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Venti di guerra in Estremo Oriente. Poco fa alcune fonti non ufficiali riferiscono che la difesa aerea di Taiwan avrebbe abbattuto un cacciabombardiere cinese che era penetrato nello spazio aereo della “provincia ribelle”. Il caccia, che sembrerebbe essere un Sukhoi Su-35, di cui Pechino annovera nei suoi arsenali la presenza di 24 esemplari acquisiti dalla Russia nel 2015 – e subito copiati diventando lo Sheyang J-16 – è poi precipitato sull’isola – ma alcuni rapporti parlano anche di Cina continentale – ed il pilota, dai filmati che circolano in rete, è sopravvissuto ma sembra gravemente ferito.

Quella dell’abbattimento, però, non è l’unica versione che circola: si suppone anche che il Su-35 sia precipitato per un guasto tecnico mentre esiste addirittura una terza versione, la meno plausibile, che parla di un caccia dell’Aeronautica Militare Taiwanese.

Al momento in cui scriviamo non è stato ancora diramato nessun comunicato ufficiale, ma se effettivamente venisse confermato l’abbattimento da parte della difesa aerea di Taipei, sarebbe un evento che potrebbe diventare un possibile casus belli.

Non è la prima volta, del resto, che i caccia della Plaaf (l’Aeronautica Militare Cinese), effettuano puntate aggressive verso lo spazio aereo di Taiwan.

Il 20 giugno scorso un caccia Chengdu J-10 è entrato nella zona di identificazione della difesa aerea sud-occidentale di Taiwan abbandonando lo spazio aereo dopo aver ricevuto avvisi radio dagli aerei di pattuglia taiwanesi. Quell’episodio è stato il sesto incidente del genere nel solo mese di giugno. In particolare, dal 9 al 12, ci sono stati quattro giorni consecutivi in cui aerei militari cinesi sono stati avvistati nell’Adiz dell’isola. Gli incidenti hanno coinvolto un velivoli da combattimento e anche un aereo da trasporto.

Ancora ad agosto, il 10, caccia J-10 e J-11 hanno ripetutamente attraverso la linea non ufficiale che divide lo stretto di Taiwan provocando la reazione delle forze di difesa di Taipei che hanno “cacciato” gli intrusi. In quella particolare occasione l’incursione cinese non è stata affatto casuale: Pechino ha lanciato un messaggio in risposta alla visita a Taiwan di Alex Azar, il segretario alla salute degli Stati Uniti. Azar era atterrato a Taiwan domenica 9 agosto come parte della delegazione americana di più alto livello che abbia visitato il Paese da decenni.

Secondo quanto riferito, i caccia dell’aeronautica cinese hanno attraversato la linea mediana dello Stretto di Taiwan mentre Azar si incontrava con il presidente taiwanese Tsai Ing-wen.

Pechino sta dimostrandosi sempre più incisiva nel trattare con quella che definisce la “provincia ribelle”, e ha espresso più di una volta la sua ferma condanna verso la politica americana che, con Trump, ha ridato attenzione alle esigenze difensive di Taipei.

Gli Stati Uniti, oltre alle continue esercitazioni nel Mar Cinese Meridionale ed Orientale, hanno effettuato “passaggi” di naviglio militare nello Stretto di Taiwan, una mossa considerata non solo provocatoria dalla Cina ma che viene vista come un’invasione del proprio territorio sovrano, oltre ad aver stretto accordi per la vendita di armamenti tra cui un lotto di 66 caccia F-16 per rinforzare le difese aeree dell’isola.

Se fosse confermato che il caccia Su-35 cinese è stato abbattuto dalla contraerea di Taiwan, potrebbe nascerne un casus belli che permetterebbe alla Cina di risolvere la questione dell’isola ribelle. Analizzando il quadro strategico si può pensare che qualcuno, nelle alte sfere del Pla (People’s Liberation Army), potrebbe pensare che questo sia il momento idoneo per ricondurre l’isola in seno alla madre patria, in quanto gli Stati Uniti stanno attraversando una fase di transizione e riconfigurazione delle proprie Forze Armate: un’occasione propizia da sfruttare, con gli Usa che, secondo i cinesi, devono riguadagnare il terreno perduto in alcuni settori degli armamenti come quelli ipersonici, i missili balistici e raggio intermedio, ma soprattutto non sono ancora in grado, con il rinnovamento dei Marines appena cominciato, a effettuare operazioni di “contro-bolla” che permettano di contrastare l’attività di sea denial data dagli ultimi sistemi cinesi schierati nelle isole del Mar Cinese Meridionale e lungo le coste.

In quest’ottica si spiega anche lo spostamento verso le basi più prossime alla costa di alcuni stormi di caccia e bombardieri cinesi avvenuto qualche mese fa: Pechino sa bene come mettere in pratica la tattica della “fetta di salame” ovvero di effettuare manovre di piccola entità che non scatenino un’escalation, ma che effettuate in modo continuo cambiano l’assetto strategico e mettono l’avversario davanti al fatto compiuto.

D’altra parte, però, un abbattimento di un caccia potrebbe non diventare un casus belli come non lo è stato per il caccia russo abbattuto dalla Turchia, sebbene quel contesto fosse estremamente diverso. Anche la ritorsione iraniana per la morte del generale Qasem Soleimani, con l’attacco missilistico sulle basi americane in Iraq, non ha portato a nessuna escalation di tipo militare: del resto non la desiderava nessuno dei contendenti.

La situazione, in attesa degli ulteriori sviluppi che chiariranno definitivamente quanto accaduto nei cieli di Taiwan, resta però tesa e se fosse tutto confermato diventerebbe un precedente che potrebbe deteriorare irreparabilmente i rapporti tra Cina e Stati Uniti.





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