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Annunciato per la serata di martedì, il presidente russo Vladimir Putin ha in realtà optato per un discorso nel cuore della mattinata russa. Il leader del Cremlino è apparso sugli schermi televisivi quando a Mosca erano da poco passate le 10:00 e ha subito pronunciato quella parola che un po’ tutti si aspettavano: mobilitazione. Ma dopo ha aggiunto un aggettivo che in qualche modo ha ridimensionato il tutto: la mobilitazione è infatti solo “parziale“.

Verranno richiamati alle armi i riservisti, ma non tutti. Solo coloro che hanno già esperienza militare o che hanno specifiche competenze militari. In totale, secondo il ministro della Difesa Sergej Shoigu, dovrebbero essere 300mila i russi che da qui ai prossimi giorni dovranno presentarsi nelle caserme in tutto il territorio della federazione.

La mobilitazione parziale di Putin

Non è stata dichiarata guerra, come invece prospettato la scorsa settimana all’indomani della disfatta russa nella regione di Kharkiv. Non è stata proclamata, per l’appunto, una mobilitazione generale. Putin ha scelto una via a metà: sarà sì una nuova fase della sua operazione speciale in Ucraina, ma non sarà un conflitto e le nuove mosse militari non incideranno sulla vita dell’intera popolazione russa. Almeno sulla carta.

La mobilitazione parziale inizierà comunque da subito. In particolare, chi verrà chiamato alle armi dovrà eseguire un periodo di addestramento. Si parla di una fase lunga almeno tre o sei mesi, le nuove truppe quindi non arriveranno sui campi di battaglia prima della fine dell’anno. Un periodo, a pensarci, non certo breve considerando le difficoltà di Mosca sul campo.

La mobilitazione riguarderà, ma sempre per l’appunto “parzialmente”, anche l’economia. Parte della produzione industriale infatti sarà dirottata verso l’indotto militare, con il compito di fornire da subito nuovi mezzi ai soldati che saranno inviati in Ucraina.

Altri dettagli sono stati letti dal ministro Shoigu, il quale ha parlato in televisione subito dopo Putin. Il titolare della Difesa russa ha fatto cenno, tra le altre cose, al numero delle perdite durante la prima fase dell’operazione in Ucraina, il quale si aggirerebbe intorno alle seimila unità. Ha quindi elogiato il lavoro svolto dalle truppe fino ad ora e ha specificato ulteriormente che non saranno inviati al fronte soldati di leva e studenti. Un modo per rimarcare la scelta di una mobilitazione “solo” parziale. Infine un’invettiva contro l’occidente: “Non stiamo combattendo contro l’Ucraina – ha detto – ma contro l’occidente intero”.

Una scelta conservativa?

Il discorso è andato in onda con un giorno di ritardo. Forse si voleva valutare al meglio la situazione, così come forse si voleva aspettare l’effettiva firma di Putin sul decreto che ha stabilito la mobilitazione parziale. L’unica cosa certa è che il discorso è stato preparato subito dopo l’ufficializzazione dei referendum nelle Repubbliche separatiste del Donbass e nei territori del sud dell’Ucraina occupati da Mosca.

Referendum che, come dichiarato dallo stesso Putin, “hanno il pieno appoggio di Mosca”. Ed è quindi impossibile non collegare il voto, organizzato tra il 23 e il 27 settembre, con la mobilitazione proclamata nelle scorse ore. I soldati che verranno addestrati e inviati in Ucraina, non saranno schierati in prima linea. Il loro principale compito dovrebbe riguardare la difesa dei territori attualmente in mano al Cremlino. Non quindi un attacco volto a riconquistare le zone perse con la controffensiva ucraina.

Si può quindi parlare di scelta conservativa. Blindare cioè che è stato già conquistato, rinforzando le esigue difese sul campo che rischiano, allo stato attuale, di patire altre controffensive ucraine, e annettere poi questi territori alla Russia. In modo da lanciare un avvertimento a Kiev e all’occidente: attaccare Kherson, Mariupol, il sud di Zaporizhzhia, Donetsk e Lugansk equivarrebbe non a una controffensiva ucraina, bensì a un’azione diretta contro il territorio russo. Con tutte le conseguenze del caso.

Mosca quindi sembra correre più verso la difesa che verso un nuovo attacco. La parola d’ordine adesso è consolidare quanto già preso nelle proprie mani dal 24 febbraio a oggi e respingere eventuali nuove sortite ucraine.

Il perché della scelta di Putin

Dopo la sconfitta a Izyum e nell’intero oblast di Kharkiv, anche in Russia si è iniziato a parlare delle difficoltà delle operazioni in Ucraina. Su Putin e sulle sue scelte sono arrivate molte pressioni di vario genere. Da chi ha premuto per l’inizio di una trattativa politica, a chi invece ha chiesto una vera e propria guerra con tanto di mobilitazione generale.

Il presidente russo ha forse scelto la via di mezzo. Da un lato dare risposte ai “falchi”, i quali non accetterebbero una linea politica vocata all’archiviazione dell’impegno militare in Ucraina, dall’altro ha espresso rassicurazioni a chi gli ha fatto notare che una mobilitazione generale avrebbe indispettito l’opinione pubblica.

Ma è anche probabile che Putin abbia semplicemente agito da solo, a prescindere dalle pressioni ricevute. Sapendo di come una sua scelta drastica avrebbe creato malcontento, in un verso o nell’altro. Tornare a mani vuote dall’Ucraina avrebbe avuto il significato di un’insanabile sconfitta. Meglio quindi, dalla prospettiva del Cremlino, parlare di obiettivi quasi raggiunti, di liberazione del Donbass e di difesa delle terre che vogliono entrare nella federazione. Il tutto senza mobilitare l’intera cittadinanza.

Un modo per salvare il salvabile sia in Ucraina che in Russia. Cosa implicherà questa scelta però lo si vedrà soltanto dopo i famigerati referendum.

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