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Guerra /

Le immagini dei bombardamenti su Ghouta est rimarranno impresse nella mente di molti. Ed è giusto così, perché siamo ancora esseri umani. E l’immagine ha un potere forte che si imprime nella nostra memoria. Ma proprio perché l’immagine assume un potere formidabile, soprattutto in un mondo come quello di oggi dominato da un’informazione istantanea, oseremmo dire “pop”, è sempre giusto riflettere. Fermarsi, guardare l’immagine, osservarla e cercare di capire aldilà della foto, andare oltre, facendo uno sforzo di ragionamento che non scada nell’ideologia. E invocare un diritto (ma anche il dovere), quello di essere scettici, che in questo mondo sembra diventata una colpa. 

Come già scritto da Matteo Carnieletto su questa testata, l’immagine della bambina in pigiama che viene fatta scendere da un palazzo in macerie rimarrà un simbolo che ricorda, e molto, il piccolo Omran durante la tremeda battaglia di Aleppo. E a nulla è valso, come ricordato nell’articolo, che il padre del bambino abbia raccontato che i caschi bianchi gli avessero tolto il figlio per fotografarlo sporco di sangue e polvere per mandare la foto a tutti i giornali. L’immagine valse e vale ancora oggi più di mille parole di critica e di riflessione. Fu propaganda, che non giustifica alcun tipo di massacro, ma che dimostra dove possa arrivare il potere dell’informazione.

La realtà è che queste immagini giungono sempre in un preciso momento: quando Assad sta ottenendo una vittoria decisiva. Lo fu per Aleppo, lo fu quando l’esercito siriano venne accusato di aver usato armi chimiche a Khan Shaykhun (gli Usa, per bocca di Mattis, hanno affermato di non avere prove sull’uso di Sarin da parte di Damasco) e lo è adesso per Ghouta orientale, proprio quando Assad è in procinto di riprendersi Afrin e Aleppo. E non può non incuriosire questa stretta correlazione, questo tempismo perfetto, fra avanzate siriane e mattanze siriane. Un tempismo “suicida” da parte del leader di Damasco, che proprio quando è in procinto di vincere, deciderebbe di condannare se stesso mostrando al mondo il suo essere sanguinario. Ecco, lo scetticismo. Che non è giustificazionismo, ma analisi.

L’informazione ha un compito difficilissimo, quello di mantenere il timone dritto, il più possibile super partes, pur non potendo svestire i panni della persona, dell’essere umano, che soffre nel vedere certe immagini. Ma sarebbe anche giusto evitare di dividere il mondo in buoni e cattivi, nella maniera manichea ed errata di dipingere santi e demoni in una guerra che, in tutta onestà, ha soltanto un martire: il popolo siriano. E nessuno può non definirsi colpevole di morti innocenti. Né possiamo veramente credere che da una parte ci siano leader che uccidono civili e dall’altra parte leader che provano realmente compassione per ciò che succede sui campi di battaglia e chiedono all’Onu di fermare il sangue. A tutti noi piacerebbe pensare che sia così: che ci sia qualcuno a Washington, a Parigi, a Tel Aviv, Mosca o a Teheran che abbia più a cuore la sofferenza di un bambino che gli interessi del proprio sistema. Ma sarebbe un pensiero inutile e del tutto utopistico. 

E la potenza dei media diventa un’arma, inutile negarlo. Un’arma che usano tutti, nessuno escluso. Ad oggi è difficile ricordare la stessa compassione per Aleppo e Ghouta rivolta ai morti di Raqqa e Mosul quando era l’aviazione statunitense a martellare i quartieri delle città tenute in ostaggio dallo Stato islamico. E mentre Ghouta Est viene martellata dall’aviazione siriana e da alcuni jet russi (il Cremlino ha smentito il coinvolgimento ma le foto dicono il contrario), nessuno dei media più potenti o delle organizzazioni internazionali ha tuonato contro gli jihadisti asserragliati nei sobborghi che tengono in scacco una comunità e colpiscono con colpi di mortaio e razzi Damasco, provocando vittime tra i civili inermi. 

Ma non dobbiamo stupirci. Gli stessi che oggi tuonano contro Assad e Putin per i sobborghi di Damasco, sono gli stessi che stanno facendo passare in sordina una catastrofe umanitaria come quella dello Yemen. Lì le bombe non sono siriane ma saudite, ma le poche, rare immagini che arrivano dalle città devastate dalla guerra sono orribili al pari di quelle viste in Siria. Una tragedia senza precedenti, decine di migliaia di morti, profughi a milioni e bambini condannati a morire di fame o di colera. Eppure nessuno ha alzato il dito per dire di fermarsi, nessuno che abbia minacciato azioni militari contro Riad. Sono tutti massacri, tutti orribili. Ma bisogna cercare di capire quale sia il metro di giudizio. O tutti i leader vengono giudicati per i loro obiettivi, o tutti i leader vengono giudicati con il metro della pietà umana. Nel primo caso, machiavellianamente, sono tutti innocenti. Nel secondo caso, non c’è tribunale che non li giudicherebbe colpevoli. 

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