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La Norvegia è “scettica” sulla possibilità di un tetto al prezzo del gas importato dall’Unione Europea: Oslo sostiene che la misura non risolverebbe i problemi di approvvigionamento dell’Europa, come ha ricordato il premier Jonas Gahr Støre in una nota diramata dopo un colloquio telefonico con la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. “Siamo d’accordo sull’avere un dialogo ancora più stretto con l’Unione Europea in futuro sulle diverse proposte che sono sul tavolo”, ha comunicato il governo di Oslo. “Stiamo affrontando le discussioni con una mentalità aperta, ma siamo scettici riguardo a un prezzo massimo per il gas”, ha spiegato Støre, alla guida dello Stato divenuto il primo fornitore di oro blu per l’Europa dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.

Le vendite di petrolio e gas della Norvegia all’Europa hanno raggiunto livelli record l’anno scorso, prima di aumentare ulteriormente quest’anno dopo la svolta geopolitica del 24 febbraio. La Norvegia si è fatta avanti dopo la rottura tra Europa e Russia e il crollo delle forniture per aiutare a gestire i cali degli approvvigionamenti e, non solo metaforicamente mantenere accese le luci in Europa, massimizzando la produzione di gas. La Norvegia prevede di aumentare da 113,2 a 117 miliardi metri cubi le esportazioni annue. Per quanto riguarda l’Unione Europea, Rystad Energy ha stimato che prima della guerra in Ucraina, la nazione scandinava copriva solo il 20% della domanda di gas del blocco dei Ventisette a fronte del 40% della Russia. Dopo aver aumentato la produzione, si prevede che quest’anno consegnerà quasi 90 miliardi di metri cubi di gas all’Ue, o quasi il 25% della domanda complessiva,  diventandone primo fornitore. Questo dato è infatti superiore al 20% residuo della Russia. Per la Gran Bretagna, le importazioni di gas norvegesi potrebbero passare dal 41% della domanda totale nel 2021 a quasi il 50% nel 2022.

Tutto questo ha ovviamente prodotto per Oslo profitti notevoli. Il governo norvegese ha previsto a maggio che le sue entrate da petrolio e gas si sarebbero già avvicinate ai 100 miliardi di euro quest’anno. In un paese di 5,4 milioni di persone significa l’equivalente di 18mila euro a persona. I prezzi del gas sono raddoppiati da allora e ora vengono scambiati a più di dieci volte il livello medio del decennio precedente. Nel solo mese di agosto la Norvegia ha venduto, praticamente esclusivamente a Unione Europea e Regno Unito, gas per 13,26 miliardi di euro. La Norvegia ha chiaramente un significativo margine di manovra fiscale rispetto al passato: i ricavi da petrolio e gas sono stati inferiori a 30 miliardi di euro l’anno scorso.

Alcuni dirigenti del settore petrolifero e del gas al di fuori della Norvegia, a tal proposito, hanno sostenuto che la ricca nazione scandinava dovrebbe fare di più per aiutare l’Europa in vista di un inverno difficile in cui molti paesi potrebbero affrontare sia la recessione che i prezzi record dell’energia”, ha sottolineato il Financial Times. A oggi, è come se la Norvegia stesse vendendo petrolio a 400 euro al barile invece che ai tipici 100, e molti attori chiedono a Oslo un calmiere ai prezzi capace di portare ulterormente fuori mercato il gas russo. Støre ha detto in passato a più riprese che la responsabilità di qualsiasi accordo e su necessari calmieri ai prezzi ricade su società come Equinor, il gruppo petrolifero norvegese controllato dallo Stato, che gestiscono i giacimenti petroliferi e di gas della Norvegia e che “devono essere responsabili di stringere accordi a breve e lungo termine con i loro clienti in Europa”. Dalla Lituania all’Olanda, dalla Danimarca alla Polonia, molte nazioni che non possono più contare sulle forniture russe guardano con attenzione a Equinor e sulla Norvegia hanno fatto pressioni in direzione di un trattamento di favoro.

Ora è arrivata una presa di posizione politica che per un Paese tradizionalmente abituato a una diplomazia ben più felpata significa sicuramente molto. In primo luogo, la scelta esplicita di non voler fare sconti, essendo l’energia il primo determinante delle entrate pubbliche del Paese. In secondo luogo, la rivendicazione di un autonomia in campo geopolitico e securitario: Oslo, membro fondatore della Nato, ritiene di stare facendo la sua parte nel blindare il contenimento della Russia e non vuole essere stigmatizzata. Infine, il Ft ricorda che in ogni caso anche il Paese deve leccarsi le ferite della crisi dell’inflazione e dell’energia dei mesi scorsi dato che “il suo fondo sovrano da 1,2 trilioni di dollari, che investe i proventi di decenni di produzione di petrolio e gas, ha perso il 14,4%, o 174 miliardi di dollari, nella prima metà di quest’anno – più di quanto il governo possa guadagnare dai prezzi record di petrolio e gas” ed è dunque interesse della Norvegia rimpinguarlo.

L’Unione Europea sull’accordo per un tetto al gas acquistato dall’estero rischia di restare col cerino in mano. Se a snobbarla è la Norvegia, partner sistemico e nazione europea a sua volta, risulta difficile pensare come accordi quadro di questo tipo possano essere presi con Paesi come Qatar, Algeria o Azerbaijana patto di riuscire a monte a trovare un punto di caduta nelle discussioni sul tetto ai prezzi nel mercato interno. La realtà dei fatti è che ci sono nazioni vincitrici delle ricadute economiche della guerra che hanno come obiettivo principe il difendere le rendite di posizione acquisite. La Norvegia è una di queste, e per Oslo gli affari sono affari anche di fronte a un’Europa in crisi. Capace di scoprire troppo tardi quelle azioni di diversificazione e regolamentazione dei mercati interni che sarebbero state necessarie ben prima dell’attacco russo all’Ucraina.

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