È entrata nel vivo la prima fase dell’operazione militare per la conquista di Raqqa, la città che dal 29 giugno del 2014 è stata proclamata capitale del sedicente Stato Islamico da al Baghdadi. Partita martedì grazie ad un accordo tra Stati Uniti e Russia sullo scambio di informazioni per il coordinamento degli sforzi nella lotta al terrorismo in Siria, la conquista di Raqqa, dovrebbe avvenire in due fasi: la prima, quella in corso, prevede la liberazione della regione a nord della capitale del Califfato, che permetterà di tagliare tutte le vie di rifornimento agli uomini del Califfo ed entrare così nella seconda fase dell’operazione, l’assalto vero e proprio alla città, dal versante settentrionale.Protagonista dell’offensiva è l’alleanza delle Forze Siriane Democratiche (Sdf), capitanata da una donna, Rojda Felat, e che comprende i curdi delle Unità di Protezione del Popolo (Ypg), miliziani arabi ed una parte di miliziani cristiani, al fine prevenire tensioni etniche nei territori riconquistati. Ai circa 25mila curdi e ai 5mila tra arabi e cristiani assiri, impegnati per ora nelle operazioni, si aggiungono 250 marines che avanzeranno con i curdi verso la roccaforte del Califfo, e che sono atterrati da Washington nella base di Rmeilan, nel Kurdistan siriano, a bordo di aerei da trasporto speciali contenenti “armi ed apparecchiature militari pesanti”, secondo quanto è stato reso noto dal network al Arabiya.Per approfondire: “Vi racconto come si vive nella capitale dell’Isis”I miliziani curdi hanno già strappato ai jihadisti la cittadina di Ain Issa, a nord di Raqqa, da cui è partita l’offensiva, sostenuta dai raid aerei dei caccia di Washington che stanno centrando con bombe a guida laser obiettivi del Califfato identificati in precedenza, per mettere in sicurezza la strada che le Sdf dovranno percorrere per raggiungere la roccaforte di al Baghdadi. Durante gli scontri ad Ain Issa, gli uomini del Califfato hanno comunicato, tramite l’agenzia di stampa Amaq, di aver ucciso 33 miliziani curdi e di aver messo a segno un attentato suicida. E sono migliaia i civili che stanno fuggendo verso il confine turco, lasciando le proprie abitazioni, man mano che gli scontri aumentano di intensità.Intanto, mentre sul campo si fronteggiano Sdf e jihadisti, i jet A-10 Thunderbolt della Coalizione Internazionale a guida americana continuano a decollare dalla base aerea di Incirlik, in Turchia, che dallo scorso luglio è stata concessa in uso alle forze della Coalizione a guida Usa, mettendo a segno finora, secondo fonti militari, “numerosi” raid.Le operazioni per la conquista di Raqqa vanno avanti in contemporanea con un’altra offensiva contro i jihadisti dell’Isis, quella a Falluja, in Iraq, dove si teme soprattutto per i 50mila civili rimasti intrappolati nel centro della città irachena. Dopo la riconquista di Palmira in Siria e di Ramadi in Iraq, quindi, al Baghdadi sta per perdere altre due roccaforti militari. Ma la conquista di Raqqa avrebbe un valore ancora più importante dal punto di vista simbolico: sarebbe la vittoria per eccellenza. Una vittoria d’immagine, che mostrerebbe al mondo il Califfo mutilato della sua capitale.Per approfondire: Palmira ci dice che Putin ha ragioneCon l’offensiva verso Raqqa e Falluja si entra quindi, di fatto, nella fase cruciale della guerra contro l’Isis in Iraq e in Siria. Una fase che potrebbe essere chiusa “ancora più velocemente ed efficacemente”, ha affermato il ministro degli Esteri di Mosca, Sergej Lavrov, “se vi sarà un coordinamento militare che dia sostegno a chi sul terreno si confronta con i terroristi, ovvero le forze armate siriane e i diversi gruppi di miliziani curdi” e se i militari russi e americani “inizino a coordinare le proprie azioni”.Ma è ancora presto per festeggiare la sconfitta definitiva dei jihadisti. Se l’Isis sta arrancando sul terreno, infatti, sono molti gli analisti, come quelli dell’ISPI, che sostengono che ad un arretramento sul piano delle operazioni militari in Siria ed in Iraq, potrebbe corrispondere un cambio di strategia dei miliziani del Califfato. Che si tradurrebbe in un inasprimento degli attentati contro “gli infedeli” in Europa e nella stessa Siria, come dimostrano gli ultimi attentati messi a segno proprio dagli uomini del Califfo, a Tartus e Jableh.
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