Giocano a fare la guerra. Vogliono diventare soldati per vendicarsi di chi ha portato loro via genitori, fratelli, parenti. Sono i bambini scampati alle violenze di Boko Haram, il gruppo islamista che da oltre dieci anni semina il terrore nel nord est della Nigeria e nelle zone al confine con Niger, Ciad e Camerun. Il loro gioco quotidiano si chiama “Boko Haram contro i soldati”. Usano le loro braccia come fossero fucili, le puntano verso il “nemico” e “sparano”. C’è chi cade fingendo di morire e chi esulta per la vittoria. 

In fuga dalla violenza di Boko Haram, oltre 250mila persone tra rifugiati e sfollati interni hanno trovato ospitalità nella regione di Diffa, al confine tra Niger e Nigeria. Qui, nel dicembre 2014, è stato creato il campo di Sayam Forage che ad oggi ospita oltre 13mila rifugiati. Numerosi i bambini che si trovano nel campo gestito dall’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati. “Hanno visto le atrocità più gravi. Spesso i padri sono stati uccisi e loro sono dovuti scappare con le madri perché hanno perso tutto quello che avevano: i villaggi sono stati bruciati e i loro averi sequestrati. Questi bambini hanno subito le conseguenze degli attacchi di Boko Haram e ora devono ricostruire una vita da un’altra parte cercando un nuovo equilibrio”, ha dichiarato a Gli occhi della guerra Marzia Vigliaroni, Mental Health Specialist per Unhcr in Niger. 





I racconti dei bambini

“Ho visto Boko Haram tagliare la testa a mio nonno”, ha raccontato ad Al Jazeera un bambino, alunno di una scuola elementare privata istituita dalla Ong Education Must Continue Initiative (EMCI) a Yola, capitale dello Stato di Adamawa nel nord est della Nigeria. “Usano i coltelli. Sono qualcosa che non ti piacerebbe vedere”, ha ribattuto un altro. Centinaia di minori che hanno vissuto le atrocità del gruppo islamico e ora sognano di diventare soldati per vendetta. “Mi piacerebbe essere un soldato per fare a loro quello che hanno fatto a me”, ha spiegato un bambino. “Se divento militare posso aiutare la mia famiglia e il governo”, ha continuato un altro. “Noi cerchiamo di far rielaborare il vissuto traumatico al fine di evitare che sviluppino un’aggressività che li porterebbe ad avere voglia di vendicarsi o di entrare a far parte di gruppi armati”, ha sottolineato Marzia Vigliaroni di Unhcr.

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Gli attacchi e la violenza perpetrata da Boko Haram hanno segnato in modo profondo i bambini che vivono in uno stato di paura: hanno visto i loro villaggi venire bruciati, i padri uccisi, le sorelle fatte prigioniere. “Dover ricostruire tutto da zero, paradossalmente, per un bimbo è più drammatico perché ha perso tutte le sue certezze e si trova a dover fuggire dalla sua casa senza capire e senza poter troppo razionalizzare da cosa e perché sta scappando”, ha spiegato Vigliaroni. Ma c’è anche chi non riesce a fuggire. Secondo l’ultimo rapporto dell’Unicef, dal 2013 ad oggi, sono oltre mille i bambini rapiti dal gruppo jihadista, trasformati in soldati e utilizzati nei conflitti armati. Le loro famiglie li aspettano nella speranza che possano tornare a casa sani e salvi.

Disegni senza colore

Persone sgozzate e stese a terra, teste mozzate, armi, scontri. Attraverso i disegni i bambini reduci degli attacchi raccontano l’orrore di Boko Haram. Drammatiche immagini che non lasciano spazio all’immaginazione e svelano il loro vissuto. “Spesso i bambini hanno difficoltà a verbalizzare quello che hanno vissuto e preferiscono passare attraverso altre attività quale il disegno, la musica, il teatro – ha spiegato la Mental Health Specialist, Marzia Vigliaroni -. Disegnano attacchi e scontri, ma non usano il colore, a parte il rosso che indica il sangue. Riproducono teste mozzate e le lame che avevano tagliato le teste dei loro padri”. 

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