Più di un anno è passato da quando i talebani sono tornati al potere. Ma fin dai primi mesi dalla tragica ritirata degli Stati Uniti da Kabul, in redazione ci siamo chiesti: e ora che succede? Cosa faranno i talebani? Torneranno quelli degli anni Novanta o nel frattempo sono cambiati? È nato così il crowdfunding, e il reportage che vedrete e leggerete il prossimo 7 ottobre (l’anniversario dell’inizio delle operazioni militari occidentali), intitolato “Afghanistan, un anno dopo”. Vi abbiamo chiesto tanto (10mila euro). Ci avete dato molto di più (11.326 euro), segno che il nostro patto – raccontare la realtà con lealtà, come aveva detto Toni Capuozzo – è oggi più che mai forte. Grazie.
Quello che vedrete non è il classico reportage sull’Afghanistan. Non c’è spazio a partigianerie o a tifo, da una parte o dall’altra. Ancora una volta, siamo stati i vostri occhi della guerra, della disperazione, della fame. Non abbiamo messo alcun filtro. Abbiamo semplicemente portato videocamere, macchine fotografiche e desiderio di conoscere in uno dei posti più dimenticati, e fondamentali, di questo mondo: l’Afghanistan. I talebani si raccontano direttamente, nel bene e nel male. Dicono che per il momento alcuni gradi scolastici sono chiusi per le donne ma che sono disposti a riaprirli a breve. Verità? Propaganda? Non sta a noi dirlo. A noi compete solo il raccogliere la voce dei diretti interessati, aspettando che le loro promesse diventino realtà oppure siano tradite. A quel punto, ma solo a quel punto, potremo comprendere.
Ciò che colpisce di più di questo Paese sono le ferite aperte. Ferite che si sono formate in 40 anni di guerre tremende. Prima quella sovietica, poi tra le bande dei signori della guerra, poi quelle che hanno visto la contrapposizione tra il Ahmad Shah Massoud e i talebani, infine quella ventennale tra le potenze occidentali e gli studenti del Corano.
Quello che resta è un cumulo di macerie, fatto di disperazione, madri costrette a vendere i propri figli, tossici senza alcuna speranza e fame. Tanta fame. Quella concreta, che ti stringe le budella, e quella di vita che hanno tante donne afghane che, dopo aver assaporato le libertà occidentali, ora sono costrette a coprirsi con un burqa. È questo l’Afghanistan di oggi. L’Afghanistan che vedrete nel reportage di Daniele Bellocchio e Marco Gualazzini. Un Afghanistan che abbiamo potuto raccontare solamente grazie a voi. Grazie a un patto che, anche in un periodo di grande crisi come quello che stiamo vivendo oggi, è ancora vivo. E dà speranza.