Mentre la crisi energetica si fa sempre più incombente per l’Europa, Bruxelles prova a svegliarsi da un lungo torpore e a battere un colpo cercando strategie per gestire la sfida geopolitica con la Russia di Vladimir Putin da un lato e la corsa dei prezzi ad ogni livello dall’altro.

Che fare? La domanda aleggia nei palazzi di Bruxelles da mesi e chissà se alla Commissione o tra i governi dell’Unione Europea qualcuno non si sia poi pentito della scelta di negare nel luglio scorso a Mario Draghi il summit straordinario per discutere del tetto al prezzo del gas di cui oggi, dopo l’iniziativa presa dal G7 sul petrolio, si torna a parlare.

La Stampa ha avuto modo di visionare alcuni documenti tecnici della Commissione Ue che, dopo l’imprimatur di Ursula von der Leyen, ha iniziato a lavorare alacremente per capire laddove e in che misura il tetto al prezzo del gas sarebbe applicabile. Due le strategie: nel primo caso si imporrebbe una sanzione a Mosca sotto forma di prezzo vincolato del gas, ma servirebbe l’unanimità del Consiglio Europeo a rischio per i distinguo di Paesi come l’Ungheria, nel secondo si arriverebbe alla costituzione di un ente per gli acquisti comuni di oro blu da Mosca proponendo un prezzo comunque più conveniente per la Russia rispetto all’embargo alle forniture.

Acrobazia politica che segnerebbe una svolta nel contrasto a Mosca e un punto di non ritorno, oltre a rappresentare il raro caso di un compratore che prova a imporre il prezzo al venditore, la scelta di promuovere il tetto ai prezzi del gas, ora come ora, rischia di arrivare troppo tardi se promossa senza i dovuti supporti. E soprattutto, secondo quanto risulta a Inside Over, è insidiata da molti burocrati di Bruxelles desiderosi di evitare che un trasferimento del tetto ai prezzi sul mercato interno freni le regole sulla concorrenza che governano il mercato Ue.

Per trasmettere inoltre il tetto ai prezzi al mercato olandese finanziariazzato Ttf serve agire anche contro la speculazione e possibili distorsioni capaci di penalizzare il mercato principale dell’oro blu in Europa. La Stampa fa notare che come alternativa l’Ue sta valutando dii “agganciarsi al Jkm asiatico, che diventerebbe il mercato di riferimento”. Sarebbe uno schiaffo notevole all’Olanda e va capito in che misura L’Aia si opporrà a questa misura.

Più fattibile, nel breve periodo, appare la prospettiva di creare delle zone “rosse” di sicurezza entro cui calmierare i prezzi dei mercati garantendo acquisti calmierati rispetto al paniere Ttf a Italia, Germania e Paesi dell’Est, e quello di slegare i prezzi dell’elettricità generata via rinnovabili da quella generata via gas.

Il cosiddetto sistema pay-as-clear, oggi utilizzato per prezzare l’energia, venne introdotto con l’istituzione del mercato dell’energia europeo, comune e liberalizzato fra il 1998 e il 2000 e si basa sul tema del costo marginale: sul mercato viene innanzitutto commercializzata l’elettricità prodotta con costi marginali minori, in genere quella da rinnovabili che hanno costi marginali di base nulli per aumentare di una stessa unità la loro produzione, e poi quella prodotta con costi maggiori. Il prezzo finale dell’energia venduta sul mercato in ogni momento è lo stesso per tutti in una precisa zona geografica, in Europa coincidente con i confini degli Stati, ed è direttamente proporzionale a quello dell’ultima centrale elettrica che mette risorse sul mercato, in genere nell’Ue una centrale a gas. In questa fase dunque aumenta la convenienza delle rinnovabili e sganciare i due prezzi può creare mercati diversi in termini di ordine di merito.

A nostro avviso tali misure, in un’ottica di mercato energetico in crisi, possono indubbiamente avere un senso se promosse complessivamente. Ma con la stagione delle leggi di bilancio in arrivo e la prova del fuoco del rialzo dei tassi e del possibile ritorno graduale alla “censura” di bilancio da parte della Commissione, in attesa del ritorno a pieno regime del Patto di Stabilità per ora ancora sospeso, una manovra aggiuntiva deve essere fatta sul fronte del “giubileo” del debito energetico accumulato dai Paesi per sostenere la crisi del caro-bollette e lottare contro le disuguaglianze interne.

Il Financial Times sottolinea come “il Fondo Monetario Internazionale stimasse a luglio che il paese europeo ad alto reddito mediano avesse già speso un ulteriore 1% del reddito nazionale annuo per il sostegno ai prezzi dell’energia, una cifra che, a suo dire, è quasi certamente una sottostima e che è probabile che aumenterà. I paesi europei più poveri, dove l’energia rappresenta una quota maggiore della quota di bilancio, avevano già speso l’1,7 per cento del loro reddito nazionale”. Dal congelamento del caro-bollette per i redditi inferiori a 12mila euro l’anno in Italia al sussidio per l’acquisto di carbone in Polonia, dal salvataggio di Uniper in Germania alla nazionalizzazione di Edf in Francia, dal bonus da 200 euro dato in Spagna a quello di 1.300 euro emesso in Olanda contro  la crisi delle bollette, gli Stati europei stanno spendendo molto. Congelare questa spesa nel calcolo dei deficit nazionali appare una scelta razionale, essendo lo choc energetico simmetrico. E rappresenta una mossa per evitare che sul fronte del deficit si litighi per gli effetti della crisi energetica nei mesi a venire. Aggiungendo divisioni in un’Ue già fragile.

 





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