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La strana coppia composta da Olaf Scholz e Annalena Baerbock continua a ballare nel valzer europeo dell’energia, ma tra contorsionismi e passi falsi la strategia della coalizione “semaforo” di Berlino e del nuovo governo tedesco fatica a tenere il passo della visione sistemica ereditata dalla Cancelliera Angela Merkel.

Partiamo dai fatti di cronaca per capire perché. Le riserve di gas in Germania sono crollate a un livello “preoccupante”, meno della metà rispetto a due anni fa. Dati del Gas Infrastructure Europe, nota il Corriere del Ticino, segnalano il problema per Berlino, “le cui scorte sono calcolate a circa il 35% della capacità totale rispetto all’83% di due anni fa. Più contenuta la riduzione per l’Italia (45% attuale rispetto al 57% del febbraio 2020). I prezzi del gas, intanto, hanno segnato un meno 3% nelle ultime contrattazioni, complici le temperature più miti registrate in Europa dall’inizio dell’anno”.

L’allarme lanciato nella giornata del 9 febbraio dal ministero dell’economia di Berlino guidato dal vicecancelliere Verde Robert Habeck riporta drammaticamente al centro dell’attenzione uno dei nodi principali della crisi russo-ucraina, la dipendenza dell’Europa dalle forniture energetiche di Mosca e la conseguente difficoltà ad aderire alla linea dura degli Usa. Ma soprattutto mostra la difficoltà del governo Spd-Verdi-Fdp di saper dare continuità alla postura strategica ereditata dall’era Merkel. Questo per tre ragioni fondamentali.

In primo luogo, una sostanziale schizofrenia geopolitica. Escludendo un’Europa occidentale gravitante attorno a sé, Berlino è riuscita a scontentare, in diversa misura, tutti gli attori cardine della partita geopolitica dell’Europa orientale. Gli Stati Uniti, certamente, perché le attese di un blocco totale di Nord Stream 2, il gasdotto della discordia, sono state sinora disattese; Polonia e Ucraina, rispettivamente caposaldo atlantico a Est e pomo della discordia tra Mosca e Washington, per gli abboccamenti Berlino-Mosca che tendono a bypassarle; ma anche la Russia, va detto, dato che il governo “semaforo” non ha certificato Nord Stream 2, mantenendolo in un limbo, e ha ripreso una pressione notevole sul fronte dei diritti umani ritenuti dal Cremlino oggetto di critica strumentale. Incomprensioni aggravate, in quest’ultimo caso, dal fatto che i flussi di gas dalla Germania alla Polonia attraverso il gasdotto Yamal-Europa, che di solito invia il gas russo verso l’Europa occidentale, sono stati costanti durante le fasi calde dell’escalation ai confini russo-ucraini.

In secondo luogo, per una perenne indecisione. Yamal, nota Lumsa News, ha una capacità produttiva di 33 miliardi di metri cubi di gas all’anno e “assieme a Nord Stream e al sistema di trasporto del gas ucraino, è una delle principali rotte per le forniture di gas russo all’Europa. Il suo percorso, lungo più di duemila chilometri, attraversa quattro stati: Russia, Bielorussia, Polonia e Germania”. A fine dicembre il governo di Vladimir Putin ne aveva bloccato le forniture sull’asse Est-Ovest, ma utilizzando la capacità di stoccaggio e il reverse flow Berlino aveva mantenuto aperte le forniture verso Varsavia. Logico che vedere le forniture da Yamal azzerate, quelle dal gasdotto baltico Nord Stream 2 non avviate e quelle dall’Ucraina minacciate per l’escalation militare e mantenere, al contempo, aperto il canale verso la fornitura del gas russo a una nazione di cui Mosca è rivale strategica non consente di avere, per usare un eufemismo, la stabilità come primo obiettivo prospettico sul fronte del gas. Aggiungiamo a ciò la folata dei prezzi energetici e la difficoltà di tutti gli operatori a ricostruire le scorte prima dell’inverno e abbiamo il problematico quadro della situazione.

Terzo punto è la natura litigiosa sul fronte energetico delle relazioni interne al governo tedesco. Il premier socialdemocratico Scholz è a favore del Nord Stream 2 e di un appeasment con Mosca; la Baerbock, leader dei Verdi e titolare degli Esteri, ne ha chiesto più volte lo stop; Habeck ha in quest’ottica mediato sottolineando che Nord Stream 2 aumenterebbe la dipendenza energetica dalla Russia ma col suo dicastero ha dovuto ammettere che la crisi delle scorte, in una fase che vede la transizione verso rinnovabili e idrogeno ancora all’inizio, è un problema per l’economia tedesca a trazione industriale. Contrappasso non da poco per un partito che ha fatto del no a gas, a lungo, la sua stella polare.

Il concreto realismo, non privo di momenti di ostentato cinismo geostrategico, della Merkel sembra essere venuto meno e con esso la capacità della Germania di incidere sullo scenario orientale. La visita riparatrice di Scholz a Washington non è servita a aumentare le carte nella mano di Berlino, almeno per ora, dato che una sostituzione del gas russo con il ben più costoso gas naturale liquefatto made in Usa non è all’ordine del giorno nella strategia tedesca. Aggiungiamo a ciò il pasticcio della tassonomia europea sulla sostenibilità, che vede la Germania a favore assieme all’Italia dell’inserimento del gas tra le fonti abilitanti per la transizione ma impegnata nella querelle con la Francia per la presenza del nucleare al suo interno, e il quadro è completo. La Germania si trova, in quest’ottica, centrale in Europa per i motivi sbagliati: può essere la grande perdente dell’intersezione tra la crisi energetica in atto e la tempesta geopolitica, ed è centrale in un’Ue al centro del mirino di questo braccio di ferro in cui i Paesi del Vecchio Continente hanno, una volta di più, tutte le armi spuntate.

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