I droni commerciali possono davvero diventare la nuova piattaforma del terrorismo internazionale – è il caso della minaccia sventata a Lodi; ma la tipologia di attentato programmata dall’aspirante jihadista è già considerata un pericolo imminente dal Pentagono.

Preoccupata dalla minaccia UAV ‘armati’, la Difesa USA  ha avviato un programma di ricerca e sviluppo per una gamma di contromisure sempre più sofisticate, adatte a sventare eventuali attacchi di matrice terroristica che potrebbero essere lanciati su piattaforme UAV commerciali ‘modificate’ artigianalmente per trasportare ‘armamenti’ e tramutarsi in oggetti letali – i così detti Improvised Air Threat.

Settecento i milioni di dollari dovrebbero finanziare lajoint venture supervisionata da due generali delle forze armate statunitensi che vedrà coinvolti i colossi della Silicon Valley accanto a quelli dell’industria per la difesa – come Boeing e Raytheon e BAE Systems – per elaborare insieme nuove piattaforme sperimentali di difesa altamente high-tech, dotate di tecnologie ‘jamming’ per ostacolare quella che si è rivelato essere una minaccia sempre più sensibile. Intanto durante il challenge ‘Hard Kill’ – svoltosi nei mesi scorsi in New Messico – le migliori tecnologie esistenti sono state valutate e ‘classificate’. Le aziende partecipati dovevano distruggere o disattivare 30 droni che volavano in un raggio di 250 metri; i sistemi d’arma testati spaziavano dalla tecnologia laser all’impiego di ‘reti’ sparate sugli obiettivi da appositi lanciatori.

L’emulazione dei droni killer

Droni killer su piattaforme quadcopter sono stati recedente presentati da Israele e Turchia per essere impiegati in prima linea dalle proprie forze di sicurezza proprio contro il terrorismo; ma quello che prima poteva essere segnalato solo come un pericolo ‘emulazione’ ora per i funzionari del Pentagono è diventato un rischio reale. I terroristi hanno imparato a manipolare i droni per utilizzarli a loro volta. L’ISIS infatti avrebbe già sperimentato l’efficacia di questa tipologia di ‘arma’ sotto forma di drone IED contro l’esercito regolare iracheno – sfruttando l’adattamento di tecnologia UAV a basso costo e il potere distruttivo degli ordigni esplosivi artigianali ha provocato la morte di dodici soldati iracheni e il ferimento di altri cinquanta. Anche due paracadutisti francesi della task force Hydra (Iraq) rimasero feriti per la detonazione di drone manipolato. Dopo la registrazione di questo evento i soldati USA di stanza in Medio Oriente sono stati addestrati a rispondere a questa minaccia con ‘fucili jamming’ e altre dispositivi con capacità  ‘jammers’  per disturbare, disattivare o distruggere i droni manipolati. 

I droni IED

In Siria e Iraq, nelle fabbriche che prima elaboravano autobombe – prima che venissero smantellate dall’avanzata della Coalizione – i terroristi del Califfato nero si stavano specializzando nella manipolazione di droni comunemente acquistabili sul mercato civile per dotarli di piccoli IED (Improvised Explosive Device) e poi adoperarli come ‘bombe volanti’ in attacchi e attentati: essi sono stati classificati come Improvised Air Threat e possono essere elaborati in ovunque si possa reperire un drone commerciale a basso costo, specialmente in Europa e Stati Uniti.

Il problema Globale

Secondo Washington la minaccia dei droni IED o IAT non riguarda soltanto Iraq, Siria, Yemen e Libia, dove sono attive e radicate le cellule jihadiste di ISIS e Al Qaeda; ma è un problema globale. Secondo un dossier del Pentagono infatti nel mirino di queste ‘bombe volanti’ potrebbero finire bersagli sensibili come dighe, centrali nucleari e altre infrastrutture di massima importanza anche qui in Occidente. Per tanto i maggiori siti del paese sono stati dotati di contromisure adeguate ed è stato divulgato l’ordine di tenere a debita distanza qualsiasi genere diunmanned aerial vehicle. Nonostante il maggior esperto ingegnere/pilota di droni del sedicente Stato Islamico sia stato eliminato durante un raid su Raqqa, secondo Don Rassler, ricercatore del Combating Terrorism Center  di West Point, la minaccia è ancora ‘attiva’: non solo nella regione irachena. Secondo i funzionari del Pentagono potrebbe manifestarsi una rapida diffusione di droni armati in altre zone di conflitto mediorientali, in concerto con la rapida evoluzione della tecnologia UAV e la facile reperibilità. Anche in Israele, dove il programma di sviluppo per droni militari a elaborato piattaforme armate con lanciagranate e fucili automatici su base M-4 , Michael Cardash, ex comandante dell’Israeli National Police Bomb Disposal Division, ha dichiarato che i terroristi possono arrivare ad armare un drone commerciale con fino a 4 ‘bombe artigianali‘. Anche Damien Spleeters, responsabile operazioni in Iraq e Siria per la Conflict Armament Research, dopo aver analizzato le armi in mano all’ISIS recuperate, ha segnalato in un dossier destinato a  Londra tendenza inquietanti nell’elaborazione di ordigni esplosivi volanti. 

Le contromisure anti-drone

Le armi anti-drone attualmente utilizzate contro UAV di piccole dimensioni sono  basate principalmente suijammer – disturbatori di frequenza capaci di inibire le trasmissioni in radiofrequenza attraverso le quali i droni vengono pilotati in remoto: deviandoli o facendoli schiantare mettendoli ‘fuori combattimento’.  Veri e propri fucili con capacità jamming – provvisti di calcio e mirino di puntamento come una qualsiasi arma lunga – sono facilmente trasportabili e già in uso da diversi anni dalle agenzie governative americane; nel caso di armi come lo SkyWall100 la capacità di provocare interferenze radio è coadiuvata da proiettili speciali che sparano una ‘rete’ che cattura e abbatte il drone. La russa Kalashnikov ha presentato recentemente il suo fucile anti-drone REX-1 basato sul sistema jammer. Più strutturate sono invece le piattaforme destinate a Marines e US Army, che sfruttano la potenza di laser 25kW come il sistema a corto raggio Pwg – Palanar Waveguide – sviluppato da Raytheon e destinato ai mezzi Humvee Gbad (Ground Based Air Defense), o la piattaforma PHASER, che sfrutta onde HPM (high-power microwave) e può abbattere o deviare un drone ‘ostile’ nel raggio di 8 chilometri. La Lockheed Martin sta sviluppando il sistema d’arma ATHENA, anch’esso basato sulle potenzialità dei raggi laser 30kW.