È partita l’offensiva delle Forze Democratiche Siriane (Sdf) verso Raqqa, la capitale del Califfato in Siria. Le Sdf, composte principalmente da miliziani curdi delle Unità di protezione del popolo (Ypg) stanno avanzando ad Ain Issa, al Laqna, ed altri villaggi controllati dai miliziani del sedicente Stato Islamico, che si trovano a cinquanta chilometri circa a nord della roccaforte siriana dell’Isis. I miliziani del Califfato si difendono impiegando kamikaze e autobomba. L’esplosione di una di queste ha già provocato sei morti e quindici feriti nelle file delle Sdf, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani.L’annuncio dell’inizio dell’operazione “Ira dell’Eufrate”, l’offensiva curda per liberare la capitale del Califfato nel Nord della Siria, è stato fatto domenica, esattamente tre settimane dopo l’avvio delle operazioni per la liberazione di Mosul, in una conferenza stampa delle Sdf ad Ain Issa. A dare “la buona notizia”, quella “del lancio di un’operazione su larga scala per la liberazione di Raqqa e della sua provincia”, è stata una giovane donna, Cihan Ehmed, ufficiale delle forze curde.All’operazione parteciperanno, secondo il comunicato delle Sdf, 30mila combattenti, in gran parte curdi delle Ypg. A combattere ci saranno anche miliziani arabi e turcomanni, come pure “una cinquantina di consiglieri delle forze speciali americane”, che stanno affiancando i miliziani delle Sdf sul terreno. L’operazione sarà coordinata, infatti, tramite un centro di comando costituito ad hoc, con le forze della coalizione internazionale anti-Isis a guida statunitense. E già nelle scorse ore sono partiti i primi raid aerei della coalizione a guida americana sulle postazioni dell’Isis a Raqqa.”Gli sforzi per isolare e liberare Raqqa segnano il passo successivo nei piani della coalizione”, ha fatto sapere in una nota, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Ashton Carter. “Come nel caso di Mosul, la lotta non sarà facile e ci attende un duro lavoro”, ha precisato, tuttavia, il capo del Pentagono, “ma è necessario porre fine alle aspirazioni fittizie dell’Isis e alla sua capacità di realizzare attacchi terroristici contro gli Stati Uniti e i suoi alleati”. Raqqa, infatti, più di Mosul è il simbolo del network del terrore jihadista. È qui, infatti, che sono stati “organizzati, pensati e pianificati”, come affermò il premier francese Manuel Valls, gli attentati che il 13 novembre 2015 hanno sconvolto Parigi e l’Europa.La portavoce delle milizie curde ha chiesto, inoltre, ai civili presenti nelle zone di operazione di “evitare le posizioni del nemico che saranno obbiettivi del fuoco”. Mentre l’Osservatorio siriano per i diritti umani ha lanciato un appello alla coalizione a guida americana per “non bombardare i civili senza alcun pretesto” durante l’offensiva per liberare la capitale del Califfato. Secondo l’organizzazione, infatti, i cosiddetti “danni collaterali”, ossia le vittime civili dei raid compiuti dalla coalizione a guida Usa sulle province di Al Hasaka, Raqqa, Aleppo, Idlib e Deir Ezzor, dal 2014 sarebbero stati almeno 655, su un totale di 6.318 persone morte sotto i bombardamenti della coalizione internazionale.Il ruolo della TurchiaNonostante l’entusiasmo iniziale, però, l’operazione presenta difficoltà e incognite. Come a Mosul, la prima è rappresentata senza dubbio dal tipo di resistenza che verrà opposta dai miliziani del Califfato. Fonti dell’opposizione siriana armata, citate dall’Adnkronos, prevedono inoltre, “grosse perdite tra i curdi se continueranno con la stessa tattica e se non riceveranno un consistente appoggio via terra” da parte proprio delle milizie dell’opposizione armata. Inoltre, la partita di Raqqa, non si gioca solo contro l’Isis, ma coinvolge gli interessi delle grandi potenze regionali ed internazionali. Prima fra tutte la Turchia. Erdogan, che considera i curdi delle Ypg terroristi al pari dell’Isis, aveva già espresso ad Obama il desiderio che a guidare l’offensiva su Raqqa fossero militari turchi e americani, assieme ai ribelli dell’Esercito libero siriano, sostenuti da Ankara. I curdi, al contrario, hanno “convenuto in maniera definitiva con la coalizione internazionale che non ci sarà alcun ruolo per la Turchia o le sue forze alleate” nella liberazione di Raqqa. Domenica, però, il capo di Stato maggiore turco, Hulusi Akar, e il suo omologo americano, il generale Joseph Dunford si sono incontrati ad Ankara, per discutere una “strategia comune” da mettere in campo nei prossimi giorni contro l’Isis.”Siamo in stretto contatto con i nostri alleati turchi” ha affermato, infatti, nella giornata di domenica, in conferenza stampa ad Amman, in Giordania, l’inviato speciale per la Siria del presidente Barack Obama, Brett McGurk. L’offensiva su Raqqa dovrà essere “la più coordinata possibile, riconoscendo che ci sarà un insieme di forze sul campo e che molte di queste ovviamente non si vedono di buon occhio ma condividono un comune ed estremamente letale nemico” che è l’Isis, ha spiegato McGurk. Una prospettiva scarsamente realistica fino a che la questione curda rimarrà al centro delle preoccupazioni di Ankara. La priorità della Turchia, come ha affermato lo stesso Erdogan pochi giorni fa, resta quella di cacciare i curdi delle Ypg da Manbij, la città del nord della Siria che i miliziani curdi hanno liberato dalla presenza dello Stato islamico nel mese di agosto. Oltre a sconfiggere l’Isis, in Siria la Turchia punta soprattutto a spezzare la continuità territoriale della Rojava. Ankara teme, infatti, che l’indipendenza del “Kurdistan siriano” possa provocare un effetto domino sui curdi che abitano le regioni del sud-est della Turchia. Per questo, uno dei principali obiettivi dell’operazione Scudo dell’Eufrate, lanciata da Ankara in territorio siriano, è stato proprio quello di confinare le Ypg ad est dello stesso fiume. Centinaia di carri armati turchi, intanto, sono stati già ammassati a Silopi, al confine turco con la Siria e l’Iraq, ed il timore è che, se mancasse il coordinamento di cui ha parlato McGurk, ovvero se i turchi decidessero di intervenire di nuovo contro le Ypg, l’avanzata su Raqqa potrebbe subire rallentamenti . Nonostante l’incognita della Turchia, l’obiettivo del Pentagono nel breve periodo, scrive il Wall Street Journal, resta comunque quello di isolare la capitale del Califfato, in vista di un “assalto coordinato”. Che arriverà, però, secondo le fonti citate dal quotidiano statunitense, non prima di diversi mesi.
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