Se la presa di Mariupol, assediata e rasa al suolo, può essere paragonata all’assedio di Corregidor, l’assedio della sua acciaieria, resa ultimo baluardo della resistenza ucraina, sito industriale dove restano asserragliati gli ultimi uomini della 36esima brigata, i superstiti delle fanteria di marina, e alcuni reparti della guardia nazionale, può essere paragonato a quello di Alamo.

Il fortino-militare è accerchiato dalle formazioni militari separatiste e dalle forze russe che, su ordine di Mosca, hanno offerto la resa attraverso un ultimatum, scaduto questo pomeriggio. “Arrendetevi entro le 16 e sarete risparmiati”, hanno garantito i russi agli uomini che deporranno le armi. Ma potrebbero rivelarsi promesse da marinaio del peggior tipo dopo settimane di atroci combattimenti; e dato che nell’acciaieria di Azovstal sono presenti gli uomini del Battaglione Azov: una delle principali ragioni, almeno a sentire il canto russo, delle “operazioni di denazificazione dell’Ucraina”.

La resa per le forze di Kiev, inoltre, non sembra essere un’opzione per gli ucraini. Fino a ieri nessuno segnale in tal senso è stato “mostrato”. Il leader ucraino Volodomyr Zelensky ha affermato che sono stati già respinti sette attacchi. Tra cui uno sferrato dalle preparate e agguerritissime forze speciali cecene inviate da Ramzan Kadyrov. La promessa è quella di combattere e morire fino all’ultimo uomo.

L’ordine di Mosca è quello di raderla al suolo se verrà ignorato l’ultimatum

Se l’acciaieria verrà presa, e le altre sacche di resistenza verranno annientate, Mosca riuscirà a completare l’acquisizione della città portuale sudorientale, obiettivo estremamente importante sul piano strategico, l’offensiva sul Donbas – la Russia sta attaccando lungo un fronte di 480 chilometri – potrebbe presto contare su ulteriori unità. Intanto le navi da guerra russe, nonostante la perdita dell’ammiraglia della Flotta del Mar Nero, l’incrociatore lancia missili Moskva, si sono riposizionate a 200 chilometri dalle coste ucraine per lanciare missili da crociera e supportare i bombardamenti.

Un’acciaieria come ultimo bastione

Una distesa immensa di ferro bruciato e arrugginito che affaccia sul mare e su cui pesa la salsedine. Cemento contorto e scalfito dai colpi dell’artiglieria. Distanti colonne di fumo nero, e infiniti gradi di grigio e verde nel quale si mimetizzano gli ultimi 1500 soldati fedeli a Kiev. A spiccare, in un panorama giù mortuario, il rosso, il giallo e il celeste di ciò che resta delle strutture di quello che fino a due mesi fa era uno dei più grandi stabilimenti metallurgici d’Europa. Un’area di oltre 11 chilometri quadrati che – oltre ad essere disseminata di edifici, altoforni, binari – nasconde una fitta rete di cunicoli sotterranei, costruiti in epoca sovietica per volere dello stesso Cremlino. Al fine di resistere ad un possibile un attacco nucleare. 

L’ultima battaglia per l’acciaieria di Mariupol, dopo il rifiuto del penultimo ultimatum, rischia di essere tra le più sanguinose del secolo. Chi conosce le imprese di “bonifica” di grovigli difensivi come il monte Sirubachi a Iwo Jima, o nell’assedio della base navale di Sebastopoli, se lo può immaginare. Agli altri basti pensare che l’impiego di un’arma nucleare tattica potrebbe essere questo. Ma non lo sarà. Non verranno impiegate armi nucleari in questa “seconda offensiva russa”, ha garantito il Cremlino. L’Europa ringrazia, ma gli uomini e i civili che saranno costretti a sopportare l’ultimo attacco, sembrano essere spacciati comunque. Dopo settimane di assedio, scandite dai colpi d’artiglieria e dal tiro letale dei cecchini, la situazione dev’essere ben oltre il drammatico. Qualcosa che da un vero senso al termine “apocalittico”.

Alcuni, come l’analista militare ucraino Oleg Zhdanov, sostengono che soltanto un attacco chimico potrebbe essere in grado di snidare i difensori della fortezza-acciaieria; per decimarli e costringerli alla resa. Ma le conseguenze di un gesto così efferato sono imprevedibili, sebbene inferiori per portata a quelle che seguirebbero l’impiego di un’arma “tattica”. E poi, secondo fonti ucraine non confermabili, nei sotterranei dell’acciaieria, sarebbero nascosti anche un migliaio di civili, tra donne, vecchi e bambini.

Una battaglia senza quartiere

Era il 12 di marzo quando le avanguardie militari russe e filo-russe iniziarono ad attestarsi nelle zone sud-orientali della città portuale di Mariupol. Bombardamenti intensi hanno accompagnato l’evacuazione dei civili, mentre i difensori della città conducevano il tiro dell’artiglieria sui mezzi blindati e corazzati russi in avanzamento. Si parla di centinaia di mezzi colpiti e distrutti in pochi giorni. Poi sono arrivati i ceceni, ed è stata la volta delle forze speciali e della fanteria. La città è stata stretta d’assedio e dopo la cattura dell’aeroporto del 18 marzo, gli scontri si sono spostati e concentrati nell’area dell’acciaieria che era già stata pensata come ultima fortezza.

L’Alamo del battaglione Azov

Dal 20 di marzo, i plenipotenziari russi hanno iniziato a disporre l’ordine di resa che gli ucraini hanno continuato a ignorare. Combattendo mentre le bombe – secondo fonti locali – cadevano “ogni dieci minuti”. Senza sosta. Dal 27 di marzo il centro della città e gran parte delle aree circostanti sono state considerate ufficialmente sotto il controllo dei russi; che hanno catturato oltre duecentocinquanta Marines ucraini, dopo aver preso il controllo dell’edificio della Sbu nel centro di Mariupol, per poi condurre l’avanzata verso le zone portuali. Il 10 aprile le forze difensive vengono divise in due sacche di resistenza. Altre formazioni intere di marines ucraini vengono fatte prigioniere. Pochi giorni dopo la sacca di resistenza asserragliata nello stabilimento di Illich cade. Anche la zona portuale cade in mano ai russi, e l’ultima sacca di resistenza diventa quella dell’acciaieria di Azovstal. Impossibile l’invio di rinforzi da parte di Kiev, a causa delle forze russe che cingono d’assedio la zona – bersagliata dai bombardieri a lungo raggio Tu-22M3 – e hanno il controllo del mare.

La fortezza di Azov

Il Battaglione Azov e le forze di difesa ucraina schierate a Mariupol hanno sempre considerato l’acciaieria come ma il loro ultimo fonte, la loro ultima fortezza. L’acciaieria di Azovstal, estremamente ben difesa, è sempre stata indicata dagli ucraini come la “fortezza all’interno di una città”, o la “Fortezza Azov” come l’ha sempre chiamata Andriy Biletsky, data la grandezza del complesso industriale e la quantità di gallerie sotterranee che lo collegano internamente. Consentendo agli ucraini di spostare le forze a loro piacimento senza essere esposti al fuoco nemico. Secondo i russi la “resistenza” che si è concentra nell’acciaieria conta su  2500 soldati ucraini inquadrati in diverse unità, e 400 foreign fighters. Secondo le fonti ucraine, non sono più di mille. Tanto basta, se si pensa a trinceramenti che espongano gli assalitori al fuoco incrociato, e alla distesa di mine e trappole esplosive di cui sarà stato disseminato il perimetro, a mietere il doppio se non il triplo di fanti russi e commandos ceceni. Ma va considerato che Vladimir Putin e i vertici militari russi, se non potranno festeggiare la festa della Vittoria del 9 maggio con la sconfitta di Kiev, vorranno almeno festeggiare con la presa della fortezza di Azov.

La fanteria di Mosca pagherà la vittoria con la vita

La fortezza è considerata come un “bastione imprendibile”, e tentare di conquistarla per l’ennesima volta con un’incursione di fanteria in larga scala significherebbe pagare la vittoria con elevatissimo numero di vite tra la fanteria russa, i miliziani filo-russi e il contingente ceceno – il cui blitz è stato già respinto nelle scorse settimane. La fanteria russa si troverebbe a combattere in un ambiente industriale complesso, intricato, e sconosciuto. Disseminato di trappole esplosive e nidi di mitragliatrici che potrebbero mietere centinaia di vittime ad ogni assalto. I cecchini inoltre, avrebbero la possibilità di mietere altrettanti soldati – e soprattutto ufficiali – prima di essere individuati ed eliminati fin dalle prime fasi di avvicinamento all’obiettivo.

Così il vantaggio numerico – che Mosca considera in una stima di 6 a 1 – verrebbe assottigliato delle tecniche di “guerriglia urbana”, fino a riequilibrare le forze e minare il morale degli attaccanti. Terrorizzando le ondate successive che vedrebbero la morte come unico probabile destino. A tal fine, l’impiego di bombe ad altissimo potenziale come la Gbu-43/B Massime Ordnance Air Blast ( più nota come Moab) usata degli americani per distruggere le reti di bunker sotterranei in Afghanistan, potrebbe avere luogo. Parliamo delle bombe russe Fab-3000, ordigni che contengono 2.983 kg di esplosivo (Tnt). La grandezza dell’area e la mancata conoscenza degli obiettivi precisi, tuttavia, potrebbe suggerire altre drammatiche opzioni delle quali è già stata fatta menzione. L’ultima offensiva per garantire il controllo dell’acciaieria, spetterebbe comunque alle forze di terra.

Sullo sfondo, restano i tetri resti di una città fantasma ancora abitata da un quarto della popolazione prebellica, che ha lungo è rimasta senza cibo, acqua, e medicine, o ora può solo sperare nei rifornimenti degli occupanti russi. Mosca ha avvertito che se l’ultimatum di oggi non sarà rispettato, “in caso di ulteriore resistenza, saranno tutti eliminati”. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha invece dichiarato che i negoziati per una pace cesseranno definitivamente se i russi uccideranno i difensori della città. A Mariupol, quindi, si decide il futuro della guerra in Ucraina.





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