Il Niger, come la maggior parte degli Stati africani, è una miniera a cielo aperto. Una realtà sulla quale si sovrappongono poteri concorrenti, banditaglia, interessi dentro e fuori dall’Africa. Un’area che l’ex madrepatria francese bolla come “rossa” perché affetta dalla commistione di narcotraffico, terrorismo, tratta di esseri umani, oltre che da un montante odio anti-francese che prolifera in tutto il Sahel. Da oltre cinque decadi, le società Somair e Cominak sfruttano il potenziale del sottosuolo del Paese nella regione desertica dell’Air. Il sito di Imouraen, invece, è situato nella parte settentrionale del Niger, nella regione di Agadez. Si tratta di una miniera che coinvolge nel suo progetto di estrazione la multinazionale francese Areva e la Sociétè pour du patrimoine des mines du Niger SOPaMIN. Un’enorme ricchezza che fa da contraltare al degrado e ai tumulti della superficie, e che ha reso il Niger il settimo produttore mondiale di uranio nel 2022, fornendo il 4% della produzione globale ove incontra altre sfidanti blasonate come Canada, Australia, Namibia e Kazakistan.

Per Parigi “tutto bene”

Orano è la compagnia leader che ha sostituito la statale Areva che diede inizio all’estrazione dell’uranio nell’ex colonia francese, estraendo materia prima destinata eminentemente all’industria nucleare di Parigi. Se Cominak era stata chiusa nel 2021, nello scorso maggio Orano e governo del Niger avevano siglato un accordo di partnership, un nuovo corso, che prevedeva l’iniezione di 26 miliardi di franchi Cfa nell’istruzione e in altri settori prioritari del Paese. L’accordo aveva previsto anche il posticipo della attività estrattive nel sito di Imouraen, con i suoi 200 milioni di tonnellate di uranio stimati, che ne farebbero uno dei più grandi al mondo. Le operazioni qui avrebbero dovuto avere inizio nel 2015 ma furono posticipate a causa del crollo del prezzo dell’uranio conseguente al disastro di Fukushima.

Il colpo di Stato di questi giorni, tuttavia, spariglia le carte dei progetti energetici francesi, andando ad aggiungere un’ulteriore spina nel fianco al claudicante mandato di Emmanuel Macron. All’indomani del golpe, Orano ha immediatamente attivato un’unità di crisi nel tentativo di tutelare l’unico sito al momento operante, sebbene le notizie che giungono dal Paese confermerebbero che l’attività mineraria procede, nonostante la crisi politica. Ma per quanto? Da tempo, infatti, la società aveva rafforzato il suo cordone sanitario, soprattutto dopo il 2010, quando alcuni suoi dipendenti erano stati rapiti dal sedicente gruppo Al-Quaeda nel Maghreb Islamico. Parigi è pronta a giurare che nessuna turbolenza sta investendo la sicurezza energetica dei cugini d’Oltralpe, le cui scorte potrebbero comunque assicurare il fabbisogno dei prossimi 24 mesi.

La fronda anti-Macron si scatena

Business as usual fino a quando i golpisti del Niger hanno vietato l’esportazione di oro e di uranio verso la Francia. Ad annunciarlo, la stessa giunta militare che ha attuato il golpe. In Francia, il colpo che ha portato alla destituzione del presidente Mohamed Bazoum da giorni desta gravi preoccupazioni circa l’indipendenza energetica del Paese, ma semina anche zizzania tra le opposizioni e il governo. In un post su Twitter scritto questa settimana, la deputata dei Verdi francesi Sandrine Rousseau sottolinea come questa sia la prova provata che il nucleare non consenta affatto l’indipendenza energetica in nome dell’effetto farfalla.

Alcuni giorni prima, Sylvain Maillard, presidente del gruppo Renaissance all’assemblea Nazionale, aveva sollevato numerosi interrogativi per gli interessi economici francesi a rischio, pur giungendo a conclusioni differenti da Rousseau circa il futuro del nucleare francese. Tuttavia, la comunicazione da parte dell’Eliseo sembra alquanto singolare: dalle pagine di Politico, un ufficiale anonimo all’interno del ministero per l’Energia ha dichiarato che “la Francia non dipende da alcun sito, compagnia o Paese per assicurare l’approvvigionamento dei suoi impianti”. Ma se la comunicazione di Parigi resta ondivaga, il colpo di Stato presto potrebbe sortire pesanti effetti anche in Europa.

Il golpe renderà l’Ue più indulgente con la Russia?

Se il Niger conferisce a Parigi circa il 15% del suo fabbisogno di uranio, rappresenta il 20% delle importazioni totali dell’Unione europea. Nel 2021 il Paese africano si attestava come primo fornitore d’uranio dell’Unione, seguito da Kazakistan e, soprattutto Russia. Dallo scoppio della guerra in Ucraina in poi, l’Unione sta cercando di controbilanciare la spinta verso il nucleare di una parte dei suoi membri con lo stop graduale agli approvvigionamenti provenienti da Mosca.

L’export mondiale di uranio nell’Unione Europea nel 2021 (Fonte: Euratom)

Sempre nel 2021, la domanda europea di uranio sfiorava il 18% della domanda mondiale di questo elemento. Un fabbisogno che l’Unione si garantisce attraverso contratti pluriennali per circa il 96% della domanda; il 4% restante, invece, viene evaso attraverso contratti spot. Analogamente agli anni precedenti, Niger, Russia e Kazakistan si erano attestati come principali fornitori, responsabili del 66,94% del fabbisogno europeo.

Nel caso della Russia, in particolare, l’acquisto da parte europea prevede anche la compravendita di prodotti di uranio arricchito, contenenti uranio naturale. Questo ha portato fino al 2021 il totale dell’uranio importato dai Paesi Csi a quasi il 46% del fabbisogno europeo, approssimativamente lo stesso livello del 2020. Un calo importante è stato registrato in questi anni proprio dall’Africa, poiché – fatta eccezione per Niger e Sudafrica – numerose miniere nel continente sono state sottoposte a lunghe manutenzioni o hanno subìto un cambio di proprietà. Le riserve del Niger, sebbene non infinite, ora potrebbero mettere sotto scacco la postura che l’Europa sta cercando assumere nei confronti di Mosca, scoraggiando l’approvazione di ulteriori sanzioni: l’energia nucleare, infatti, non è ancora soggetta a sanzioni.

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