L’elettricità in Germania ha sfondato quota mille euro al megawattora per i contratti di fornitura con consegna al 2023 e anche nelle contrattazioni ordinarie si assesta oltre gli 800 euro/MWh, dieci volte il valore dell’anno scorso. Lo tsunami energetico di cui abbiamo parlato su queste colonne si è già espanso con effetto virale dal gas alla generazione elettrica ed è Berlino, una volta di più, la trincea maggiormente assediata. Un livello analogo è stato registrato in Francia, ma solo temporaneamente per la chiusura di alcuni reattori nucleari per riparazioni.

La Germania nel caos

Il continuo aumento dei prezzi sconvolge Berlino e la sua principale risorsa, l’industria manifatturiera ed esportatrice che rappresenta il centro della sua economia ed è volano dello sviluppo dell’intero Vecchio Continente, le industrie di buona parte del quale, dall’Est Europa all’Italia settentrionale, sono inserite nella sua catena del valore. E in vista dell’autunno e dell’inverno il combinato disposto tra rischi sulla fornitura di gas dalla Russia, che potrebbe causare uno choc energetico, inflazione galoppante e alti costi dell’elettricità potrebbe portare all’inaudita situazione di costringere il governo di Olaf Scholz a imporre razionamenti o addirittura lockdown produttivi per la crisi energetica. O, in altro modo, le imprese a cessare temporaneamente le loro attività facendo il vero “tetto” ai prezzi dell’energia con strumenti di mercato.

Il problema può essere di portata continentale, in questo caso. Con l’integrazione delle filiere, la frenata della Germania sarebbe uno choc per tutta Europa. Italia in testa. Non dimentichiamoci che quando l’industria tedesca starnutisce, l’economia italiana prende il raffreddore: con 78,69 miliardi di euro di export nel 2021 Berlino è stato il primo mercato di destinazione dei prodotti finiti e dei semilavorati italiani, fondamentali per auto, macchinari, componenti e elementi della meccanica tipicamente simbolo dell’eccellenza tedesca.

Le società energetiche nel mirino

In Germania il volano dello stop rischiano di essere le compagnie di distribuzione. La Germania non ha un grande colosso energetico come Eni e Total, ma molte compagnie e agenzie che governano a livello statale e di Lander le reti e lo stoccaggio del gas e del petrolio acquistati all’estero.

“L’attuale situazione di mercato accresce i rischi che alcuni operatori possano trovarsi a corto di liquidità, rischiando il fallimento in assenza di un intervento di sostegno dall’esterno”, nota Il Fatto Quotidiano. “I fornitori sono infatti costretti a comprare oggi a prezzi decuplicati rispetto a quanto pagavano prima i clienti e non hanno ancora incassato i proventi delle future bollette adeguate ai nuovi costi”, e ciò crea un circolo vizioso, tanto che dopo una prima linea di aiuti deliberata dal governo “il colosso tedesco Uniper ha chiesto altri 4 miliardi di euro di sostegno”.

E per la Germania, che ha già deliberato un taglio del 15% ai consumi nazionali chiedendo a famiglie e imprese di fare la propria parte, potrebbe presentarsi presto l’incognita di scegliere tra l’accelerazione dei piani di contingentamento dell’uso di gas nel settore pubblico e privato e l’accollamento all’industria degli oneri aggiuntivi. Con compensazioni economiche maggiori alla parte più lesa come contropartita per indorare la pillola. Decisione a perdere in quanto condizionata, inevitabilmente, dai vincoli di bilancio e spesa legati alla scarsezza delle risorse e dei margini di manovra a disposizione, dalle politiche finanziarie europee che stringono i cordoni della borsa e dall’atavica ritrosità tedesca a mosse che possano, a prescindere dal contesto interno, alimentare l’inflazione.

I costi della crisi

Le famiglie a reddito medio e basso in Germania stanno lottando per far fronte all’aumento dell’inflazione e ai prezzi dell’energia alle stelle, irritate da quella che vedono come inazione del governo per la loro difficile situazione. L’inflazione è aumentata vertiginosamente negli ultimi mesi, toccando il 7,5% a giugno e, secondo l’ultima stima della banca centrale tedesca, è probabile che aumenterà ulteriormente in autunno, raggiungendo la doppia cifra, come del resto sembra essere destino per tutta Europa.

Il pacchetto anticrisi varato in primavera per alleviare la crisi includeva un’agevolazione una tantum dell’imposta sull’energia di 300 euro per i cittadini e un pagamento di 200 euro per i beneficiari del welfare, a cui è stato aggiunto un incentivo al trasporto sostenibile: un biglietto del trasporto pubblico di 9 euro al mese dal valore universale per tutto il Paese con scadenza a fine agosto, che non sarà prorogato a causa dei costi elevati. Nel frattempo i costi per la popolazione aumentano mentre su alcuni campi l’inflazione ha già raggiunto portata epidemica. Secondo l’Ufficio federale di statistica, a luglio i prezzi complessivi alla produzione che le imprese dovevano sostenere a causa dei rincari delle materie prime e del caro-energia erano superiori del 37,2% rispetto allo stesso periodo del 2021. Per le imprese, con un aumento medio del 105 per cento, il principale choc è arrivato ovviamente dalle bollette energetiche. Per i consumatori, oltre il livello medio dell’inflazione sono giunti anche i prezzi alla produzione dei beni di consumo: +16,2%. I prodotti alimentari erano fino al 21,1% più costosi rispetto all’anno precedente: particolarmente rincarati il burro (+75,2%), il latte (32%), il caffè (31,6%) e la carne (23,5%).

Commerzbank, uno dei maggiori istituti di credito societario tedeschi, ha affermato la scorsa settimana che la crisi del gas potrebbe portare a una “grave recessione”, confrontando le conseguenze con la crisi finanziaria globale del 2008 e andando oltre le pur fosche stime del Meccanismo Europeo di Stabilità che prevedono una recessione del 2,5% in caso di interruzione delle forniture del gas russo. Se la crisi energetica continuerà, potrebbero essere i rincari a fermare l’industria anche in assenza di mossi ostili di Mosca, in un contesto in cui alcuni settori dell’industria tedesca sono particolarmente energivori. Il settore chimico è il più significativo (29% dei consumi totali), sebbene circa un terzo della quota di consumi facesse riferimento al consumo di materie prime come il gas, che viene utilizzato direttamente per produrre determinati prodotti. Segue col 21% dei consumi l’industria dei metalli e della siderurgia.

Il modello esportatore tedesco è a rischio?

Per un’economia dipendente dall’export e sul podio delle potenze esportatrici globali con Cina e Stati Uniti, questi dati sono una Spada di Damocle in questi casi. Lo tsunami energetico accelerato dalla guerra in Ucraina bussa alle porte della Germania e minaccia di far danni. Come successo con la crisi dell’Eurozona accelerata dall’austerità di marca tedesca e con il rallentamento da Covid-19, anche sul fronte energetico sarà dalla situazione tedesca che si potrà capire la temperatura dell’Europa e la gravità della febbre alla sua economia. “A livello globale non esiste economia più esposta ai cambiamenti della globalizzazione della Germania”, ha detto a DW Andreas Nölke, professore di scienze politiche alla Goethe University di Francoforte.

Lo studioso sostiene che la Germania è diventata dipendente dalla sua potente base di esportazione e ha bisogno di un nuovo modello economico per soddisfare le esigenze di un contesto globale fattosi sempre più complicato. “La Germania è stato uno dei paesi che ha beneficiato maggiormente del periodo di globalizzazione che abbiamo visto dal 1990 fino alla crisi finanziaria globale e forse subito dopo”, ha affermato. “Ma ora che la globalizzazione sta lentamente ma costantemente retrocedendo penso che la Germania sia nei guai”. E con essa può esserlo tutta l’Europa, a partire dall’Italia. La soluzione della crisi energetica in Germania è di interesse europeo, e Berlino si deve impegnare per fermare gli effetti dei rincari, della speculazione e dell’incertezza su gas e elettricità per dare una prospettiva all’economia del Vecchio Continente. Il governo Scholz ha aperto alle discussioni sui tetti europei al gas e, in dialogo con l’Austria, inizia a ragionare sul decoupling dei prezzi tra l’elettricità generata da fonti fossili e quella generata da rinnovabili. Primi, timidi passi in attesa di un piano di insieme sull’autonomia energetica. E la Germania, Paese centrale dell’Unione Europea, ha onore e onere di dare una linea andando oltre la rovinosa incertezza del governo Scholz in materia.