Aleppo, il motore economico e commerciale della Siria, è stata liberata. L’annuncio arriva dall’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin, nel corso di una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza, chiesta da Francia e Regno Unito, nella quale il diplomatico ha comunicato “la fine delle operazioni antiterrorismo”. I miliziani “stanno al momento passando attraverso i corridoi umanitari” per raggiungere l’ovest del Paese a bordo di diversi pullman dopo aver siglato un’intesa con l’asse russo-siriano.Damasco, Homs, Hama, Latakia e, adesso, anche Aleppo si aggiunge all’elenco delle cinque città più importanti della Siria controllate dal governo legittimo. Nonostante le accuse mosse dalla comunità intenzionale che denuncia “civili trucidati dalle forze lealiste”, la popolazione aleppina festeggia nelle strade e qualcuno già immagina profumi e colori dei giorni che verranno. “Questo Natale – spiega mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo – avrà un altro profumo alla luce della liberazione della città, alcune strade saranno adornate per la festa anche se non c’è l’elettricità”.La fine di un incuboE’ la fine di un incubo iniziato nel 2011, quando il “germe” del terrorismo passa da Damasco ad Aleppo sotto le mentite spoglie delle “primavere arabe”. Se è vero che, inizialmente, il popolo siriano chiede riforme politiche, diritti civili e il rilascio dei prigionieri politici, ben presto i miliziani islamici s’infiltrano nelle proteste assumendone il controllo. Già nell’anno successivo, infatti, i “ribelli”, che nell’assordante silenzio mediatico hanno radicalizzato il dissenso popolare, s’impadroniscono di alcuni quartieri di Aleppo, delle zone rurali a nord della città ed assediano la base aerea di Minnegh e le cittadine a maggioranza sciita di Nubl e Zahra. Nel giugno del 2012 i distretti orientali più poveri cadono velocemente nelle mani di una coalizione che vede, da un lato, il FSA (Free Syrian Army, i ribelli “moderati”) e, dall’altro, una galassia di sigle islamiste e filo-qaediste come Jabhat al-Nusra (oggi Fateh al-Sham).La città divisaMa il colpo più duro arriva nel 2013 quando i jihadisti spezzano il “cordone ombelicale” che collega Damasco ad Aleppo assumendo il controllo dell’autostrada M5. L’arteria più importante del Paese ha anche un valore simbolico: dall’unione delle province di Aleppo e Damasco, infatti, dopo la Prima Guerra Mondiale, nasce la Siria moderna. Nel frattempo anche la città è divisa in due blocchi, “come se ci fosse un muro, come quello di Berlino, ma stavolta un muro di persone, di violenza, un muro imposto manu militari”, spiega Frere Georges, frate marista blu, a Tempi. La parte orientale di Aleppo, dove sventolano le insegne nere, entra a far parte di quell’insieme di territori che compongono il califfato, mentre quella occidentale è ancora in mano al governo siriano e, in più d’una occasione, rischia di capitolare. Gli scontri proseguono e, nell’aprile del 2013, l’antico minareto della moschea degli Omayyadi, costruito alla fine dell’undicesimo secolo, si sbriciola sotto i colpi dell’artiglieria. L’ennesima pietra miliare del patrimonio archeologico mondiale, che nelle millenarie vestigia siriane vede il suo fiore all’occhiello, va in rovina.L’intervento russoNel 2014 lo schema dei due blocchi è consolidato finché, l’anno successivo, una preoccupante serie di vittorie e avanzamenti da parte dei gruppi jihadisti impone l’intervento della Russia che, ad ottobre, conduce i primi attacchi aerei. L’intervento dell’aviazione russa, nel 2016, taglia il collegamento diretto dalla Turchia – principale fonte di approvvigionamento per il network jihadista – alla zona orientale di Aleppo, riprende la base militare di Minnegh, mette fine all’assedio di Nubl e Zahra. Le forze di Damasco, adesso, riescono nell’impresa delle imprese: l’accerchiamento totale di Aleppo. L’assedio, però, dura solo dieci giorni, un colpo di coda dell’opposizione nel distretto di Ramousah apre, da sud, una nuova via di accesso ad Aleppo est. L’aviazione militare russa e le milizie sciite da Iraq e Libano contribuiscono alla riconquista di Ramousah l’8 settembre, sigillando definitivamente l’enclave ribelle. Pochi giorni dopo il governo annuncia una nuova offensiva che scatena pesanti attacchi aerei sui distretti orientali della città. Dopo settimane di bombardamenti, il ministro della Difesa russo, Serghei Shoigu, annuncia l’interruzione dei raid siriani e russi su Aleppo – “necessaria per introdurre la pausa umanitaria del 20 ottobre” – offrendo la possibilità ai civili e ai ribelli di lasciare la zona. Ma la tregua non regge, e dopo poco si ricomincia a combattere.L’ultimo capitoloAlla fine del mese di ottobre i combattenti anti-Assad lanciano un’ultima disperata offensiva per rompere l’assedio, ma nel volgere di una settimana rinunciano all’impresa. A metà novembre di quest’anno le forze filogovernative aprono un varco nella sacca di resistenza lasciando ai tagliatole poco più di un fazzoletto di terra. “Crediamo che in questo stato la situazione ad Aleppo non durerà a lungo. L’esercito ha una sua strategia, che mira a una rapida presa della città per riportarla al suo controllo, che non farà durare questa situazione a lungo”, rivela all’agenzia di informazione russa Ria Novosti una fonte dell’esercito regolare siriano. Il 12 dicembre i lealisti avanzano ancora e le voci che parlano di “imminente liberazione di Aleppo est” cominciano a rincorrersi sempre più insistenti: le forze antagoniste sono intrappolate in un’area che non supera i 3 Kmq. Quando l’ambasciatore russo presso l’Onu annuncia la fine delle ostilità, però, gli americani frenando non confermano la “veridicità” della notizia.Aleppo non sarà la nuova BengasiLa battaglia di Aleppo, snodo cruciale per le sorti del conflitto siriano, sembra essersi conclusa. Quella che, nelle intenzioni dei tagliagole, avrebbe dovuto essere “la Bengasi siriana” e cioè una pedina necessaria per la capitolazione di Bashar al-Assad, è tornata sotto il controllo dell’esercito regolare. La sofferta riconquista della città non rappresenta solo una boccata d’ossigeno per la popolazione ma anche un faro di speranza per la Siria intera perché, come ci ha raccontato padre Firas Lutfi – francescano della Custodia di Terra Santa – qualche mese fa, “chi conquista Aleppo vince la guerra”. Resta però più d’un nodo da sciogliere, a partire dalle sanzioni economiche imposte dall’Occidente che complicano l’importazione di attrezzature medicali ed altri rifornimenti medici in un Paese che, proprio come hanno più volte sostenuto anche le Nazioni Unite, sta attraversando la più grande crisi umanitaria di questo secolo. L’embargo, che avrebbe dovuto colpire il presidente Assad, infatti, si sta rivelando letale per la popolazione, mentre, come abbiamo recentemente appreso dalla deroga disposta da Washington, le armi americane continuerebbero ad entrare indisturbate.
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