Tre gasdotti, sei nazioni, miliardi di metri cubi di gas in ballo. Due Paesi agli estremi di entrambi i progetti di maggior portata: Israele e l’Italia. Con Tel Aviv, scopertasi negli ultimi anni potenza mediterranea, che vuole diventare hub energetico dell’Est del Grande Mare. E Roma che, dopo la rottura su Nord Stream 2 tra Germania e Russia, sogna un ruolo da ponte per l’oro blu che giunge in Europa mettendo a sistema le forze politiche e economiche che può vantare.
Draghi in Israele: l’Italia guarda a Tel Aviv
Mario Draghi è volato a Gerusalemme per incontrare il premier israeliano Naftali Bennett e con l’omologo dello Stato ebraico ha intavolato conversazioni aventi al centro, oltre al dossier ucraino, anche la questione energetica. Roma e Tel Aviv hanno molto di cui discutere per la complementarietà dei rispettivi settori energetici. L’Italia è Paese importatore assetato di gas che vuole diversificare le fonti riducendo la dipendenza dalla Russia; Israele è in crescita come potenza esportatrice e ha recentemente espresso la sua volontà di consolidarsi.
Il ministro dell’Energia Karine Elharrar ha detto che il paese mediorientale “vede un’opportunità” nel distacco dell’Unione Europea dalle forniture di gas naturale russo, “e ne trarrà il massimo vantaggio”. Il Jerusalem Post scriveva all’inizio del conflitto in Ucraina che Israele non è certamente una nazione capace di supplire autonomamente alle forniture russe – oltre 150 miliardi di metri cubi all’anno -, ma anche che i paesi del Mediterraneo orientale potranno fornire circa 20 miliardi di metri cubi se la grande strategia di Tel Aviv prenderà piede. Un valore paragonabile alla quantità che gli Usa si sono impegnati a fornire e di poco inferiore a quella che il Qatar potrà garantire.
Tre gasdotti per unire il Mediterraneo
I tre gasdotti sono quello allo studio di EastMed, il “Gasdotto dell’Amicizia” che collega Israele e Egitto e l’ipotizzato tubo capace di collegare Israele e Turchia. I sei Paesi in ballo includono, oltre all’Italia e ai tre principali Stati del Mediterraneo orientale, la Grecia e Cipro.
Italia e Israele possono lavorare per rompere i veti incrociati che bloccano il consolidamento dei tre progetti. In primo luogo Roma mira a Israele come fornitore sia per la ricchezza dei giacimenti offshore Tamar (300 miliardi di metri cubi) e Leviathan (620 miliardi) sia perché Tel Aviv può essere hub del gas egiziano in cui primeggia Zohr, giacimento in cui Eni ha la quota maggioritaria.
Snam e il “Gasdotto della Pace”
Secondo Repubblica, è importante pensare a come collegare Zohr al colossale Leviathan nell’offshore israeliano e via questo all’Italia: “Il modo più rapido per creare un corridoio da Leviathan verso l’Italia passa per lo sfruttamento dell’esistente gasdotto della pace che collega la città di Ashkelon con quella egiziana di Al-Arish sulla costa del Sinai e di cui il 25% è stato acquistato dall’italiana Snam nel 2021”.
Snam ha di recente avviato l’acquisto di navi per trasportare il Gnl che ad Ashkelon può essere caricato garantendo 2-3 miliardi di metri cubi l’anno. La compagnia di San Donato Milanese mira in questo modo a mettere un piede a terra oltre il Mediterraneo dopo esser diventata protagonista della partita dei gasdotti dell’Europa Orientale. Ma non solo.
Torna in campo EastMed
Dopo il “Gasdotto della Pace” si può aprire una riflessione su EastMed. Gasdotto allo studio coinvolgente tutti i Paesi in questione meno la Turchia, che dovrebbe essere lungo oltre 1.900 chilometri e capace di portare fino a Otranto 8-10 miliardi di metri cubi di gas pescati dal Bacino Levantino nel Mediterraneo a cavallo tra Israele, Egitto e Cipro, guardato con attenzione dalla Grecia e dagli Usa per togliere quote di mercato alla Russia. Negli anni scorsi l’ostilità di Ankara e le sue conseguenti minacce sistemiche nell’Est del Mediterraneo assieme al fatto che i “gioielli” egiziani di Eni, Zohr e Noor, siano distanti dalla rotta di East Med hanno portato tre diversi premier (Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e Giuseppe Conte) a nicchiare sul decisivo assenso a un progetto da 7-8 miliardi di euro. Ma ora la necessità si è fatta sempre più calda.
Del dossier, nota Formiche, “aveva discusso con le controparti israeliane anche Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, in occasione della sua visita a fine aprile. Sul progetto targato Edison-Depa c’è anche un rinnovato interesse degli Stati Uniti anche se i tempi non sono immediati”: quattro anni secondo le stime più realistiche. Ma se Draghi vuole promuovere un’agenda energetica a tutto campo oggi EastMed appare un dossier non più rimandabile poste le dovute premesse: e cioè che saldandosi col Tap portante il gas azero in Puglia può spostare a sud il baricentro energetico nazionale.
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C’è da vincere la resistenza dell’ostilità turca al progetto, ma qui Roma può aiutare mirando a fare da broker per il consolidamento dell’avvicinamento tra Israele e Turchia e di una distensione che in nome della lotta per la pace in Ucraina si sta rafforzando e potrebbe avere il suo culmine nell’approvazione di un terzo gasdotto, comune ai due Paesi.
L’ipotesi del gasdotto turco-israeliano
In quest’ottica il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha espresso interesse nella collaborazione energetica con Israele e nell’accesso al gas di Leviathan. Ankara e Tel Aviv lavorano a un gasdotto da 500 km in grado di portare in Turchia il gas israeliano. Si tratterebbe di una svolta perché diminuirebbe i timori di Ankara di essere tagliata fuori da EastMed e la farebbe partecipare da partner a manovre che vedono coinvolte nazioni percepite come ostili come Grecia e Cipro. E l’Italia può mobilitare il suo know-how infrastrutturale e tecnico per completare l’opera in tempi brevi.
Nei prossimi anni l’Italia si gioca una fetta importante della sua indipendenza energetica nel Mediterraneo. Consolidati i rapporti con l’Algeria, sempre più attenzionati gli altri Paesi africani e reso decisivo il Tap, a Est si muove un fronte ancora più interessante: quello del legame tra Roma e Israele in nome di un rinnovato e rinvigorito asse energetico che negli anni a venire può fissare una strada per l’ottenimento di un’indipendenza energetica dalla Russia capace anche di valorizzare le imprese e le eccellenze italiane senza strappi traumatici con Mosca. Tutto questo mentre su altri fronti, come quello del petrolio, il ritorno di Eni in Paesi come il Venezuela dimostra come l’originalità di pensiero e la visione strategica siano decisive per il sistema-Paese. Questo perché la tempesta d’Ucraina non offre solo rischi, ma anche opportunità di indipendenza e autonomia per l’Italia. Dinamiche che sarebbe un errore lasciar sviluppare senza che Roma giochi la sua parte: e di queste dinamiche quella in via di sviluppo con Tel Aviv è la più interessante e promettente.