I leader europei tirano lungo sul piano di Mario Draghi, sostenuto da Emmanuel Macron e dai leade dell’Europa meridionale, per istituire un tetto ai prezzi del gas messo sul tavolo dal premier alla riunione del Consiglio Europeo. Al momento, secondo quanto battuto dalle agenzie citando fonti europee, non ci sono piani per una riunione straordinaria del Consiglio europeo a luglio sul tetto al prezzo del gas russo. Radiocor specifica che la richiesta di tale summit era stata fatta dal premier italiano Mario Draghi e, secondo le stesse fonti, non ha avuto seguito concreto per la mancanza di accordo in Europa.
Ad oggi dunque, non si smuove nulla per quanto riguarda la presenza di nuove riunioni a livello di capi di Stato e di governo prima della pausa estiva: il prossimo Consiglio Europeo è infatti convocato per il 20-21 ottobre, tra quattro mesi. E se pensiamo che quattro mesi è proprio il tempo che ci separa dall’inizio della guerra in Ucraina e in cui si sono sdoganate tutte le sue conseguenze più problematiche, si ha un’idea di come il rifiuto di un summit a luglio equivalga a un doloroso autogol.
A prescindere del fatto che il piano di Draghi passi o meno, è l’estate l’opzione ideale per discutere di politiche riguardanti il gas e i suoi prezzi. Il caro-energia comincerà a far pesare il suo conto più salato proprio tra settembre e ottobre se per allora i Paesi europei non avranno concordato misure tali da ridurre la dipendenza dalla Russia senza pregiudicare il riempimento degli stoccaggi. E solo una decisione ad opera del Consiglio Europeo, dunque degli Stati che mantengono il potere d’indirizzo sull’Unione Europea, può mobilitare la Commissione von der Leyen a agire per implementare il blocco al boom dei prezzi.
Una riunione a luglio sarebbe decisiva e utile per capire se la proposta di Draghi è fattibile o se i dilemmi su politiche di concorrenza, costi e possibili impatti sul mercato delle majors impongono di cercare soluzioni alternative. Ma una cosa è certa: l’Europa non può permettersi di andare al mare mentre la crisi energetica morde e si prepara un inverno politicamente molto rigido, di grande incertezza. Continuare con l’istinto del sonnambulo rischia di mandare l’Europa a schiantarsi anche, se non soprattutto, perché la sfida energetica si inserisce in un quadro più complesso. A luglio la Banca centrale europea opererà la stretta monetaria e terminerà l’Asset Purchase Program: un tagliando politico tra i leader europei sulle prospettive che questo scenario apre può essere un’occasione chiave per arrivare con le idee più chiare alla stagione autunnale in cui si sommeranno le dinamiche energetiche e la partita per l’analisi dei bilanci dei Paesi membri. Decidere di non decidere significa condannarsi all’ignavia: molti leader europei si incontreranno in summit come quello del G7, ma solo un vertice corale dei Ventisette può dare il là a un’accelerazione politica e strategica sulla risposta alla crisi.
Molti sono i nodi gordiani da sciogliere. La partita energetica, quella dell’inflazione, quella dei bilanci si sommano ai dibattiti sul futuro assetto dell’Europa: dal piano per la transizione energetica alla questione dei semiconduttori, dal coinvolgimento di Bruxelles nella mediazione in Ucraina al futuro delle regole come il Patto di Stabilità alla luce del rischio di una nuova recessione. Tutto questo può e deve essere discusso tra governi, vertici di Bruxelles, istituzioni ad alti livelli e il gas può essere il “ponte” attorno a cui costruire un’agenda nuova, di discontinuità, capace di rompere le regole.
Le resistenze che avevamo, nelle settimane scorse, colto dalle fonti europee consultate in materia di tetto ai prezzi del gas, timorose in particolare sul fatto che potesse esser minata la concorrenza comunitaria, si sono sommate a quelle dei falchi più radicali nel frenare una discussione che avrebbe potuto generare una vera discontinuità. Quanto di più temuto da chi vuole un’Europa capace di agire unicamente col pilota automatico. A costo di tirarsi la zappa sui piedi, di decidere di non decidere quando più sarebbe necessario prima che la tempesta autunnale avazi. Il pilota automatico punta in direzione dell’iceberg: il Titanic-Europa saprà evitarlo solo se saprà riacquisire coraggio politico. “When facts change, I change my mind”, diceva John Maynard Keynes. L’eccesso di coerenza con i dogmi e il timore di un cambiamento necessario può sfociare, oggigiorno, in un’ottusita rovinosa per la politica e l’economia comunitaria.