Pubblichiamo, per gentile concessione dell’editore, un estratto di Il 3° millennio della Terza Roma. Status e potenza del modello culturale e politico russo (Il Cerchio)

Il fabbisogno energetico mondiale (gas e petrolio) è in costante e progressiva crescita. Ciò vale anche per l’Europa, soprattutto in vista della futura, prossima, decarbonizzazione. La ricerca di nuovi e sicuri fornitori ha indotto l’Unione Europea a spingere lo sguardo oltre lo storico punto di riferimento rappresentato dalla Russia, rivolgendosi a nuovi protagonisti quali il Canada, gli Usa e il Qatar. In quest’ottica sono in itinere diversi progetti. È recentissima la notizia dell’autorizzazione concessa all’impianto di liquefazione Canada Lng di iniziare la costruzione di due unità produttive della capacità di 7 milioni di tonnellate l’anno ciascuna, permettendo al Canada di esportare via mare gnl entro il 2025. La Germania sarebbe in procinto di cofinanziare la costruzione di un terminal navale per il gas liquefatto presso la città di Stade, nel nord del paese. Il terminal dovrebbe sorgere in vicinanza degli impianti chimici della società americana Dow du pont, che con il gruppo finanziario australiano Macquarie e la China harbour engineering company rappresentano gli altri soci del consorzio. Il Qatar, oggi il primo fornitore di gnl al mondo, già copre circa il 40% delle importazioni di gnl nell’Ue.

La Russia deve quindi competere con i nuovi aggressivi attori comparsi nel già difficile scacchiere della “guerra del gas”, perseguendo differenti strategie geopolitiche per conservare la popria egemonia. Nel campo energetico si sta infatti delineando una nuova “guerra fredda”, che ha come protagonista non più una diversa ideologia, ma una fonte fossile: il gas. Oggi il gas russo, sia per il basso costo che per la fitta rete di gasdotti che ne rende rapida la distribuzione, occupa il primo posto nelle forniture energetiche europee ma deve competere con nuovi prodotti, in particolare il gnl. Lo sviluppo del commercio di gnl consente di ampliare e diversificare le fonti di approvvigionamento, con una maggiore sicurezza nelle forniture per i paesi consumatori. Nel 2017 l’impiego dei terminali gnl europei è stato pari al 27% della capacità produttiva totale. Sino ad oggi le importazioni di gnl da parte dell’Ue sono state condizionate dalle enormi distanze degli Stati produttori e dal costo più elevato rispetto al gas naturale. La situazione può sicuramente mutare con la progettazione di nuovi impianti di rigassificazione, che oltre alla diversificazione delle fonti crea una nuova posizione di contrattazione con la Russia nella fornitura del gas naturale, limitando il pericolo di una riduzione della fornitura dello stesso come più volte minacciato da Mosca. Dopo il Qatar, il secondo più grande importatore di gas liquefatto in Europa potrebbe diventare la Francia, che peraltro favorirebbe indirettamente la Russia nelle forniture di gnl, grazie alla sua partecipazione (con la Total) nello sfruttamento del progetto gnl di Yamal in Siberia. Questo nuovo capitolo nella “guerra del gas” ha indotto anche gli Usa a incrementare l’esportazione di gnl, creando una nuova rotta commerciale per il gas liquefatto verso l’Asia attraverso il Canale di Panama, raggiungendo il ricco mercato giapponese.

Yamal: La punta di diamante del gnl Russo

Le nuove prospettive che si stanno aprendo nel mercato mondiale del gas hanno quindi spinto la Russia a mutare le proprie strategie, mirando a conquistare un ruolo da protagonista anche nel campo del gnl. Il primo passo è la realizzazione del progetto Yamal Lng, guidato dalla società privata Novatek, che nel dicembre 2017 ha iniziato ad essere operativo con la prima di tre linee di produzione a Sabetta, in Siberia, oltre il Circolo Polare Artico. Si tratta del primo centro di estrazione e liquefazione di gas in territorio artico, con una iniziale capacità di produzione di 5,5 milioni di tonnellate l’anno, che nel 2021 con l’impianto a pieno regime garantirà 16,5 milioni di tonnellate di gas liquefatto l’anno. Sino ad oggi la produzione di gnl russo era confinata nell’impianto di Sakhalin, con una capacità di 4,4 milioni di metri cubi l’anno, che assicurava a Mosca la copertura del 4,5% del mercato globale. Yamal Lng è di proprietà di Novatek al 50,1%, cui si affiancano al 20% ciascuna la francese Total e la Compagnia statale cinese oltre al Fondo cinese per la Via della seta con una quota del 9%. Anche l’Italia ha contribuito a questo progetto con una linea di credito di 800 milioni di euro di Intesa Sanpaolo. Si tratta di un complesso nato per l’estrazione di metano dai ghiacci antartici della penisola di Yamal, che da esplorazioni effettuate negli ultimi anni, conterebbe più gas dell’intero Golfo Persico. In questa penisola artica sono stati scoperti numerosi giacimenti di gas naturale fra cui l’imponente South Tambey, con una riserva confermata di 607 miliardi di metri cubi di gas. Il progetto è stato reso attuabile grazie anche alle nuove norme emanate dal Cremlino che hanno posto fine al monopolio statale sino ad oggi esercitato da Gazprom sulle esportazioni di metano liquido, esentando il gnl dalle tasse di esportazione. Lo stesso presidente Putin, nel giorno dell’inaugurazione dell’impianto, ha tracciato i punti salienti della nuova politica energetica russa, volta ad incrementare la produzione e l’esportazione di gnl, sfruttando le ingenti ricchezze dell’Artico russo. Il programma industriale 2017-2019 prevede tra gli altri, i progetti di nuovi impianti di gnl a Sakhalin II, Vladivostok, nella regione di Leningrado e a Kalingrad. Come sostenuto da Ekaterina Klimenko, dell’International peace institute di Stoccolma «Yamal LNG è uno dei pochi progetti di cooperazione che è riuscito a sopravvivere alle sanzioni». Anche grazie alla Cina che ha investito ingenti capitali, altrimenti congelati dalle restrizioni al sistema finanziario operate dall’occidente e in particolare dagli Usa. Un atto politico, quello di Pechino, che ha reso più saldi i programmi di cooperazione tra i due giganti asiatici. Il progetto è stato anche agevolato dal governo russo che ha liberalizzato nel 2013 il mercato dell’export di Gnl in tutta la Federazione Russa, nonostante l’opposizione di Gazprom e Rosneft. Inoltre il consorzio ha ottenuto l’esenzione totale dalla tassa di estrazione dei minerali per dodici anni, dimostrando che per Mosca, l’impianto di Yamal è un investimento essenziale per l’espansione dell’industria degli idrocarburi. Queste decisioni potrebbero essere anche un segnale di cambiamento della politica di Mosca, che sembra virare verso un maggiore appoggio all’iniziativa privata, capace di creare quelle infrastrutture essenziali alla sicurezza energetica del paese. Incentivare i soggetti privati può essere il mezzo adatto allo sviluppo delle regioni economicamente arretrate della federazione come la Siberia orientale e le aree periferiche delle exrepubbliche del centro Asia. Mosca intende diversificare la propria produzione di materie prime, investendo nella ricerca di nuovi giacimenti nelle zone inesplorate del suo territorio, perseguendo un potenziamento del settore energetico che assicura gran parte del bilancio statale grazie alle esportazioni di gas e petrolio. Lo sviluppo di giacimenti offshore e l’esportazione di gas liquefatto rappresentano la priorità per la sicurezza energetica garantendo un’opportunità di ulteriore crescita economica, in particolare per le aree più arretrate del paese.

Yamal e la Artic Road

Il gas di Yamal è esportato sfruttando la rotta che attraverso il Mare artico permette di raggiungere in tempi brevi i mercati asiatici, grazie allo scioglimento della banchisa che ha reso possibile percorrere questo bacino per quasi tutto l’anno. Il primo carico è stato effettuato dalla Christophe de Margerie, prototipo della classe Arc7,1 navi gasiere ma con le proprietà di un rompighiaccio, in grado di trasportare 172.600 metri cubi di gas e di aprirsi un varco in lastre ghiacciate spesse anche due metri. La nave è stata battezzata con il nome dell’ex amministratore delegato della Total, morto a Mosca nel 2014 in un incidente aereo, e grande sostenitore della “dorsale energetica artica”. La nave ha trasportato gas liquefatto dagli impianti russi di Yamal al porto cinese di Jangsu, sfruttando proprio la rotta artica sulla quale la Russia conta per rilanciare il suo ruolo di protagonista delle nuove rotte commerciali del grande nord. Il passaggio a nord-est, oltre a ridurre i tempi di consegna del gas in Cina, Giappone, Corea del Sud, India e agli stati emergenti del sudest asiatico, contribuisce a rendere più rapidi i collegamenti tra Asia e Europa, rispetto alla rotta tradizionale attraverso il canale di Suez. Diminuire di 10/15 giorni il tempo di percorrenza per il trasporto di gas dall’Asia in Europa o viceversa comporta un risparmio dei costi di più di un milione di dollari a tratta. Nel gennaio 2018 il governo cinese ha pubblicato il suo primo “libro bianco” sull’Artico, pianificando un “ramo polare” della sua Nuova via della seta. Uno degli obiettivi di Pechino è trasformare Groenlandia e Islanda in hub commerciali e marittimi cinesi, progettando un centro di ricerca ed un porto d’altura nel nord dell’Islanda. Le potenzialità di questa nuova rotta marittima si possono desumere dai resoconti dell’Agenzia Federale russa per il trasporto marittimo e fluviale, da cui risulta che il 2016 è stato l’anno in cui la quantità di beni trasportati attraverso il passaggio di nord-est ha battuto il record di 7,5 milioni di tonnellate raggiunto ai tempi dell’Unione Sovietica. Studi prospettici indicano che nel 2035 potrebbe essere raggiunta la quota di 70 milioni di tonnellate. Putin ha dichiarato: «La rotta artica potrà portare merci da tutto il mondo e garantirà il futuro della Russia». Dopo il fallimento dell’idea russa della Greater Eurasia, cioè di una “Grande Europa da Lisbona a Vladivostok”, tramontata per il venir meno del consenso popolare ucraino, il riaccendersi delle tensioni tra Russia e Stati Uniti e l’incrinarsi dei rapporti con l’Europa, la Russia ha dovuto cercare nuovi alleati fuori dall’Ue. Quale conseguenza di questi eventi è maturata un’intensa cooperazione con la Cina soprattutto nel bacino artico. Sfruttare la rotta artica può significare per la Russia eludere le sanzioni Usa e divenire leader del mercato del gas naturale liquefatto. La sovranità marittima lungo la Northern Sea Route è di vitale importanza per Mosca, considerato il fatto che dai progetti di estrazione dipende la stabilità economica del paese e dal controllo del passaggio lungo la rotta la difesa del confine nord. L’obiettivo è trasformare quella che al tempo dell’Unione Sovietica era una via marittima interna in un’arteria per trasporto globale di materie prime ed altre merci, rafforzando nel contempo il proprio ruolo geografico, economico e industriale nell’Artico. In questa ottica è significativo l’emendamento a modifica del codice della navigazione approvato dalla Duma ed entrato in vigore il 1° febbraio 2018, che riserva i diritti di transito commerciale per gas, petrolio e carbone alle sole navi battenti bandiera russa, imponendo pedaggi alle altre navi che dall’Asia sfruttano la rotta nordica per raggiungere il porto di Rotterdam, assicurandosi in tal modo il monopolio della rotta.

Alleanze “glaciali”

Il fronte artico rappresenta per Mosca il nuovo tramite per garantirsi un ruolo di primissimo piano nel mercato energetico mondiale. A Murmansk, importante porto a ovest della Baia di Kola sono già in funzione infrastrutture destinate alla spedizione di carbone, petrolio, pesce, metalli e altri carichi provenienti dalla parte europea della Russia. Recentemente sono stati messi in cantiere imponenti lavori per completare il cosiddetto Murmansk transport hub, con nuove ferrovie, strade e porti, che servirà come porta occidentale per la rotta marittima settentrionale verso l’Asia. Il primo ministro russo Medvedev ha confermato che il governo intende investire entro il 2025 2,7 miliardi di dollari per potenziare le infrastrutture artiche. La stessa Novatek intende aprire un secondo centro estrattivo (Artic Lng 2) capace di produrre 18 milioni di tonnellate di gas ogni anno. Questo secondo impianto di liquefazione del gas naturale dovrebbe sorgere nella stessa penisola di Gydan, ma rispetto a Yamal sull’altra sponda del fiume Ob. Un primo passo in questa direzione è stato il coinvolgimento dell’Arabia Saudita con un protocollo di intesa firmato con la Saudi Aramco, principale industria petrolifera del paese. Al progetto parteciperà anche la Total con una quota del 10%. La realizzazione di questo impianto permetterà di abbassare il prezzo per milione di Btu2 a 4,4$ per l’Europa e 6,1$ per l’Asia, di gran lunga competitivo rispetto al gas Usa e quello australiano, garantendo in tal modo una posizione di predominio nel mercato mondiale di questo prodotto. Questi scenari, con tanti nuovi protagonisti, rendono però il futuro dell’artico molto incerto, trattandosi di un’area geografica di estrema importanza per l’ecosistema mondiale. Il campo Shtokman, scoperto nel 1988, è uno dei più grandi giacimenti di gas naturale del mondo. Si trova nel settore russo del Mare di Barents, a 600 km a nord della penisola di Kola. Le sue riserve sono stimate in 130 trilioni di metri cubi di gas naturale e più di 37 milioni di tonnellate di condensato di gas. È stato tra i progetti prioritari di Gazprom nei primi anni ‘90, successivamente abbandonato a causa dell’eccesso di offerta globale di gnl e dello shale gas degli Stati Uniti, oltre che per gli alti costi necessari alla sua realizzazione, stimati tra i 25 e i 30 miliardi di dollari. Difficilissima era anche la situazione ambientale: le risorse si trovano a 340 metri di profondità in acque sempre ghiacciate. Nuovi piani aziendali sembrano aver dato una svolta al progetto, che secondo alcuni organi di stampa dovrebbe entrare in funzione entro il 2028. Un altro interessante progetto è il Baltic Lng, un impianto per la produzione di gas liquefatto da 10 milioni di metri cubi l’anno, che dovrebbe essere realizzato entro il 2023 sulla costa del Mar Baltico. Il consorzio vede la partecipazione di Gazprom, Shell e l’azienda giapponese Mitsui. Il recente accordo sui diritti di sfruttamento delle ricchezze del Mar Caspio può, per Mosca, rappresentare un’ulteriore arma per contrastare l’attività di altre pedine sulla scacchiera del mercato del gas. Il diritto di opposizione alla posa sul fondo del Mar Caspio delle condutture per il gasdotto Trans-Caspico comporterebbe l’impossibilità di esportare verso il mercato europeo le potenziali riserve di gas del Turkmenistan, costringendo i paesi Ue alla dipendenza dal gas russo.

Pechino e il petroyuan

Il capitolo della “guerra energetica mondiale” si arricchisce di sempre nuovi argomenti. Nel giugno 2018, nel corso del 18° vertice della Shanghai cooperation organisation (Sco)3 è stato deciso il passaggio alle valute nazionali nelle transazioni reciproche con l’intermediazione dell’Unione interbancaria, strumento di investimento della Sco nelle aree di cooperazione. Ai paesi membri si affiancano anche Afghanistan, Bielorussia, Iran e Mongolia che godono lo status di osservatori e altri sei in qualità di partner (Azerbaijan, Armenia, Cambogia, Nepal, Sri-Lanka e Turchia) determinando un quadro di sicura negatività per la moneta americana. Pechino da parte sua ha immesso sul mercato il petroyuan, scambiando alla borsa di Londra oro con valuta cinese, e l’Iran utilizza l’euro negli scambi internazionali. In ultimo sembra affermarsi sempre più il passaggio all’euro negli scambi energetici Ue-Russia. Queste decisioni potrebbero segnare un inarrestabile declino del controllo Usa sul sistema finanziario e le vie commerciali internazionali, minando in modo drammatico l’equilibrio economico mondiale spostandolo verso l’est asiatico. Sulla sponda europea la Germania, con la decisione di chiudere progressivamente le proprie centrali atomiche, ha manifestato chiaramente di virare per il suo fabbisogno energetico verso il gas russo, non tenendo in alcun conto le diffidenze degli Stati baltici critici da sempre sul North Stream 2, garantendosi un afflusso di materia prima sicuramente più economica rispetto al gas di scisto americano.

(…)

La neutralizzazione delle minacce esterne

La necessità di proteggere gli interessi economici russi e la sovranità nazionale nella regione da eventuali attacchi terroristici o di altre potenze, ha indotto le forze armate russe a migliorare le basi esistenti lungo tutta la costa artica, ristrutturando quelle ormai in disuso dopo la fine della Guerra fredda. È stata inoltre rafforzata l’attività della guardia costiera con lo scopo di monitorare i flussi marittimi e militari nella regione. Nel documento sulla difesa marittima del 2017 si rimarca la necessaria difesa di questa area geografica dagli interessi di Stati Uniti e della Nato, anche se la Marina russa ha collaborato nel passato e, nuovamente in tempi più recenti con gli stati limitrofi, come la Norvegia, con lo scambio di informazioni sulle operazioni militari in mare. I sistemi di difesa adottati dalla Marina russa sono riposti in una flotta di 50 sottomarini nucleari e di 40 rompighiaccio di moderna costruzione. La Russia reputa infatti che il sottomarino rappresenti la migliore arma strategica e di deterrenza per operare nell’Artico. Il crescente impiego di sottomarini nucleari con sonar capaci di scansionare la superficie del ghiaccio e il potenziamento delle truppe di stanza in Alaska evidenziano l’impegno americano nella regione, volto a salvaguardare gli interessi degli Stati Uniti, sia militari che commerciali, in questa area geografica. Tutti questi elementi confermano l’importante ruolo geopolitico dell’Artico e indicano come economia, rotte commerciali e strategie militari pongono questa regione al centro degli interessi politici internazionali, in particolare di quelli economici.





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