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L’Afghanistan è uno di quei paesi in cui il passato, quando sembra disperdersi tra le alte ed aspre montagne attorno Kabul e sparire definitivamente tra le nebbie della storia, ritorna e riappare poi improvvisamente portando con sé antichi fantasmi e cicatrici mai sanate che danno al presente un senso di surreale difficilmente riscontrabile in altre parti. Succede così, ad esempio, che lo scorso 4 maggio ha fatto ingresso trionfale nella capitale Gulbuddin Hekmatyar, fondatore del gruppo paramilitare Ḥezb-i Islāmī, ossia una costola della galassia jihadista che ha combattuto sul finire degli anni 80 contro la presenza dei militari sovietici. Hekmatyar è un Pashtun, così come la maggioranza degli afgani e con il suo gruppo all’inizio degli anni 90 ha provato a prendere il potere usando la forza contro gli altri gruppi islamisti; il suo nome è legato ai tanti assedi che hanno insanguinato la capitale afgana, tanto da essere soprannominato ‘il macellaio di Kabul’.Il ruolo di Hekmatyar nella guerra civile afganaIl conflitto civile in Afghanistan viene ufficialmente collocato tra il 1992 ed il 1996, con la presa di Kabul da parte dei Talebani come ultimo atto; tuttavia, il paese era già in guerra prima del 1992 e lo sarà altrettanto dopo il 1996 e lo è attualmente per via delle operazioni delle forze NATO contro gli stessi Talebani e contro i jihadisti dell’ISIS. In pratica, più di 30 anni di guerra ininterrotta in cui Hekmatyar ha recitato un ruolo chiave soprattutto negli anni 90; il suo nome diviene di dominio pubblico, specie tra i pashtun, durante la lotta contro la presenza sovietica: il suo gruppo, Ḥezb-i Islāmī (Partito Islamico) è tra i più attivi ma anche tra i più violenti e professa, così come molti mujahidin, una visione estremista della religione musulmana ed una sua ferrea applicazione in seno alla società.”Abbiamo già un milione di martiri, siamo pronti a farne di altri pur di avere una vera Repubblica Islamica in Afghanistan” ha dichiarato Hekmatyar in un’intervista del 1992 (riportata in un servizio del Nyt del 1994), quando era primo ministro; nel ruolo di capo di governo, il fondatore di Hezb-i-Islami era arrivato grazie ad un accordo con l’allora Ministro della Difesa Ahmed Massoud, noto in futuro per essere stato ucciso il 9 settembre 2001 da un attentato, due giorni prima quindi dell’attacco al Word Trade Center. Ma Hekmatyar è più famoso per la sua spesso spietata attività militare che politica; a quell’incarico era arrivato per via della pressione esercitata dal suo gruppo attorno Kabul, bersagliata ogni giorno dai suoi colpi di artiglieria. Una volta saltato l’accordo, le ostilità ripresero in maniera ancora più dura: le truppe di Hekmatyar tennero l’assedio a Kabul per quasi due anni, causando migliaia di vittime.È da qui che ha origine il soprannome di ‘macellaio di Kabul’: interi quartieri sono stati devastati, cumuli di macerie iniziarono ad invadere le strade di numerose zone anche centrali della capitale afgana; è stato uno dei momenti più brutti della secolare storia della città, acuito poi non solo dai bombardamenti di Hekmatyar, ma anche dai modi brutali con il quale le sue truppe giustiziavano coloro che erano considerati non credenti o non affiliati all’Islam oppure quei cittadini che, per un motivo o per un altro, venivano ritenuti in conflitto con Hezb-i-Islami. La repentina avanzata dei Talebani tra il 1995 ed il 1996, ha posto fine alle velleità di Hekmatyar, il quale si era quindi unito con l’ex presidente Rabbani nel tentativo di impedire l’ingresso dei seguaci del Mullah Omar a Kabul; la storia però, come si sa, è andata diversamente: i Talebani hanno preso il potere ed il gruppo di Hekmatyar è rimasto marginale alle successive dinamiche della politica afgana.L’accordo con il presidente Ghani e le perplessitàPiù che i contatti, in sé e per sé, con l’attuale leadership afgana, a destare scalpore nei giorni scorsi sono stati i toni trionfalistici che hanno accompagnato il ritorno di Hekmatyar a Kabul, nella stessa città che ha contribuito a radere al suolo negli anni 90. Il suo gruppo sembrava sparito o comunque non più attivo: negli anni dello jihadismo internazionale, si sono avute solo sporadiche notizie di locali collaborazioni con Al Qaeda, come per esempio nel gennaio 2007 quando è stata riportata un’indiscrezione secondo cui Hekmatyar avrebbe aiutato Bin Laden a fuggire da Tora Bora nel 2002. Adesso invece, ecco che assieme al suo gruppo di fedelissimi viene scortato fin dentro il palazzo presidenziale, con tanto di diretta televisiva e di cartelloni in giro per la città che annunziano l’evento; pare pure, ma in realtà il tutto deve essere confermato visto che non appaiono foto sul web che ne testimoniano la veridicità, che Hekmatyar ha tenuto un discorso allo stadio principale di Kabul seguito da migliaia di cittadini.Un tale entusiasmo è stato giustificato dal governo afgano per via delle ‘prospettive di pace’ che aprirebbe questo accordo; infatti, Hekmatyar ha promesso la deposizione delle armi dopo 25 anni di lotta armata ed il riconoscimento dell’autorità del presidente Ghani e delle leggi della costituzione afgana. Ma un simile scenario, lascia sul campo non poche perplessità: in primo luogo, in un’epoca in cui la sicurezza internazionale e la lotta al terrorismo di matrice islamica appaiono in cima alle agende dei vari leader di governo, appare poco opportuno stringere accordi con chi ha ucciso migliaia di cittadini in nome di una visione islamista e jihadista della società, riabilitandone anche l’immagine. A questo, bisogna aggiungere che, tra le altre cose, la ‘benedizione’ di tale accordo con tanto di cerimonia in pompa magna a Kabul, è arrivata dagli USA ma anche dalle Nazioni Unite, le quali a febbraio hanno rimosso il gruppo paramilitare di  Hekmatyar dalla lista delle organizzazioni sanzionate per i rapporti con l’estremismo islamico.In secondo luogo, le perplessità arrivano anche dalla stessa validità operativa dell’accordo: Hekmatyar, come detto in precedenza, pur avendo guidato un gruppo nei fatti terrorista, non era più uomo chiave della politica afgana da almeno 20 anni, dall’arrivo cioè dei Talebani. Stringere un patto con uno dei più spietati signori della guerra, che ad oggi non controlla vaste aree del paese e né ha gli stessi mezzi posseduti negli anni 90, potrebbe nei fatti voler significare soltanto garantire un’adeguata ‘pensione’ ad un leader islamista macchiatosi di gravi delitti. In parole povere, Hekmatyar guadagna il poter uscire dalla latitanza evitando i procedimenti giudiziari che meriterebbe, mentre dall’altro lato il governo afgano si assicura la non belligeranza di un gruppo che, però, già era molto meno pericoloso per la sicurezza dei cittadini. Il fatto stesso di stringere un patto così evidentemente oneroso per il governo di Kabul, unito alla decisione di Trump di inviare più truppe nel paese, ben fa notare come l’Afghanistan sia entrato in una fase delicata e difficilmente gestibile.

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