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A un anno e mezzo abbondante dall’inizio dalla pandemia di Covid-19 i prezzi delle materie prime e dell’energia sono sull’ottovolante. La fase attuale, un vero e proprio ciclo rialzista che sta trascinando verso l’alto i prezzi delle materie prime energetiche, si inserisce nel quadro della ripartenza massiccia dell’inflazione sulla scia della fase di crescita economica del 2021 che va coinvolgendo le maggiori economie del pianeta. Dal gas naturale al petrolio, tutte le risorse costano sempre di più e mentre i principali Paesi preparano ampi piani di transizione ecologica le domande di breve periodo della cittadinanza e delle imprese sono rivolte a una ben più pragmatica richiesta di sicurezza energetica per la crescita delle bollette, dei prezzi della benzina alla pompa, delle incertezze sulle forniture. Un insieme di criticità che si somma al parallelo ciclo rialzista dei materiali da costruzione nel gettare nubi sulla fase di ripresa economica globale che, dopo aver perso impulso in Cina e negli Usa, va perdendo forza anche nell’Unione europea.

Una situazione caotica

In quest’ottica, parliamo di una situazione che è in larga parte legata alle durissime criticità accumulatesi nei mesi seguiti all’inizio della pandemia e al consolidarsi di una situazione di incertezza che, nel corso di un anno e mezzo, non si è mai diradata. Nell’arco della pandemia inizialmente i prezzi di molte materie prime sono tracollati per lo choc economico globale in corso e per la destrutturazione delle catene del valore globali; in seguito, l’alimentazione del grande gioco finanziario ha ravvivato le quotazioni a partire dai titoli borsistici e dei futures, prima che fosse la ripresa economica concreta a fare il resto.

Il Financial Times, in quest’ottica, ha sottolineato come la situazione, nel corso dei mesi, si sia praticamente ribaltata rispetto a un problema iniziale di deperimento della domanda rispetto alla capacità di offerta dei mercati. Il quotidiano della City di Londra ricorda infatti che il rimbalzo della domanda non è stato corrisposto da un’analoga capacità dell’offerta di starvi dietro, soprattutto per quanto riguarda la più strategia fonte fossile, il gas naturale, le cui scorte sono ai minimi in tutte le economie più avanzate, Europa in testa. Una situazione molto simile a quanto accaduto nel mercato dei chip, che racconta molto dell’era presente.

Quando il Covid ha sconvolto i mercati

Molti sono i ricordi accumulatisi in questo lungo anno e mezzo pandemico, ma gli osservatori più attenti difficilmente dimenticheranno quanto accaduto il 20 aprile 2020, giorno in cui per la prima volta nella storia il prezzo del petrolio è finito in territorio negativo nei mercati. Segno che nell’economia globale stava andando in onda uno spettacolo mai visto prima, preludio di una crisi senza precedenti. Quel giorno il greggio texano dell’indice Wti, già crollato notevolmente nei giorni successivi all’accordo sui tagli della produzione tra Russia, Stati Uniti e Paesi Opec, ha perso oltre il 190% del suo valore e a fine sessione era quotato a -16 dollari al barile sui mercati finanziari. Senza toccare livelli simili, anche il gas naturale ha subito simili sconvolgimenti, crollando di prezzo in 23 mercati europei su 25 che piazzano i propri valori per l’oro blu.

In queste dinamiche si può leggere la motivazione che ha prodotto dapprima lo schianto dei prezzi e, in seguito, il rimbalzo deciso del 2021. Le materie prime hanno visto una destrutturazione del circuito domanda-offerta; analogamente i prezzi dei titoli e delle “scommesse” associate al loro commercio sono precipitati prima che le banche centrali lanciassero i piani di stimoli e i governi iniziassero gli investimenti; soprattutto, imprese e governi hanno inopinatamente proseguito sulla strategia del consumo delle scorte pregresse nel campo del gas e del petrolio mentre, sul fronte dell’energia elettrica, iniziavano a farsi sentire le asimmetrie legate alle necessità della transizione energetica. Operazione richiedente una quota di investimenti tale e una svolta verso l’efficienza tanto importante da promuovere investimenti a cascata e potenziale sviluppo, ma sul breve periodo fonte di un aumento dei costi per le utilities e i consumatori.

Il nodo logistica sulle materie prime

Dunque, all’estate 2020, quando le attività delle economie iniziavano a riprendere la loro marcia dopo i lockdown, il sistema energetico globale si trovava di fronte a profonde inefficienze, lontano dal mito della “resilienza” che avvolge i giorni nostri, e a tale problematica strutturale si sarebbe presto aggiunta la cruciale sfida della logistica.

Il faticoso tentativo di rilancio dell’industria e dei commerci ha messo sotto stress l’intera filiera. Concentriamoci sull’Europa, per fare un esempio: la ripresa delle produzioni industriali ha richiesto una quota crescente di petrolio, gas naturale, energia elettrica, oltre ovviamente a tutta una serie di materiali (dall’acciaio al Pvc) la cui estrazione, lavorazione e consegna richiede una catena logistica ottimale; la carenza di scorte seguita alla prima fase del Covid ha imposto a produttori e decisori di portare avanti, parallelamente, una politica di acquisizione di fonti da pronto utilizzo e una di ricostituzione delle riserve; la dipendenza da fonti di approvvigionamento estere ha esaltato il ruolo di produttori come la Russia aumentando l’incertezza nella concessione di tali rifornimenti; nello stesso periodo, la fase di euforia borsistica ha trascinato verso l’alto i prezzi dei titoli associati all’energia; la ripresa dei commerci globali ha messo in difficoltà la logistica e incrementato ulteriormente la domanda del sistema.

La società di consulenza PwC ha parlato dei problemi delle catene logistiche energetiche sottolineando come per le imprese sarà in futuro sempre più strategica la questione del procurement, l’approvvigionamento di risorse. Inoltre, il mercato mondiale si è dimostrato ben poco flessibile e dipendente da flussi che passano su rotte ben precise: il caso del blocco del canale di Suez nei mesi scorsi ha ben esplicitato la natura delle sfide a cui si trova di fronte il mondo dell’energia.

Il dilemma del mercato elettrico

Il mondo dell’energia elettrica è chiaramente reso più complesso dalla corsa delle materie prime alla base della strategia attuale di generazione, ma è ulteriormente perturbato da ulteriori dinamiche di mercato. Come sottolinea Formicheinfatti, i costi della transizione previsti per il prossimo futuro possono ripercuotersi oggi sui prezzi di mercato, come dimostra l’andamento dei prezzi dei permessi di inquinamento europei: “Oggi produrre una tonnellata di CO2 costa al produttore 62,4 euro, il doppio dell’anno scorso e dodici volte il prezzo di quattro anni fa”. In questo fatto c’entra “la progressiva riduzione di carbon certificates a opera dell’Ue, che alza i prezzi. Ma se serve elettricità c’è poco da fare, le centrali devono provvedere, accollarsi il costo e scaricarne una parte sul cliente finale”.

La scelta di Bruxelles di proporre una strategia di decarbonizzazione che si fonda su una netta riduzione delle emissioni (Fit for 55), in quest’ottica, unitamente ai grandi investimenti in atto ad opera di governi e utilities e del rilancio del ciclo domanda-offerta con tutte le sue criticità ha galvanizzato i prezzi. Non è il piano in sé, che si pone obiettivi sostanzialmente realistici e che potranno portare benefici economici sul medio periodo il problema, quanto piuttosto il fatto che non si sia deciso di puntellarlo con strategie volte a favorire una riduzione degli oneri fiscali e dei prezzi associati all’energia elettrica, come richiesto dal viceministro dell’Ambiente spagnolo Teresa Ribera. Il primo ministro di Madrid, Pedro Sanchez, ha operato un taglio dell’Iva sull’elettricità per evitare problematiche economiche e sociali associate al caro-bollette. Ora più che mai difficile da controllare: Madrid ha visto il 13 settembre l’elettricità all’ingrosso sfondare quota 154 euro al megawatt ora (MWh), ma come prosegue Formiche anche “il benchmark chiave per l’Ue, basato sulla Germania, ha infranto i record venerdì scorso toccando la cifra di 97,25 euro per megawatt ora (MWh). Contemporaneamente la controparte francese sfiorava il proprio picco storico di 100,4 €/MWh . Per contestualizzare, la media europea a inizio 2020 si aggirava intorno ai 36 €/MWh”, segno di un rincaro potenzialmente incontrollabile.

Le problematiche strutturali accelerate dal Covid-19, in questo contesto, sono oramai slegate dalla pandemia, il cui impatto economico ha prodotto prima, nel 2020, una crisi simmetrica per tutte le economie avanzate e, oggigiorno, una fase di acuta incertezza e volatilità che mostrano limiti e contraddizioni del sistema moderno. Incertezza che appare slegata dal ciclo aperture/chiusure, dal trend di vaccinazioni, dall’andamento dei contagi da Covid ma riguarda, piuttosto, l’emersione di diverse criticità di sistema che nelle materie prime hanno il loro punto di caduta mano a mano che emerge la difficile convivenza tra economia reale, finanza, commerci nel campo delle risorse alla base del nostro sistema.

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