L’escalation di violenza riaccesa e accelerata dagli avvenimenti di Jenin nei giorni scorsi ha innescato una diversificazione della risposta israeliana agli attacchi palestinesi: la reazione militare si mescola così all’espansione territoriale e alla proliferazione edilizia.
L’attacco terroristico
Nel pomeriggio del 20 giugno due uomini armati palestinesi affiliati al gruppo terroristico Hamas, hanno aperto il fuoco in una stazione di servizio all’entrata del settlement di Eli, uccidendo quattro israeliani e ferendone altri quattro (uno dei quali gravemente). In base alle dichiarazioni delle Israeli defence forces, uno degli attentatori è stato ucciso sul luogo dell’attacco da un civile israeliano armato, mentre il secondo è fuggito sull’auto di una delle vittime per poi venire eliminato due ore più tardi dalle forze speciali israeliane. Hamas ha confermato l’appartenenza dei due attentatori all’organizzazione armata, ma non ha rivendicato direttamente la responsabilità per l’attacco.

“L’operazione a sud di Nablus è un chiaro messaggio al governo criminale di occupazione” si legge nella dichiarazione pubblicata sul sito di Hamas “in risposta ai crimini contro la moschea di al-Aqsa e alle aggressioni di Nablus e Jenin”. La dichiarazione si riferisce agli scontri di inizio aprile nella moschea di al-Aqsa e ai recenti attacchi alle città cisgiordane che si sono inseriti nell’escalation scatenata dai combattimenti di Jenin del giorno prima. Le offensive hanno comportato una vittima e 34 feriti palestinesi per mano di coloni israeliani fuori controllo nella zona di Nablus, dove gli stessi che hanno anche appiccato le fiamme a 140 automobili nelle cittadine di Luban a-Sharqiya, Beit Furik e Burin. Le immagini delle aggressioni ricordano da vicino i fatti di Huwara, e rafforzano le paure di una terza intifada, da mesi prospettata da più osservatori.

In risposta all’attacco, il comandante delle Idf ha reso pubblica l’intenzione di intensificare la presenza militare israeliana in Cisgiordania e di posizionare agenti di polizia in aree sensibili come incroci importanti e aree popolose. È facilmente prevedibile che questa prospettiva creerà ulteriori tensioni nell’area già calda.
La ritorsione: espansioni legalizzate
Il giorno seguente il primo ministro Benjamin Netanyahu, insieme ai ministri della Difesa e Finanze, ha inserito nell’agenda del governo l’approvazione ufficiale di due dei tre allargamenti illegali dell’insediamento di Eli (la zona dove ha avuto luogo l’attacco) che li legalizzerebbe retroattivamente. In aggiunta a questo, il governo di Tel Aviv ha annunciato che accelererà la costruzione di mille unità abitative in quell’area.

In questo stesso mese, lo Stato di Israele ha autorizzato la costruzione di oltre 4000 case sparse nei territori occupati della Cisgiordania, e il governo non ha specificato se le mille di Eli farebbero parte di quelle 4000. I dati riportati dal giornale israeliano Hayom attestano che Israele ha approvato 13mila case nel primo semestre del 2023, seppur senza fonti. Il report elaborato dall’Unione Europea per il 2022 parla dell’effettiva costruzione di 4,427 unità abitative in tutto.
Va tenuto in considerazione che Israele si è insediato nei territori della Cisgiordania durante la guerra del 1967 e da quel momento li ha occupati in violazione della legge internazionale. Inoltre nella maggior parte dei casi, l’approvazione di abitazioni per i coloni in Cisgiordania corrisponde alla demolizione di case palestinesi abitate.
La risposta israeliana al terrore
La risposta israeliana tradizionale agli episodi di terrorismo da parte dei gruppi armati palestinesi è normalmente basata su operazioni militari di ritorsione e caccia alle cellule terroristiche. Dagli episodi di questa settimana emerge però una nuova equazione: la corrispondenza tra l’attacco terroristico e la calendarizzazione dell’approvazione di nuove espansioni territoriali e l’autorizzazione di nuovi cantieri edili rappresenta una nuova complessità nella reazione di Tel Aviv. “La nostra risposta al terrore è colpirlo con forza e costruire il nostro Paese” ha detto lo stesso Benjamin Netanyahu in un commento dopo l’attentato.
Sulla stessa narrativa si allinea anche Yisrael Gantz, presidente del Consiglio regionale Mateh Binyamin che governa 46 insediamenti e avamposti israeliani in Cisgiordania. Parlando al Times of Israel, Gantz ha ipotizzato: “se ogni volta che un palestinese uccide un israeliano costruissimo 100 case, allora il terrorismo finirebbe subito”, poiché “l’obiettivo finale del terrorismo è di scacciarci via da questa terra, quindi la risposta appropriata dev’essere quella di approfondire la presenza israeliana sul territorio”.