“Oggi è il giorno della vittoria”. Difficile credere a queste parole, inviatemi da Damasco, poche ore dopo il raid di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Eppure, come nota anche Haaretz, lo strike dello scorso 8 aprile rappresenta una vittoria per Bashar al Assad e “rivela le vere intenzione delle potenze occidentali”.

Mentre una pioggia di fuoco si abbatteva sulla Siria, a Damasco la gente scendeva per festeggiare e per dimostrare il suo sostegno ad Assad. Impossibile da credere, ma è successo davvero, come nota Haaretz: “La coalizione non ha imparato che un attacco occidentale contro una capitale araba non porterà mai i cittadini nelle strade per celebrare in loro favore”. Attacchi simili non fanno altro che rafforzare i governi. Una posizione rilanciata tra l’altro dallo stesso Assad, che ha detto che i raid occidentali “hanno unito la Siria”.

È una storia vecchia come il mondo e che agli arabi ricorda quanto successo nel 1956, quando Francia, Israele e Gran Bretagna attaccarono il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, dopo la nazionalizzazione del canale di Suez. Proprio oggi,  secondo quanto riporta Agi, la Lega araba, contrariamente a quanto fatto trapelare inizialmente dal ministro degli Esteri saudita Adel Jubeir, ha espresso dubbi sul fatto che l’esercito siriano possa aver usato armi chimiche lo scorso 7 aprile a Douma. 

Gli attacchi in Siria hanno unito ancora di più la popolazione attorno al presidente. Bashar, che ha vent’anni e vive ad Homs, racconta a Gli Occhi della Guerra: “Sono un cristiano e un siriano e ti assicuro che la gran parte del popolo sta con Assad, in particolare le minoranze cristiane che includono gli armeni, i siriaci e i caldei. Anche se non siamo arabi, Assad non fa alcuna distinzione tra noi e gli altri. Ci ha dato le armi per difenderci. Migliaia di cristiani combattono al fianco del nostro esercito contro il terrorismo salafita”.

Questa mattina, nella piazza centrale di Damasco, migliaia di persone sono scese in piazza per celebrare il 72esimo anniversario dell’indipendenza, la vittoria sul terrorismo e quella in seguito agli strike occidentali. Una piazza in cui erano presenti cristiani e musulmani. E animata dai tamburi degli scout.

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Fino alla guerra del 2011, la Siria è stata un mosaico di culture e religioni. Allo scoppio delle proteste, le minoranze si sono schierate al fianco di Damasco. Una scelta quasi scontata, dato che le fazioni ribelli, in poco tempo, sono state sequestrate da quelle jihadiste. 

L’attacco in Siria mostra il doppio gioco dell’Occidente. Perché, per esempio, colpire Assad e non i sauditi che da tre anni stanno massacrando il popolo yemenita? “In Siria e in molti Stati arabi, compresi quelli che si oppongono al regime di Assad – riporta Haaretz – è chiaro che lo strike della coalizione a guida Usa non ha cambiato gli equilibri del potere”. Una prova di forza quasi obbligata dopo le parole di Trump, che ha avuto un solo esito: rafforzare il legame tra i siriani e Assad. 

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