La crisi politica in Libia e l’esplosione della protesta dei locali “Gilet Gialli” che hanno paralizzato l’export petrolifero hanno uno sconfitto chiaro e un vincitore indiretto. Lo sconfitto è il Vecchio Continente, seguito in second ordine dal G7 che aveva appena finito di pensare a una strategia di blocco dei prezzi del greggio. Il vincitore indiretto, ça va sans dire, è Vladimir Putin. Il quale trae vantaggio dalla situazione di caos nella sponda sud del Mediterraneo che alleggerisce le pressioni sanzionatorie su Mosca per il caos ucraino e, indirettamente, ne rimpingua i forzieri per l’effetto moltiplicatore sui prezzi e l’instabilità che ha generato.
I terminali di esportazione del petrolio di Zueitina, Brega, Ras Lanuf e Es Sider hanno visto l’export bloccato, la produzione petrolifera, secondo Al Arabyia, è scesa a circa 100mila barili al giorno, “quasi tutte le attività petrolifere e del gas nella Libia orientale sono sospese. Solo il giacimento di Wafa, che ha una capacità di 40 mila barili al giorno nel sud-ovest, è l’unico attualmente in produzione continua”, ha sottolineato Mohamed Aoun, ministro del Petrolio del governo di unità nazionale (Gun) guidato da Abdulhamid Dabaiba, in un’intervista a Bloomberg.
La National Oil Corporation (Noc) deve fare affidamento alle riserve per garantire le esportazioni, oggi comprese secondo le varie stime tra 365mila e 409mila barili al giorno, una diminuzione di circa 850mila barili al giorno rispetto all’attività in circostanze ordinarie. La Libia è sotto assedio per il carovita e i contrasti tra le milizie; la spericolata scelta di Dabaiba di cavalcare la protesta e l’assalto al Parlamento di Tobruk nell’area controllata dalle forze di Khalifa Haftar e dal governo “ribelle” dell’ex ministro degli interni Fathi Bashagha rischia di autoalimentare il caos.
Del resto, Tobruk ha visto le proteste più dure ma anche Tripoli, Bengasi, Misurata, città controllate da diverse fazioni militari e politiche, hanno visto i “Gilet Gialli” di Tripolitania e Cirenaica scendere in piazza. “Impoveriti, penalizzati da interruzioni di corrente elettrica fino a 18 ore al giorno con temperature che arrivano anche a 45 gradi, danneggiati dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari, senza carburante anche se il paese ha tra le più grandi riserve di petrolio accertate dell’Africa, i libici sono impantanati nel caos provocato dalle varie fazioni, spesso anche armate, e dai ripetuti round di conflitto tra i leader di Tripoli e Bengasi”, ha fatto notare l’analista esperto di Libia Michele Giorgio.
Nel frattempo il Wti sfonda quota 108 dollari al barile e il Brent è sopra quota 111; senza la prolungata fase di lockdown produttivi in atto in Cina, primo acquirente globale di greggio, virtualmente il prezzo del petrolio secondo molti analisti potrebbe essere ancora più alto. In Libia si stima, nota Repubblica, che le casse statali abbiano perso nelle ultime settimane tre miliardi di euro e il blocco delle esportazioni riduce le possibilità di conciliazione politica, la faida attorno al futuro della Noc e gli effetti a cascata della guerra per procura russa. Da tempo su InsideOver sottolineavamo come Mosca potesse, con l’arma alimentare e la mobilitazione indiretta delle sue pedine nello scacchiere del Mediterraneo, colpire alle spalle l’Europa e l’Occidente, infiammando il Nord Africa e imponendo un danno sistemico alle economie dei Paesi rivali. Il tema è stato sottolineato con forza anche da Daniele Ruvinetti, Senior Consultant della Fondazione Leonardo Med-Or e tra i massimi esperti di Libia in Italia, che ha indicato nel Mediterraneo allargato e nel Nord Africa aree vulnerabili alle conseguenze a cascata della guerra in Ucraina.
La crisi libica è una spina nel fianco di un’Europa fiaccata dalla tempesta energetica e dalle conseguenze geostrategiche della guerra nell’Est d’Europa. Rappresenta un problema anche per gli Stati Uniti, intenti a pressare l’Europa per accodarsi a una strategia di pieno contenimento della Russia sul fronte energetico che necessita però di un periodo di tregua e stabilizzazione dei prezzi in un contesto di diversificazione delle fonti. Concetto strategico chiaro e lapalissiano per uno Stato-continente indipendente sul fronte energetico e con confini pacifici come è nel caso di Washington, spericolato equilibrismo per un’Europa intenta a trascurare il fronte Sud, da febbraio in avanti, per impantanarsi nel contenimento di Mosca in Ucraina.
La Libia mostra le complessità dell’epoca della Guerra Fredda 2.0, in cui ogni teatro in crisi scatena conseguenze a cascata in scenari diversi e in cui tout se tien, ogni problematica rimbalza di contesto in contesto. Il pantano ucraino genera la crisi del carovita in Nord Africa e può impattare sotto forma di crisi alimentare, aprendo alle prospettive di una nuova fase di sommovimenti. E una volta di più le conseguenze più costose, sia economicamente che politicamente, possono essere nell’estero vicino di un’Europa assetata di energia e instabile. Ora più che mai intenta a camminare come un sonnambulo in un mondo agitato e inquieto, senza una strategia per gestire la complessità. La convergenza tra crisi ucraina e tensioni in Libia può generare una tempesta perfetta a partire dall’energia, tallone d’Achille di un Vecchio Continente sempre più incerto.