Se Kim Jong Un cercava l’effetto a sorpresa, il suo intento è andato a buon fine. Chissà qual è stato il pensiero balenato a Washington e dintorni quando, proprio nei giorni in cui gli alti funzionari di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud avrebbero dovuto incontrarsi a Tokyo, per discutere su come intavolare un dialogo con la Corea del Nord in merito alla denuclearizzazione, Pyongyang ha effettuato tre test missilistici piuttosto preoccupanti.
Il tempismo con cui il governo nordcoreano ha sparato i missili – uno durante il primo test, due nell’ultimo – non è certo casuale. E casuale non sembrerebbe essere neppure il messaggio lanciato a Joe Biden e alleati: voi potete pure parlare di noi, del nostro programma nucleare e della denuclearizzazione della penisola coreana, ma la decisione finale su quello che succederà spetta solo e soltanto al governo nordcoreano. Detto in altre parole, la Corea del Nord continuerà a sviluppare il proprio arsenale finché si sentirà minacciata dagli statunitensi.
Messa così, si tratta di una condizione piuttosto generica, apparentemente pensata per non voler sciogliere alcun nodo. La verità è che, memori di quanto accaduto in Libia, Siria e Iraq, i nordcoreani ripetono di non aver alcuna intenzione di abbandonare il proprio arsenale militare, nucleare compreso. Dall’altra parte, gli Stati Uniti non tollerano un simile atteggiamento da parte di Pyongyang, ma sanno benissimo di non poter usare la forza, complice il rischio di scatenare un conflitto che potrebbe coinvolgere anche la Cina.
Risultato: la situazione è destinata a restare in un equilibrio perenne, un equilibrio alterato, di tanto in tanto, da test o aperture al dialogo. Per uscire dall’impasse sarebbe richiesto un passo avanti da parte di entrambe le parti. Ma il momento non appare essere dei migliori, né per la Corea del Nord, né tanto meno per gli Stati Uniti.
Le sabbie mobili di Kim
L’ultima prova di forza della Corea del Nord ha visto Pyongyang sparare due missili balistici dalla sua zona interna centrale, verso il mare al largo della costa orientale. Il lancio, per non farsi mancare niente, è avvenuto mentre il ministro degli esteri cinese, Wang Yi, era in visita a Seul per colloqui con la sua controparte sudcoreana. Non solo: in questi giorni, come detto, sono in corso a Tokyo colloqui strategici sulla denuclearizzazione tra gli inviati speciale di Giappone, Stati Uniti e Corea del Sud. Per quanto riguarda la presenza di Sung Kim, inviato speciale Usa per la Corea del Nord, è plausibile che Washington abbia voluto utilizzare il tavolo nordcoreano per rassicurare i suoi alleati asiatici dopo il ritiro dall’Afghanistan.
La turbolenta exit strategy americana da Kabul ha infatti scosso, e non poco, i partner statunitensi asiatici, alle prese con l’ascesa della Cina e con le pretese di Pyongyang. Il fatto che gli Stati Uniti possano contare su circa 50mila soldati dispiegati in Giappone e quasi 30mila in Corea del Sud, sottolinea l’importanza strategica di questa regione agli occhi della Casa Bianca. Allo stesso tempo, l’amministrazione Biden rischia di finire nelle sabbie mobili preparate con astuzia da Kim Jong Un.
Già, perché se è vero che gli Stati Uniti hanno confermato di essere ancora disponibili a impegnarsi con Pyongyang per vie diplomatiche, è altrettanto vero che Washington è finita nell’occhio del ciclone a causa delle disastrose scelte in politica estera dello stesso Biden. Eccola, dunque, la prova di forza di Kim Jong Un mostrata al mondo intero: tirare la corda (leggi: effettuare altri test) mentre gli americani, travolti da mille polemiche, cercano di intavolare un dialogo diplomatico con i rivali nordcoreani.
La speranza di Pyongyang è che, per non ripetere gli errori fatti in Afghanistan, e per non incassare una nuova, sonora sconfitta geopolitica, gli Stati Uniti possano finalmente concedere qualcosa. Ad esempio, riconoscere la Corea del Nord come una potenza nucleare, proprio come alcuni attori internazionali stanno iniziando a riconoscere – o se non altro, considerare sotto un’altra luce – il governo talebano a Kabul. A cose normali, difficilmente Washington acconsentirebbe a una simile richiesta.
La minaccia militare
Lo scenario, tuttavia, è delicatissimo. E questo significa che gli Stati Uniti potrebbero allentare la presa su Pyongyang, o concedere qualcosa alla loro controparte. Qualche mese fa, l’amministrazione Biden aveva annunciato un nuovo approccio diplomatico alla questione nordcoreana. L’obiettivo di Washington restava quello della denuclearizzazione completa della Corea del Nord, ma il modus operandi avrebbe compreso un approccio pratico e flessibile. Musica per le orecchie di Kim, desideroso di trattare, da pari a pari, con la potenza numero uno al mondo.
Attenzione però, perché mentre gli Stati Uniti possono permettersi di dialogare e rilanciare la posta in palio, Tokyo e Seul hanno ben altre preoccupazioni per la testa, visto che i test missilistici effettuati da Kim, almeno da un punto di vista geografico, minacciano in primo luogo Giappone e Corea del Sud. Il premier giapponese Yoshihide Suga ha definito l’ultimo doppio lancio nordcoreano “vergognoso”, aggiungendo che il governo nipponico convocherà nelle prossime ore la Commissione di sicurezza nazionale.
“I test minacciano la pace e la sicurezza del Giappone e della regione e sono assolutamente oltraggiosi”, ha detto il primo ministro giapponese, aggiungendo che il lancio di due missili balistici è “una violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. Come spiegato su queste colonne, infatti, i missili da crociera (per intendersi, il tipo di missile lanciato nel primo degli ultimi due test) non violano alcuna risoluzione Onu, al contrario di quelli balistici.
I primi, inoltre, volano seguendo una traiettoria piatta, “abbracciando” il terreno o l’oceano fino al raggiungimento del bersaglio; i secondi ricalcano una parabola, toccando un punto di altezza massimo per poi scendere a terra. In ogni caso, entrambi sembrano essere in grado di minacciare da vicino gli interessi americani, visto che la portata del missile da crociera sparato lo scorso week end “include” tutta la Corea del Sud e l’intero Giappone. Sarà interessante capire adesso quale sarà la risposta concreta di Biden.
Miss Kim attacca Seul
Nel frattempo è tornata a parlare – e far parlare di sé – Kim Yo Jong, sorella di Kim Jong Un. Miss Kim ha attaccato il presidente sudcoreano, Moon Jae-in, dopo che i due Paesi si sono sfidati a distanza conducendo test missilistici. Già, perché anche la Corea del Sud, poche ore dopo il lancio dei missili nordcoreani, ha effettuato un test, sparando un missile dal sottomarino Dosan Ahn Chang-ho, da tremila tonnellate.
Kim Yo Jong ha così condannato “l’atteggiamento illogico di Seoul che descrive il proprio comportamento come un’azione legittima per sostenere la pace, e il nostro come una minaccia alla pace”. Ricordiamo che, oltre alla Corea del Sud, gli altri Paesi che dispongono di missili da lancio sottomarino sono: Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e India. Test su missili da lancio sottomarino sono stati compiuti in anni recenti anche dalla Corea del Nord e rivendicati come effettuati “con successo” dal regime di Kim Jong-un