Guerra /

Stati Uniti e talebani sono tornati a parlarsi, in Qatar, ad oltre tre mesi di distanza dalla brusca interruzione delle trattative di pace voluta dal presidente americano Donald Trump. Zalmay Khalilzad, l’inviato americano per l’Afghanistan, ha incontrato esponenti del gruppo radicale islamico per la prima volta da settembre ed è possibile che l’incontro apra la strada alle trattative tra i talebani ed il governo di Kabul, uno sviluppo fondamentale per mettere fine al conflitto che devasta la nazione dell’Asia centrale ormai dal 2001. L’incontro di Doha giunge in seguito ai colloqui svoltisi, a Kabul, tra Khalilzad ed il presidente afghano Ashraf Ghani. Il gruppo islamico non riconosce l’autorità dell’esecutivo del Paese definendolo un “fantoccio degli Stati Uniti.”

Una guerra senza fine

Il presidente Trump ha ripetutamente espresso la volontà di porre fine al conflitto in Afghanistan e di riportare a casa i 12mila soldati di stanza nella nazione. I talebani controllano circa la metà del territorio dello Stato e sembra ormai molto difficile che il solo approccio bellico possa bastare a ridimensionarne il peso specifico. La ricerca di un accordo con il gruppo radicale presenta, però, inevitabili rischi: il ritiro americano, infatti, esporrà il governo di Kabul a compromessi e lo porrà in una posizione strategicamente più debole. È anche vero, però, che la mancanza di risultati prodotta dalla lunga campagna bellica americana ed il numero di caduti tra i soldati rischia di rendere sempre più impopolare lo sforzo bellico e di generare effetti nefasti nei confronti della popolarità di Trump. La questione, dunque, è particolarmente intricata e presenta molteplici rischi: su tutti quello che, in un prossimo futuro, i radicali islamici possano tornare ad esercitare il predominio politico su Kabul ed a generare una pericolosa instabilità sullo scacchiere dell’Asia centrale.

Gli sviluppi

Sembra piuttosto improbabile, infatti, che talebani e governo centrale possano convivere in un Afghanistan pacificato. Le due parti mirano ad esercitare un controllo territoriale esclusivo e possibilmente totale e non è chiaro come potrebbero coesistere senza tornare ad affrontarsi sul campo di battaglia. Non è escluso, infatti, che dopo una breve tregua Kabul debba tornare ad affrontare i radicali islamici priva, però, dell’ombrello protettivo di Washington. L’instaurazione di un regime estremista in Afghanistan significherebbe il fallimento della ultradecennale strategia di contenimento attuata dagli Stati Uniti nella regione e ciò presenterebbe anche una minaccia per la stabilità dell’Asia centrale e genererebbe più di qualche grattacapo a Mosca e Pechino. Le due superpotenze, infatti, sono particolarmente esposte alle infiltrazioni del radicalismo islamico proveniente dalla regione dello Xinjiang per quanto riguarda la Cina e degli Stan dell’Asia Centrale per quanto concerne la Russia. L’interesse al contenimento dei talebani sembra, però, aver lasciato il posto alle esigenze della realpolitik e probabilmente si è preso ormai atto del fatto che un accresciuto peso politico del gruppo radicale è ormai inevitabile. I negoziato con Washington si reggono comunque su basi molto fragili e le complesse dinamiche del conflitto afghano potrebbero alterarli in ogni momento esponendo, in questo modo, l’Afghanistan a nuove incertezze.

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