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La controffensiva ucraina si sta trasformando e sembra avere momentaneamente paralizzato la Russia. I media raccontano di un Vladimir Putin furioso con i suoi sottoposti, pronto probabilmente a un nuovo “repulisti” all’interno dell’esercito, mentre i “falchi” premono per una mobilitazione generale o quantomeno per il pugno ancora più duro verso Kiev. Ma ora è il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ad avere in mano la possibilità di infliggere un colpo decisivo in questa fase della guerra, o quantomeno di mantenere per diverso tempo il controllo sull’inerzia della guerra. Perché la controffensiva – coordinata con le intelligence di Regno Unito e Stati Uniti, come ha confermato lo stesso New York Times – di fatto ha ribaltato i ruoli.

I numeri offerti da Kiev, almeno per il momento, delineano un quadro positivo per gli strateghi ucraini: la viceministra della Difesa, Hanna Malyar, ha parlato di 300 centri abitati di 3.800 chilometri quadrati di territorio tornati in mano ucraina in una settimana di operazioni. Certo non è un’affermazione di una fonte imparziale, ma incrociando i dati con le analisi occidentali e con le dichiarazioni che giungono da Mosca, si può affermare che l’esercito ucraino non solo è avanzato in modo netto, ma ora mette sotto pressione una compagine russa apparsa disorientata e forse sorpresa dall’assalto. Al punto che dal territorio russo al confine con l’Ucraina sono iniziate anche le prime evacuazioni dei civili.

Una situazione del tutto diversa anche solo rispetto a poche settimane fa, quantomeno prima che le truppe ucraine simulassero l’avanzata verso Kherson. Ma la domanda che ci si deve porre in questo momento è come l’Ucraina possa capitalizzare questa controffensiva sul fronte orientale. Perché se da un lato Kiev può ancora avanzare, dall’altro lato gli strateghi ucraini e atlantici sono consapevoli del rischio di un proseguimento dell’assalto in un territorio come quello del Donbass. E questo per almeno due ragioni. Una di carattere logistico, e cioè che qualsiasi esercito necessita di rifornimenti attraverso un corridoio sicuro e soprattutto garantito anche sotto il profilo quantitativo (oltre che qualitativo).

Anche gli esperti sentiti dal Wall Street Journal hanno sottolineato la necessità di bilanciare l’avanzata con la possibilità di ricevere rifornimenti, perché senza di essi, senza una vera catena logistica, potrebbe essere estremamente difficile mantenere le posizioni. La seconda ragione è invece di carattere diplomatico e, se vogliamo, anche strategico: finora l’avanzata ucraina si è concentrata su territori occupati dai russi ma ancora non considerati formalmente parte delle repubbliche separatiste di Donetsk o di Luhansk. La questione può apparire quasi paradossale, eppure non va dimenticato che la Federazione Russa ha riconosciuto le due repubbliche separatiste entro i confini delineati e avviato la cosiddetta “operazione militare speciale” per la loro sicurezza: quindi entrare in territori che Mosca ritiene ormai separati dall’Ucraina potrebbe essere quella giustificazione legale per un aumento delle truppe che fino a questo momento è stato in qualche modo limitato.

A questi dubbi si aggiunge poi quello che trapela da un recente articolo del Washington Post, in cui si teme che Putin, messo alle corde per questa offensiva ucraina, possa reagire in modo drastico o tagliando il gas di netto all’Europa o elevando il livello del conflitto: qualcuno torna a paventare anche l’ipotesi delle armi nucleari tattiche, per quanto ora più che remoto. Come spiega il Corriere della Sera, da Oltreoceano si pensa che il Cremlino, per evitare perdite economiche enormi, non tagli di netto il gas ai clienti europei, rappresentando un’incredibile fonte di guadagni. Tuttavia, ed è un punto interessante, fa riflettere che a Washington si voglia piegare Mosca ma senza giungere a una debacle repentina con Putin saldamente al potere. E quindi torna in auge il tema di come Kiev possa ottenere un guadagno definitivo da questa controffensiva.

Secondo alcuni osservatori, questo è il momento in cui Zelensky potrebbe di nuovo provare a trattare con Putin ma da una posizione diversa. Certo, una parte non irrilevante del territorio ucraino è in mano russa, ma in questa fase l’esercito nemico non appare in grado di risollevarsi. E anzi alcuni strateghi sottolineano che la ritirata russa potrebbe essere il sintomo di una prossima disfatta per la quale occorre sostenere ancora di più le truppe ucraine. Tuttavia, alcuni osservatori ritengono improbabile che Kiev riesca ad avanzare ulteriormente in autunno puntando addirittura alla Crimea o al Donbass senza reazioni feroci da parte di Mosca. E questa preoccupazione può far pensare a un futuro stallo nella guerra anche per le difficili condizioni climatiche dovute prima alla pioggia e poi al freddo dell’inverno: stallo che però aiuterebbe la Russia nel rafforzare le linee del fronte anche senza ricorrere a “tattiche estreme”. Non a caso Jim Stavridis, ex comandante supremo delle forze Nato, ha sintetizzato l’impegno occidentale come un lavoro per fornire agli ucraini “quello di cui hanno bisogno per essere nella posizione più forte possibile per negoziare”. Cosa che non equivale a pensare a una riconquista completa.

D’altro canto, sul fronte russo le sanzioni iniziano a mostrare i primi veri effetti, e gli osservatori segnalano che per la Russia e per la leadership del presidente potrebbe avviarsi presto una delle fasi più complesse della guerra. L’Europa appare ancora in grado di sostenere pienamente Kiev senza temere per l’interruzione del gas in arrivo dai giacimenti dello “zar”. E il fatto che Putin si rivolga nuovamente a Xi Jinping indica che il problema per il Cremlino è molto più complesso del previsto.

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