolto la resistenza afghana. Prima contro i sovietici, poi contro i gruppi filo occidentali. E adesso contro i talebani.
L’obiettivo dei talebani
L’importanza della Valle del Panjshir è semplice da spiegare. Si tratta dell’unico e ultimo fazzoletto di terra dell’Afghanistan che ancora non è finito sotto il controllo dei talebani. Il gruppo islamico ha promesso che “l’Emirato islamico dell’Afghanistan diventerà la casa di tutti gli afghani“. Eppure la resistenza del Panjshir non sembra credere a una simile prospettiva.
La sfrontatezza e il coraggio degli uomini guidati da Massoud rappresentano un duro colpo per la narrazione talebana. Certo, i talebani e l’NFR hanno effettuato una negoziazione ma non sono riusciti a trovare accordi degni di nota. Intanto, ogni ora che passa la situazione è sempre più tesa.
I talebani sostengono di aver inviato nella Valle centinaia di combattenti, mentre l’agenzia AFP ha scritto che gli avversari dell’NFR che arriveranno ai margini della roccaforte saranno accolti da mitragliatrici fumanti e mortai. Chiaro il messaggio: Massoud e i suoi faranno di tutto per non cedere. Negli scontri a fuoco andati in scena tra le due parti, entrambi gli schieramenti hanno causato un numero imprecisato di vittime, anche se non ci sono dati ufficiali esatti.
Una valle strategica
Per stroncare la resistenza, i talebani starebbero cercando di tagliare le linee di rifornimento dell’intera vallata, con la speranza di costringere gli avversari ad arrendersi di loro spontanea volontà. Conquistare quest’area, infatti, significherebbe mettere le mani su tutto l’Afghanistan, ma anche stroncare la rimanente resistenza nazionale. Dal punto di vista dell’NFR, invece, il Panjshir è l’ultima trincea rimasta prima della definitiva capitolazione.
La battaglia è stata – e continua ad essere – molto ardua, a maggior ragione considerando le caratteristiche del Panjshir, formato da territori impervi e irregolari. Del resto stiamo parlando di una delle province più piccole dell’Afghanistan, che ospita dalle 150mila alle 200mila persone, nascosta da cime montuose alte fino a 3mila metri sopra il fiume Panjshir (dal quale viene il nome della Valle).
La Valle è un crogiolo di etnie diverse. La più numerosa è quella dei tagiki. Dal punto di vista storico, questo luogo è sempre stato noto sia per le sue gemme che per l’estrazione mineraria. “Abbiamo le armi di chi si è unito a noi e dei soldati dell’esercito che non si sono arresi”, hanno raccontato elementi di spicco del Panjshir. Tutti, nella vallata, sono pronti a combattere. Nei sette distretti in cui è suddivisa la provincia ci sono oltre 500 villaggi, pronti a resistere fino alla morte. La situazione resta tuttavia critica, perché l’avanzata dei talebani non si arresterà. Anzi: proseguirà con ancora più violenza.