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Misogino, razzista, omofobo. In una parola fascista. Questa è la narrazione seguita dai media principali per caratterizzare il neopresidente del Brasile Jair Bolsonaro, tanto da meritarsi il nomignolo di “Bolso-nero”.

L’ex capitano dell’esercito brasiliano che ha fatto parte di un reparto di artiglieria prima e poi dei paracadutisti durante gli ultimi anni della dittatura militare che ha caratterizzato il Brasile dal 1964 al 1985 è stato dipinto come il Trump brasiliano, come l’esponente della peggior specie di populismo in salsa latinoamericana, come un “nero” – che di nero ha ben poco a ben vedere – in contrapposizione ai passati governi – questi sì – rossi di Lula e Dilma Rousseff.

Nel cortocircuito dei media progressisti anche uno come Bolsonaro, che è stato eletto grazie al consenso di una larga fetta di popolazione non rappresentata solamente dal ceto medio borghese brasiliano, diventa automaticamente fascista anche se i suoi programmi di privatizzazioni di stampo liberale, il suo progetto di avvicinamento anche militare agli Stati Uniti, di fascista in senso stretto hanno ben poco, anzi nulla. Ma tanto basta.

Il Brasile nella Nato?

Lasciando perdere i suoi programmi più prettamente rivolti alle questioni sociali e interne è interessante porre l’accento, per capire meglio il personaggio e dove andrà il Brasile di Bolsonaro, sulla sua politica estera ed in particolare sul delicato ambito della Difesa, che anche da quelle parti ha risentito della crisi e non naviga in acque felici come vedremo.

Le prime dichiarazioni del nuovo presidente del Brasile lasciano intendere infatti che lo Stato verde-oro guarderà agli Stati Uniti come a più di un faro economico e commerciale come ha ampiamente detto Bolsonaro in campagna elettorale.

Nei suoi piani, infatti, ci sono negoziati già avviati per installare una base militare americana nel nord est del Paese – come rivela Dagospia in un recente articolo – nella regione di Fortaleza e un accordo per la ricostruzione e l’utilizzo della base spaziale di Alcantara, usata per il lancio di satelliti.

Ancora più significativo per quanto riguarda il segnale del cambio di rotta del Brasile da Paese fondatore del sistema “Brics” verso un’economia – ed una visione strategica generale – più allineata all’Occidente è il suo possibile ingresso nella Nato, come ribadito dallo stesso ambasciatore Usa a Brasilia, Thomas Shannon, nominato da Obama ma mantenuto dall’amministrazione Trump.

Dietro questa proposta non c’è solamente la volontà di isolare sempre più il Venezuela di Maduro in modo da provocarne il collasso, che comunque, vista l’inflazione pesantissima e le condizioni socioeconomiche derivanti non dovrebbe tardare ad arrivare anche grazie alle manovre di Washington, ma soprattutto quella di poter strappare un Paese ricco di risorse – soprattutto di idrocarburi – come il Brasile dall’orbita di Mosca e degli altri Paesi emergenti come la Cina.

Sono sirene, quelle di Washington, che sicuramente avranno il loro effetto alle orecchie di Bolsonaro che si trova davanti una sfida non indifferente che consiste nel razionalizzare, modernizzare e implementare lo strumento della Difesa del Brasile, ed in quest’ottica gli Stati Uniti e i Paesi della Nato potrebbero essere partner privilegiati.

Le Forze Armate brasiliane tra crisi e necessità di rinnovamento

Le Forze Armate del Brasile sono oggetto di ambiziosi programmi di potenziamento e rinnovamento, spesso e volentieri però accantonati per mancanza di fondi a causa della recente crisi economica in cui versa il Paese a partire dal 2013.

La necessità del governo è sempre stata quella di affrontare le problematiche di quella che viene definita homeland security ovvero la sicurezza e stabilità dello Stato, che per il Brasile significa essenzialmente il controllo del suo vastissimo – e difficile – territorio ( basti pensare all’Amazzonia e all’enorme bacino fluviale del Rio delle Amazzoni) e la protezione dei giacimenti di idrocarburi nell’offshore dei suoi 8500 chilometri di costa che fanno da confine ad una Zona di Esclusività Economica che si estende per più di 3 milioni e mezzo di chilometri quadrati nell’Oceano Atlantico.

Esercito

La maggior parte dei programmi di ammodernamento per l’Esercito Brasiliano prende le mosse dal Projeto de Reesturação da Força Terrestre del 2002, poi ampiamente decurtato dal presidente Lula con la sua Estrategia Nacional de Defensa varata nel 2008.

L’Esercito, caratterizzato da una presenza capillare sul territorio brasiliano e da una complessa struttura di comando che è in via di snellimento, è composto da 235mila effettivi e da 1 milione 800mila riservisti a cui vanno aggiunti 400mila uomini della Policia Militar, un organo paragonabile ai nostri Carabinieri.

L’Esercito Brasiliano viene impiegato anche per il controllo delle aree urbane (favelas) sin dal 2010 e non solamente quindi, sul piano interno, per la costruzione di infrastrutture in zone difficilmente raggiungibili o per fornire assistenza sanitaria.

Nei recessi dell’Amazzonia, inoltre, è sempre l’Esercito ed in particolare le sue Forze Speciali, a condurre operazioni contro il narcotraffico e contro la deforestazione selvaggia utilizzando circa 30mila effettivi.

Nel Projeto de Reestruturação del 2002 i comandi sono passati da quattro a sette più un ottavo che si è aggiunto nel 2013 e l’obiettivo finale della riforma era quello di portare gli effettivi a 300mila ampliando notevolmente la componente professionale e mantenendo comunque una discreta quota di coscritti che effettuano servizio per un periodo di 9-12 mesi.

Le armi a disposizione dell’Esercito sono il riflesso della natura geografica del Brasile con le forze corazzate pesanti, solitamente la spina dorsale di ogni esercito Occidentale, relegate in secondo piano rispetto ad altri sistemi più leggeri.

Il Brasile dispone infatti di circa 500 Mbt (Main Battle Tank) costituiti da Leopard 1 e M-60 Patton. Due tentativi di dotarsi di un carro armato autoctono da 30 tonnellate fallirono miseramente: sia il Tamoyo che l’Osorio non ottennero nessun ordine di produzione.

Più fortuna ebbero due mezzi ruotati alquanto spartani ma dotati di sensoristica moderna prodotti dall’industria nazionale: il Cascavel e l’Urutu. Entrambi veicoli 6×6 il primo armato con un cannone da 90 millimetri e il secondo un Apc (Armored Personnel Carrier) in grado di trasportare 12 soldati completamente equipaggiati. Il Brasile ne ha acquistati rispettivamente 415 e 224 e sono stati impiegati in combattimento anche dall’Esercito Iracheno durante la Guerra del Golfo.

Riflesso della partnership nei Brics è anche l’acquisizione di sistemi di fabbricazione russa come gli Sa-18 Igla, un antiaereo e ancora di più l’acquisizione di tre batterie di sistemi mobili Pantsir S-1 (Sa-22 “Greyhound” in codice Nato).

I programmi di maggior interesse per l’Esercito nel quadro di rinnovamento sono quelli per la Mobilitade Estrategica che vede nell’autoblindo Guaranì il suo centro e il progetto “soldato futuro” in salsa brasiliana, denominato Cobra acronimo di Combatente Brasileiro do Futuro. Programmi che dovrebbero essere accompagnati da una profonda revisione della dottrina di impiego dei reparti, afflitti da duplicazione dei comandi e ridondanza di compiti.

In totale, considerando la globalità delle necessità dell’Esercito Brasiliano, i progetti di ammodernamento sono 823 suddivisi in 4 macro aree in due fasi: una intermedia sino al 2022 e una a lungo termine sino al 2030.

Aeronautica

La Força Aerea Brasileira (Fab) annovera circa 70mila uomini con 600 velivoli ad ala fissa o rotante. Il programma di ristrutturazione dell’aeronautica, varato tra il 2016 ed il 2017, prevede la riorganizzazione dei comandi, il taglio degli effettivi e un nuovo programma di acquisizione di velivoli multiruolo.

Nel piano di riorganizzazione si è giunti alla costituzione di un comando centrale delle Forze Armate e sebbene l’ex Presidente Lula avesse tagliato il programma F/X per l’acquisizione di un caccia di quarta generazione che andasse a sostituire la linea da caccia composta dai vecchi F-5 nelle versioni E e B si è giunti comunque di recente all’acquisizione di quello che andrà a costituire il caccia di punta dell’Aeronautica Militare brasiliana e anche della sua Marina Militare come vedremo: lo svedese Gripen E che ha battuto l’ultima gara (2008) che lo vedeva contrapposto all’F-18 Super Hornet e al francese Rafale.

Come sempre e per questioni finanziarie si sono accumulati ritardi nelle consegne del caccia che comincerà ad affluire ai reparti solo nel 2019 e la cui firma del contratto con la Saab è stata effettuata nel 2014. Contratto che vale circa 5,5 miliardi di dollari per 36 velivoli.

Ma il Brasile non intende fermarsi a questo primo lotto di cacciabombardieri. La finalità ultima sul lungo periodo è quella di sostituire entro il 2032 anche la linea degli Amx – prodotti dalla locale Embraer – sino a schierare un totale di 108 Gripen.

Per il momento però la difesa aerea è ancora affidata ai 36 F-5E e 6 F-5B mentre la componente da attacco al suolo è composta da 56 Amx – a fronte di un ordine iniziale di 79.

Per l’attività di Coin la Fab utilizza il Super Tucano della Embraer: ne dispone 33 in versione combat e 66 biposto per attività di addestramento.

In linea di volo troviamo anche i vecchi ma ancora affidabili – almeno per il teatro sudamericano – Lockheed P-3 Orion utilizzati come pattugliatori marittimi e con compiti antinave e antisom (sono infatti dotati di missili Harpoon). La Fab ne conta in registro 12 di cui 9 sono effettivamente in servizio attivo.

Anche la forza armata con le ali vede la presenza di materiale russo. Nel 2009 infatti sono stati acquisiti 12 elicotteri da attacco Mil Mi-35 “Hind F” (evoluzione del ben noto Mi-24) per una spesa di circa 150 milioni di dollari.

La ristrutturazione della Fab ha visto anche la razionalizzazione dei comandi, raggruppati sotto il nuovo Comando de Preparo (ComPrep) attivato nel 2017 e la riorganizzazione degli stormi, passati a 15 di cui sei già attivati.

Marina

La crisi economica ha colpito come una scure anche il più ambizioso tra i programmi di rinnovamento delle Forze Armate brasiliane: quello della Marina Militare.

Il Plano de Articulação e Equipamento da Marinha do Brasil (Paemb) prevedeva l’acquisizione, dal 2010 al 2047 di due portaerei, sei sottomarini nucleari, 15 sottomarini convenzionali, 4 navi da assalto anfibio tipo Lhd/Lpd, 30 navi di scorta (fregate e corvette), 12 pattugliatori (tipo Opv), otto cacciamine e altrettanti dragamine, cinque rifornitori di suqadra e due navi appoggio sommergibili. Le forze aeronavali invece dovrebbero acquisire 48 velivoli multiruolo (ottimisticamente il Gripen), otto aerei radar e altrettanti da pattugliamento marittimo e circa 206 nuovi elicotteri.

Numeri assolutamente impensabili per un Paese come il Brasile che è ancora attanagliato dalla coda della crisi economica; numeri che sono importanti anche per una media potenza come potrebbe essere la Francia o l’Inghilterra.

Lasciando perdere queste velleità che potrebbero però essere ripescate dal neopresidente Bolsonaro, la Marina Brasiliana, imperniata sulla forza d’alto mare il cui comando (ComSupFor) è a Niteroi, è composta da sei fregate classe Niteroi, da 2 fregate classe Greenhalgh (ex Type 22 inglesi) e da tre corvette Inahuma nonché 4 navi da assalto anfibio tipo Lpd e Lst e due rifornitori di squadra.

La componente sottomarina, ad oggi, è composta da cinque sommergibili Type 209 (di fabbricazione tedesca) in attesa che vengano consegnati i primi quattro nuovi classe Scorpene (francesi) ed il primo sottomarino nucleare (L’Alvaro Alberto) il cui reattore – costruito dalla francese Dcns – dovrebbe essere pronto nel 2019 e consegnato nel 2025, ma si parla già di due anni previsti di ritardo.

L’unica portaerei in dotazione al Brasile, la Sao Paulo ex Foch francese, nave con quattordici anni di servizio, è stata ritirata e destinata allo smantellamento. L’unità è stata afflitta da numerosi e importanti problemi – tra cui due vasti incendi – che ne hanno precluso l’operatività: solo 3 mesi durante tutta la sua attività.

I velivoli imbarcati, 12 sopravvissuti dei 23 vecchi A-4 Skyhawk acquistati dal Kuwait nel 2002, saranno parimenti radiati dopo il 2025.

Quale sarà la strategia di Bolsonaro?

Verosimilmente il neopresindente brasiliano dovrà pensare prima alle questioni interne ma non potrà dimenticarsi dello strumento militare e del suo ammodernamento.

In questo senso Bolsonaro sembra già aver indicato la via affidando ministeri importanti ad ex generali che quindi potrebbero pilotare la politica di Brasilia verso il rilancio dei programmi per le forze armate.

I programmi sono ambiziosi, soprattutto quello per la Marina Militare come abbiamo avuto modo di vedere, ma se il Brasile intende cambiare passo alla propria economia e diventare il leader dell’america latina aprendosi parallelamente alla politica americana, sarà imperativo per Bolsonaro dotarsi di uno strumento militare efficace, affidabile e soprattutto consistente per poter fungere sia da deterrente sia da come strumento di egemonia nella politica degli stati americani, soprattutto verso Cuba ed il Venezuela che ancora sembrano essere al centro del mirino di Washington.

D’altra parte aprirsi agli Stati Uniti non significherebbe automaticamente diventarne soggetti, sebbene l’ingresso del Brasile nella Nato potrebbe limitare l’autonomia dell’agire internazionale del Paese, soprattutto per la contrapposizione con la Russia e con la Cina, quest’ultima sempre più attiva in diversi scacchieri mondiali.

Il “Trump brasiliano” quindi, con le sue politiche liberiste, potrebbe fare esattamente come l’attuale inquilino della Casa Bianca e rilanciare lo strumento militare con una nuova iniezione di fondi ben conscio che la rinascita di un Paese come il Brasile, nel particolare contesto sudamericano, passa anche per le sue Forze Armate, anche senza necessariamente avere velleità da “media potenza”.