Una flotta di petroliere fantasma per aggirare le sanzioni occidentali che hanno colpito il petrolio russo. Sarebbe questo lo strumento principale attraverso il quale Mosca aggira indisturbata i divieti imposti dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina.
Quanto è grande la flotta fantasma?
Difficile prevedere la quantità di naviglio impiegato in queste operazioni sottotraccia: le stime andrebbero da un minimo di 100 (secondo una stima del Financial Times del dicembre scorso) a un massimo di 600 navi (ovvero il 10% almeno di tutte le navi cisterna esistenti): il range comprenderebbe sia le vecchie imbarcazioni acquistate dalla Russia che la flotta occulta gestita da partner di Mosca, Iran e Venezuela in primis, già colpiti da sanzioni occidentali negli anni precedenti e che compiono una continua navetta da e per il Paesi non allineati. E i numeri continuerebbero a salire. Un complesso intreccio che passa anche da società di comodo i cui uffici sono a Dubai o Hong Kong e che smerciano petrolio al posto della Federazione, utilizzando imbarcazioni di seconda mano dall’Europa e vere e proprie carrette del mare. Proprio poche settimane fa l’Unione Europea ha sanzionato la Sun Ship Management, una sussidiaria di della più grande compagnia di navigazione russa (Sovcomflot) per essere stata coinvolta nel trasporto di petrolio russo del quale il beneficiario finale era proprio Mosca.
Una flotta in continua espansione
Non a caso, come testimoniano le ricerche di Global Witness, un quarto delle petroliere vendute nel periodo compreso tra il febbraio 2022 e gennaio 2023 sarebbe avvenuto da parte di acquirenti ignoti: il doppio rispetto al 2022. Le compravendite sono possibili attraverso broker di basso profilo e depositari (i cosiddetti escrow agents) che si trovano spesso ad operare all’interno di paradisi fiscali (come Singapore, ad esempio) sebbene, secondo le regole del commercio marittimo internazionale, per ogni passaggio di mano debba essere sempre possibile rintracciare il passaporto dell’Ultimate Beneficiary Owner (UBO). E i prezzi continuano a salire: se fino ad un anno fa una petroliera costava sui 17 milioni di dollari ora può arrivare a costarne quasi 40.
Una flotta in continua espansione legata alla sostituzione dei clienti europei con quelli in India e Cina; si stima che Pechino abbia portato la sua richiesta a 1,9 milioni di barili al giorno mentre New Delhi avrebbe registrato un aumento del 800% delle importazioni di greggio, giunte a 900mila barili al giorno (Dati IEA). Un picco raggiunto nel mese di gennaio per via del divieto imposto dall’Europa sul petrolio russo importato via mare. Questo cambio di committenti richiede imbarcazioni pronte ad affrontare viaggi più lunghi nonché amatori compiacenti pronti ad assumersi una quantità di rischi legali.
Naviglio “grigio” e naviglio “oscuro”
Le stime per questa operazione sfiorerebbero secondo gli analisti i 2 miliardi di dollari di cui poco più di un terzo speso nell’ultimo anno. Un’esigenza che la Russia ha per evitare di far capitolare le proprie esportazioni di petrolio: le stime portano a circa 240 le petroliere che sarebbero necessarie a Mosca per mantenere il proprio flusso di esportazione. L’annuncio, nello scorso marzo, di un probabile taglio di 500mila barili al giorno, secondo molti, è stato il segno di una manifesta incapacità di stare al passo con il naviglio necessario.
C’è dunque da chiedersi chi venda imbarcazioni alla Russia. Matthew Wright, analista presso Kpler, società che si occupa di analisi dei mercati, la flotta ombra si dividerebbe in due grandi categorie: le “gray ships” e le “dark ships“. La prima categoria sarebbe stata venduta da armatori europei (responsabili del 36% del commercio di greggio russo solo a gennaio, secondo le stime) a società in Asia e in Medio Oriente che in precedenza non aveva alcun tipo di esperienza nel mondo delle navi cisterna. La seconda tipologia, invece, è ben nota e riguarda quel naviglio utilizzato da Iran e Venezuela per eludere le sanzioni e che ora sarebbero dedite al trasporto del greggio russo, sparendo dai radar semplicemente disattivando i loro transponder AIS.
Chi trasporta il petrolio russo?
Secondo una ricerca dell’Institute of International Finance, la Grecia avrebbe un ruolo cruciale in questi movimenti, avendo trasportato fino a prima della guerra il 35% del petrolio russo in ingresso in Europa: la stessa ragione per la quale la Grecia era stata esentata dal sesto pacchetto di sanzioni. Ma accanto a questo è stato rilevato che numerose compagnie di navigazione greche hanno poi cambiato bandiera alle proprie navi per eludere le restrizioni via via più stringenti oppure hanno venduto navi alla Russia a prezzi incredibilmente gonfiati.
La corsa all’ultima petroliera sta moltiplicando a dismisura nelle acque internazionali gli attori non statali che agiscono per conto della Russia. Ma soprattutto il numero di navi che viaggiano senza le tradizionali garanzie di sicurezza e che moltiplicano ogni giorno il rischio di incidenti potenzialmente disastrosi. Si teme che, solo nel 2022, gli operatori occulti legati alla Russia abbiano acquistato 29 megapetroliere (le VLCC) in grado di trasportare circa 2 milioni di barili alla volta e utili al trasferimento da nave a nave. A queste si aggiungerebbero una trentina di Suezmax (da un milione di barili, circa) e almeno una cinquantina di Afromax (da circa 700mila barili) in base alle stime degli analisti di Bne Intellinews. Secondo un’inchiesta della sezione business della Cnn, questo tipo di naviglio, inoltre, avrebbe un’età media superiore ai 12-15 anni, ovvero quella che viene considerata a livello internazionale come l’età massima di pensionamento delle navi cisterna.