Grande è la confusione sotto il cielo dell’Unione Europea. Una volta di più, il lessico burocratico impedisce di avere una visione chiara della realtà e l’Ue si incarta di fronte alla sfida delle sanzioni alla Russia. “Pagare in rubli significa violare le sanzioni. Ed è una violazione anche dei contratti stipulati che prevedono in quale valuta pagare. E i contratti indicano euro o dollari, mai rubli”. Lo ha detto il vice presidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, rispondendo nel corso della conferenza stampa sul piano RepowerEu ad una domanda sull’apertura di due conti da parte di Eni presso Gazprombank.
Una risposta indicativa nella sua natura evasiva: Timmermans non menziona esplicitamente il Cane a sei zampe e le altre aziende che hanno scelto di aprire i “Conti K” presso Gazprombank come colpevoli di violazioni, ma ammonisce sul fatto che l’idea stessa di aprire un conto denominato in euro ed uno denominato in rubli può causare problemi. Sfumando ma non togliendo senso alle dichiarazioni di ieri della Commissione Europea, secondo la quale “la procedura di pagamento prevista dal decreto russo del 31 marzo violerebbe le sanzioni Ue, ma ci sono opzioni disponibili per le aziende per continuare a pagare il gas in euro o dollari in linea con i contratti concordati”.
L’apertura di un conto bancario presso Gazprombank non viola le sanzioni, a patto che il conto non sia in rubli. Ma anche qualora decidessero di farlo, come molti attori occidentali hanno deciso, gli operatori dovrebbero dichiarare chiaramente che intendono adempiere ai propri obblighi derivanti dai contratti esistenti e considerarli adempiuti pagando in euro o dollari. E la prima fase del pagamento delle forniture russe, secondo il decreto di Vladimir Putin di fine marzo e secondo quanto si apprestano a fare le società energetiche (Eni compresa) avviene effettivamente in valuta occidentale. Delegando a una procedura interna al sistema finanziario russo la decisione di convertire euro o dollari in rubli.
E, alla lettera, il comunicato stampa di Eni scritto nella giornata di ieri appare un capolavoro tattico di resistenza a ogni possibile vincolo alle sanzioni: il Cane a sei zampe scrive di aver scelto di aprire i conti in rubli unicamente per fini cautelativi e temporaneamente, per garantirsi contro ogni accusa, specificando del resto che “Gazprom Export e le autorità federali russe competenti hanno confermato che la fatturazione (effettivamente giunta ad Eni nei giorni scorsi nella valuta contrattualmente corretta) e il relativo versamento da parte di Eni continueranno a essere eseguiti in euro”.
Gazprom, la cui banca non è colpita dalle sanzioni occidentali, ha inviato una lettera a tutti i suoi clienti europei spiegando che avrebbero potuto continuare a pagare il suo gas senza violare le sanzioni grazie ad un nuovo decreto del Cremlino dell’inizio di maggio. Una missiva, all’indomani dello stop della fornitura a Polonia e Bulgaria che si erano rifiutate di saldare il conto nella valuta russa, in cui si chiariva la procedurà i saldi in euro, o dollari, sarebbero scambiati dal Centro nazionale di compensazione russo, escludendo ogni rapporto diretto con la Banca centrale di Mosca, sotto sanzioni.
In quest’ottica nella ridda di interpretazioni, sulla carta “hanno ragione tutti”, nota Il Fatto Quotidiano. L’Ue con la lettera della norma, le compagnie petrolifere con la prassi che non prevede il pagamento in rubli. E “Bruxelles continua a giocare con le parole verosimilmente per dissimulare il via libera all’adesione del meccanismo chiesto da Mosca. Oltre a Eni hanno già lasciato intendere che aderiranno al nuovo sistema la tedesca Uniper, l’austriaca Omv e la francese Engie”. Mentre l’Ungheria di Viktor Orban va addirittura oltre e non chiude all’ipotesi stessa di pagare direttamente in rubli.
Il punto di fondo è che anche con la guerra ai suoi confini e le sanzioni in attività Bruxelles non perde la tendenza a comportarsi come un organismo tecnocratico fondato sulla formalità del gergo giuridico e non sulla sua trasformazione in sostanza. Possiamo dare torto a Eni se di fronte al rischio di un blocco del mercato ha voluto tutelarsi contro il tracollo dei suoi affari e dei suoi approvvigionamenti in un quadro politico e normativo incerto? Possiamo pensare lo stesso di altre major in altri Paesi? O forse nella situazione a macchia di leopardo delle sanzioni alla Russia il governo dell’incertezza dovrebbe essere politico prima ancora che burocratico? Di fatto si è optato per il no all’embargo al gas russo, ma non lo si vuole ammettere. Il palleggio tra Commissione e Paesi è solo un tentativo di fare melina prima di dover ammettere l’inevitabile. E cioè che per Eni e le altre compagnie, di fatto, continuerà il business as usual. Imponendo di ripensare il senso profondo e strategico delle sanzioni alla Russia scelte finora.