Mercoledì 30 dicembre, per la seconda volta questo mese, gli Stati Uniti hanno inviato bombardieri strategici nel Golfo Persico con un lungo volo dalla loro base di Minot, in North Dakota.
I due B-52H hanno volato senza scalo in una missione effettuata in risposta ai segnali che lascerebbero presagire che l’Iran potrebbe pianificare attacchi contro obiettivi statunitensi e alleati in Iraq, o comunque nella regione mediorientale, nei prossimi giorni.
La missione dei bombardieri, effettuata in un unico volo di andata e ritorno, è una palese dimostrazione di forza di Washington e della sua capacità di colpire ovunque nel mondo senza affidarsi a stati terzi o mettere in gioco le sue portaerei. In particolare riflette la crescente preoccupazione statunitense in merito alla possibilità che l’Iran potrebbe mettere in atto ulteriori ritorsioni militari in occasione dell’anniversario dell’uccisione del generale Qasem Soleimani, avvenuta lo scorso 3 gennaio con un raid effettuato tramite droni proprio in Iraq. Allora la risposta dell’Iran, cinque giorni dopo quel mortale attacco, è stata affidata a un attacco di missili balistici su una base militare statunitense che, per i danni leggeri che inflisse, si risolse in qualcosa di più di un’azione dimostrativa.
Ad aumentare la tensione, in questi giorni, c’è stato un attacco missilistico, la scorsa settimana, contro il complesso dell’ambasciata degli Stati Uniti a Baghdad, nella Green Zone, da parte di gruppi di milizie sciite sostenute dall’Iran. Un attacco che è il secondo in poco tempo, dopo quello avvenuto a novembre, e che indica un’escalation della tensione in concomitanza sia dell’anniversario della morte di Soleimani, sia dell’avvicendamento alla Casa Bianca. L’Iran sembrerebbe voler alzare la posta in gioco e “saltare alla gola” degli Stati Uniti che hanno intrapreso un parziale ritiro delle truppe dall’Iraq: l’attacco con razzi del 20 dicembre, infatti, è stato particolarmente massiccio rispetto al precedente. Anche a livello diplomatico tra Teheran e Washington i toni sono tornati a rialzarsi, con il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, che il 24 dicembre ha affermato su Twitter che “Trump si assumerà la piena responsabilità per qualsiasi avventurismo durante la sua uscita”.
B-52Hs from @TeamMinot took part in a transcontinental flight to Southwest Asia this week, showcasing the @usairforce commitment to regional stability. Global Reach – it's what we do. @CENTCOM @US_TRANSCOM @AFGlobalStrike pic.twitter.com/vHupPqK0ak
— US AFCENT (@USAFCENT) December 31, 2020
Per quanto riguarda l’ultima missione dei B-52H, il comandante del U.S. Central Command ha detto che si è trattato di una mossa difensiva. “Gli Stati Uniti continuano a dispiegare assetti pronti al combattimento nell’area di responsabilità del U.S Central Command per scoraggiare qualsiasi potenziale avversario e chiarire che siamo pronti e in grado di rispondere a qualsiasi aggressione diretta agli americani o ai nostri interessi”, sono state le parole del generale Frank McKenzie. “Non cerchiamo conflitti, ma nessuno dovrebbe sottovalutare la nostra capacità di difendere le nostre forze o di agire con decisione in risposta a qualsiasi attacco” ha poi aggiunto.
L’intelligence statunitense quindi si aspetta un attacco iraniano, magari proprio in prossimità del 3 gennaio, e magari proprio usando quei missili e droni che, qualche giorno fa, risultano essere stati posizionati in Iraq. Il 28 siamo venuti a sapere, da un giornale kuwaitiano, che le Irgc (Islamic Revolutionary Guard Corps) iraniane, avrebbero trasferito missili e droni nel Paese attraverso il valico di frontiera di Shalamjah, sotto la supervisione di personale iraniano facente parte dei Pasdaran.
I missili sarebbero del tipo da artiglieria campale “Arash” ma non è stato reso noto di quale versione si tratti: ne esistono, infatti, di diverse che variano in precisione e gittata. A quanto sembra la Forza Quds, il corpo di élite delle Irgc che dipendeva dal generale Soleimani, non avrebbe messo direttamente gli armamenti a disposizione delle cosiddette “fazioni della resistenza irachena”, ma piuttosto sarebbero stati stoccati nei siti e nei campi di addestramento appartenenti alle fazioni armate irachene vicine all’Iran, ma sempre sotto la supervisione di ufficiali iraniani.
La missione transcontinentale dei bombardieri statunitensi potrebbe essere la conferma che si cercava in merito a questo riposizionamento di armi iraniane, e si accompagna a un’altra significativa mossa messa in atto da Washington. La scorsa settimana, infatti, un sottomarino a propulsione nucleare del tipo Ssgn (lanciamissili da crociera) della classe Ohio ha effettuato un insolito transito nello Stretto di Hormuz, il choke point strategico tra Iran e penisola arabica. Sembra anche che un sottomarino israeliano da attacco abbia fatto altrettanto, ma al momento non c’è conferma.
Sicuramente questa decisione è stata intrapresa anche per scoraggiare un possibile attacco iraniano dopo l’uccisione dello scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh, avvenuta a novembre, ma completa il quadro della tensione generale che va acuendosi nell’area. Ricordiamo anche che all’inizio di dicembre, un’altra coppia di B-52H, questa volta provenienti dalla base aerea di Barksdale in Louisiana, ha volato sul Golfo Persico: una prima dimostrazione delle capacità statunitensi di colpire con la propria aviazione e un segnale dell’impegno di Washington nella regione.
Occhi puntati, con l’inizio del nuovo anno, sul Golfo e in particolare sull’Iraq, dove l’Iran potrebbe colpire nuovamente in occasione proprio dell’anniversario dell’assassinio di Soleimani. Non è nemmeno da escludere che Teheran potrebbe cercare altre vie per la propria “vendetta”: un attacco cibernetico a qualche rete civile, come ne sono stati già fatti soprattutto in Israele, potrebbe essere una soluzione più consona alla situazione e soprattutto evitare una risposta militare statunitense e israeliana, che potrebbe innescare una spirale di violenza difficilmente controllabile.