La prima vera spaccatura tra est e ovest alla fine della Seconda guerra mondiale, si è avuta con la firma stessa della resa della Germania. Il contesto è quello dei primi giorni di maggio del 1945. Berlino è occupata dalle truppe sovietiche, Usa e alleati si apprestano ad occupare Amburgo e la restante parte del territorio tedesco ancora formalmente in mano nazista. Il mondo oramai ha appreso della morte di Adolf Hitler: il 2 maggio, nel giorno della resa di Berlino ai russi, è stato lo stesso generale Helmuth Weidling ad annunciarlo. Resta quindi soltanto da apporre la firma dove si sancisce la capitolazione tedesca.
Il 7 maggio, nel quartier generale alleato di Reims, alle 2:41 tocca al generale Alfred Jodl siglare la resa della Germania. Nel documento, viene sancita la fine delle ostilità a partire dalle ore 23:01 dell’8 maggio. Ma a Mosca il leader sovietico Josep Stalin va su tutte le furie. Sono sue le truppe che hanno preso Berlino e pretende quindi che la resa nazista venga firmata davanti ai suoi generali. Gli alleati lo accontentano. Per cui lo stesso 8 maggio viene organizzata una nuova cerimonia tra le macerie della capitale tedesca. Questa volta è il feldmaresciallo Wilhelm Keitel a mettere la firma. Sono le ore 23:00 in Germania, a Mosca per via del fuso orario si è già al 9 maggio. Ed è questa la data scelta dal mondo orientale comunista per commemorare, da quel momento in poi, la vittoria della Seconda guerra mondiale. Mentre in occidente le commemorazioni saranno sempre l’8 maggio.
Una differenza di data ma anche di significato
Due date differenti per quelli che, da lì a breve, sarebbero diventati due blocchi differenti. A Berlino infatti ben presto ci sarebbero state due cerimonie ogni anno per ricordare la resa tedesca. A ovest del muro costruito all’inizio degli anni ’60, le commemorazioni avranno luogo l’8 maggio. Nella parte ad est del muro invece, le parate saranno esclusivamente il 9 maggio. Ma non è soltanto una questione di data. Le celebrazioni, a seconda che ci si trovi dall’una o dall’altra parte della cortina di ferro, avranno due significati diversi.
Nel mondo occidentale la resa tedesca sarà sì sempre ricordata, ma in nessuna nazione sarà mai la festa nazionale per eccellenza. Nel blocco orientale invece, il 9 maggio diventerà subito la principale ricorrenza. Anche se soltanto nel 1965 in Unione sovietica le autorità dichiareranno ufficialmente quel giorno come festa nazionale. Un giorno rosso da segnare nel calendario, in cui chiudere uffici e scuole e permettere alla gente di ricordare cosa è avvenuto nel 1945. E questo perché il 9 maggio non si è avuta, secondo la prospettiva sovietica, soltanto una vittoria militare. Ma, al contrario, si è garantito all’intero Paese la sopravvivenza. In poche parole, in tutta la Russia il giorno della vittoria è il giorno del riscatto, un vero e proprio snodo fondamentale per la propria identità. Non a caso ancora oggi a Mosca ci si riferisce alla Seconda guerra mondiale con l’espressione “grande guerra patriottica“.
Una festa celebrata solo a partire dal 1965
Eppure, come detto in precedenza, è soltanto vent’anni dopo la capitolazione tedesca che il 9 maggio è diventato festa nazionale. Considerando il periodo storico che l’Urss stava attraversando nel 1965, contrassegnato da un forte braccio di ferro politico e militare con gli Stati Uniti nell’ambito della Guerra fredda, è possibile capire il motivo per cui a Mosca si è aspettato tanto prima di festeggiare ufficialmente il 9 maggio. Il ricordo della vittoria nella grande guerra patriottica è diventato infatti occasione per esibire al mondo la forza sovietica. Mostrare cioè i progressi militari e rivendicare la possibilità di duellare alla pari con il blocco occidentale.
Il ricordo della sopravvivenza si è quindi trasformato nella celebrazione dei progressi del Paese. Da celebrare con tanto di grandi parate sulla Piazza rossa. Qui, davanti al palco allestito per ospitare i segretari del partito comunista e i membri del Politburo, in occasione della festa i soldati dell’armata rossa ripropongono la sfilata della vittoria celebrata il 24 giugno del 1945. Tuttavia, le marce sulla Piazza Rossa non hanno mai avuto cadenza annuale. I raduni dei militari e dei dirigenti sulla principale piazza di Mosca sono stati organizzati mediamente una volta ogni cinque anni. In occasione cioè degli “anniversari tondi“, ancor più ricchi di significato. L’ultima sfilata dell’era sovietica si è tenuta il 9 maggio 1990. Un anno dopo dal pennacchio del Cremlino è stata ammainata la bandiera rossa. Ma per la nuova Russia nata dalle ceneri dell’Urss, il giorno della vittoria ha continuato a essere un momento fortemente identificativo.
La festa nella Russia di Putin
Paradossalmente, le parate del 9 maggio sono diventate una tradizione annuale soltanto negli ultimi anni. E anche qui è possibile comprenderne il perché leggendo tra i meandri del contesto storico russo a cavallo tra i due secoli. Una Russia senza più impero ha avuto bisogno di simboli identitari ben precisi. Con l’avvento nel 2000 di Vladimir Putin poi, il ricordo della “grande guerra patriottica” ha assunto un’importanza ancora più marcata. Per rilanciare il ruolo della Russia nel mondo, obiettivo in cima all’agenda politica del presidente russo, è impossibile non passare dal ricordo della vittoria del 1945.
Nel 2005, in occasione dei 60 anni della capitolazione tedesca, a Mosca sono arrivati anche i leader occidentali. Le parate hanno assunto l’aspetto di una delle più grandi celebrazioni mai organizzate. E da allora si ripetono con cadenza annuale. Oggi, con la guerra in Ucraina, il 9 maggio non mancherà di essere l’occasione per Putin di dare ulteriore linfa alla sua propaganda.