Il Nord Stream 2 è ad un passo dall’essere terminato – stato di completamento dei lavori del 96% –, perciò gli Stati Uniti stanno aumentando le pressioni sulla Germania affinché congeli i cantieri e trasformi in carta straccia il gasdotto della discordia. Sullo sfondo dello strumento sanzionatorio, finora rivelatosi  inefficace, l’amministrazione Biden sta pensando di affidare il fascicolo ad un negoziatore esperto e, inoltre, vanno incrementando anche i tentativi di sabotaggio dal basso, cioè provenienti dalla realtà politica tedesca.

Il motivo per cui l’amministrazione Biden sta proseguendo la guerra dei gasdotti, inaugurata da Barack Obama e mantenuta in piedi da Donald Trump, è tanto semplice quanto pragmatico: in palio non v’è soltanto il dominio del mercato energetico comunitario, sino ad oggi quasi-monopolizzato dal Cremlino, ma l’egemonia sull’Unione Europea e l’assoggettamento della sua potenza-guida, ovverosia la Germania.

È in errore, dunque, chi crede che il NS2 sia una mera questione energetica, dato che ivi si sta giocando un paragrafo fondamentale della guerra fredda 2.0 tra Washington e Mosca alla luce dell’immutabilità della regola d’oro dell’egemonia: colpire Berlino per piegare l’Europa. Perché tutto quello che succede e si decide qui, e lungo la Berlino-Parigi, prima si riflette e ripercuote sul Vecchio Continente e poi si propaga in direzione di ogni punto cardinale, in particolare verso Est.

La proposta di Berlino

Dopo aver proposto, lo scorso agosto, un piano di investimenti da un miliardo di euro volto a migliorare la posizione e la competitività del gas naturale liquefatto statunitense nel mercato europeo – piano, a quanto pare, completamente ignorato dall’amministrazione Trump –, la Germania ritenta la carta del corteggiamento pecuniario.

Secondo quanto riportato dal Der Tagesspiegel, il governo tedesco avrebbe proposto al nuovo inquilino della Casa Bianca una nuova offerta: un miliardo di euro di investimenti nello sviluppo e nella crescita del settore idrogenico dell’Ucraina. L’immissione dell’astronomica mole di denaro nell’economia in ambascia dell’ex satellite russo – che verrebbe indirettamente aiutato ad emanciparsi energeticamente dal Cremlino – è il mezzo, mentre la fine della campagna di massima pressione sul NS2 è il fine.

Tensione alle stelle

Non è dato sapere se e come l’offerta tedesca verrà accettata a Washington, ma i precedenti e l’attualità non lasciano presagire nulla di buono:

  • Joe Biden sta considerando la nomina di un incaricato speciale al quale delegare il fascicolo NS2, un negoziatore esperto (forse Amos Hochstein) che dovrebbe coartare Angela Merkel ad accettare la chiusura anticipata (e definitiva) dei cantieri.
  • L’ambasciata statunitense a Berlino ha recentemente reiterato che il NS2 è “un progetto geopolitico della Russia, che minaccia la sicurezza energetica dell’Europa, dell’Ucraina e dei partner orientali della Nato” e che, alla luce di ciò, la Casa Bianca utilizzerà “tutte le leve disponibili per impedirne il completamento”, agitando lo spettro di sanzioni nei confronti di ogni singola impresa coinvolta nel progetto.
  • I Verdi – secondo partito nazionale alle europee – hanno trasformato il boicottaggio del NS2 nel proprio cavallo di battaglia elettorale, infiammando il dibattito politico e incassando il supporto degli Stati Uniti e dell’influente elettorato ambientalista.
  • Nella giornata del 13 aprile è stato trasmesso al tribunale amministrativo di Amburgo un ricorso per bloccare a tempo indefinito i lavori all’interno dei cantieri del NS2. La richiesta, arrecante la firma dell’Associazione per la tutela dell’ambiente (DUH, Deutsche Umwelthilfe), è la seconda del genere in un anno da parte dello stesso ente – la prima fu presentata ad aprile 2020 – e chiede alle autorità di fermare la costruzione per ragioni tutelare l’ecosistema regionale.

Chi vincerà?

La domanda sorge spontanea: “la Germania cederà alle pressioni?“. La storia delle relazioni internazionali insegna che tutto è possibile, e che l’imprevedibile accade con più frequenza del pronosticato, ma il punto è che il NS2 non può essere abbandonato per un insieme di ragioni tattili  si tratterebbe di chiudere un cantiere virtualmente terminato, cosa completamente diversa dal congelare un progetto su carta come il South Stream –, economiche – si tratterebbe di ridurre in cenere quasi dieci miliardi di euro di investimenti –, di sicurezza nazionale – cioè la stabilizzazione dei flussi regolari di gas naturale – e di calcoli geopolitici – il gasdotto permetterà a Berlino di consolidare lo status di centro nevralgico del sistema di approvvigionamento energetico comunitario.

Gli Stati Uniti, alla luce dei punti di cui sopra, dovranno offrire qualcosa dal valore realmente adamantino sull’altare sacrificale del NS2, perché le sanzioni da sole non basteranno a spronare la Germania, oppure ricorrere all’extrema ratio: il sabotaggio fisico del gasdotto della discordia, vulnerabile ad eventuali opere di manomissione e attacco lungo la tratta danese, polacca e svedese. Fantapolitica? Forse; ma non è da sottovalutare, né da screditare aprioristicamente, quanto denunciato dal Cremlino a fine marzo: i presunti e costanti tentativi di danneggiamento e ostacolo ai lavori sventati dal personale russo a bordo delle posatubi. Perché il NS2 non è un gasdotto qualunque, è il gasdotto del destino il destino della GeRussia –, e, in quanto tale, per la Germania va completato ad ogni costo e per gli Stati Uniti va fermato con qualsiasi mezzo.





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