C’è un convitato di pietra nella partita delle sanzioni alla Russia: il gas naturale. Come avevamo anticipato su IlGiornale.it, la vera “opzione nucleare” economica verso Mosca non sarebbe stata certamente la procedura di esclusione della Russia dal sistema Swift ma piuttosto un’esclusione delle forniture energetiche verso i Paesi occidentali. E se in termini di bilancio il petrolio appare l’assoluto protagonista per la Russia, per coinvolgere appieno l’Europa è proprio l’oro blu l’asset decisivo. Ma in Italia, per ora, una terna inedita di Paesi blocca le sanzioni a Mosca sull’energia.
Italia e OIanda sono alleate, in forma inedita, riporta l’Huffington Post, dato che Mario Draghi ha trovato in Mark Rutte un compagno di strada con cui pedalare nella salita ripida della guerra economica alla Russia. Ma anche la Germania, che contro Mosca ha seppellito la lunga convergenza promossa da Angela Merkel ed è arrivata a rimettersi l’elmetto e riarmarsi dopo l’invasione dell’Ucraina, pur avendo sospeso la certificazione del gasdotto Nord Stream 2 ha dichiarato che non firmerà alcun pacchetto sanzionatorio in materia.
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CAUSALE: Reportage Ucraina
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Draghi, Rutte e Olaf Scholz spingono per applicare con fermezza i pacchetti di sanzioni già approvate, come quelle sugli oligarchi e i loro beni, ma guidando i Paesi più assetati di gas russo non possono rischiare l’osso del collo nell’attuale fase di crisi energetica. Il 3 marzo scorso, ha riportato Quotidiano.net, “i flussi di gas attraverso il gasdotto Yamal-Europa verso la Germania attraverso la Polonia si sono interrotti. Yamal è uno dei tre gasdotti che la società russa monopolista Gazprom utilizza per convogliare il suo gas naturale verso l’Europa. Il primo stop di gas dalla Russia alla Germania, anche se si tratta del gasdotto che Yamal fornisce solo il 10% del fabbisogno del Paese”. Il 4 marzo su scala europea i prezzi sono saliti di oltre il 25%, portando l’oro blu ai massimi livelli storici nel Vecchio Continente
Berlino dunque ha tirato il freno. Con l’attuale crisi dei prezzi, infatti, sarebbe a dir poco suicida portare avanti la petizione di principio di imporre l’embargo alle forniture del primo esportatore di gas in Europa. A ammetterlo, nella giornata del 7 marzo, la principale avversaria di Nord Stream 2, l’ex candidata cancelliera dei Verdi e Ministro degli Esteri Annalena Baerbock, la quale ha dichiarato che le sanzioni a Mosca sono inutili se non sono sostenibili nel tempo. La Germania dipende per il 38% del suo fabbisogno di oro blu dal gas russo: nel 2021 ha importato 142 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia, il 6,4% in meno del 2020, una quota però difficilmente rimpiazzabile specie in una fase in cui il prezzo della materia prima è decuplicato in un mese. E per una nazione come la Germania che dipende per il 63% complessivo dagli import energetici, attaccarsi a una svolta tanto radicale mentre la crisi energetica mette a repentaglio le politiche di transizione e, soprattutto, impone una riflessione sugli investimenti per le forniture gasiere (Berlino importa esclusivamente via gasdotti e dovrebbe sviluppare terminal per il gas liquefatto) rischia di essere problematico.
Dunque Berlino sceglie una via cautelativa: la Germania, grande potenza industriale, non è disposta a sacrificare sull’altare della contrapposizione a Mosca la necessità di alimentare un sistema produttivo tremendamente energivoro. Lo stesso dovrebbe pensare l’Italia. Roberto Cingolani ha affermato che entro giugno il 50% dell’import gasiero dalla Russia sarà sostituito con altre fonti, ma la dichiarazione appare difficilmente sostenibile. Su queste colonne abbiamo voluto sottolineare la necessità di pensare in grande sul fronte energetico per rispondere alla crisi, ma dobbiamo porre questioni importanti: si tratta di un prospetto di lungo periodo e, per quanto il trittico tra gas nazionale, forniture algerine e Tap azerbagiano possa essere funzionale, sostituire il 40% dell’import soddisfatto dal gas russo in poche settimane è semplicemente infattibile.
“Prima ancora di preoccuparsi dei maggiori costi – che sicuramente ci saranno e che rappresenteranno il prezzo della fermezza dell’Europa di fronte alla violazione del diritto internazionale – ci si può chiedere come il nostro paese potrebbe coprire l’eventuale buco della mancata fornitura di 33 miliardi di metri cubi di gas russo”, nota StartMag. Anche nella consapevolezza di voler dimezzare le forniture a 16,5 miliardi di metri cubi, da qui a giugno appare complesso ottenere questo risultato. Nonostante il governo Draghi abbia voluto portare la produzione nazionale a 6,5 miliardi di metri cubi annui i pozzi vanno innanzitutto riattivati e il sistema messo in moto. Questo rappresenterebbe una svolta nel medio-lungo periodo, ma sul breve infiammerebbe i costi. Sulle forniture estere il settore più promettente è quello del gas azero proveniente dal Tap, ma un gasdotto non può essere in tempi brevi portato a raddoppiare le forniture da 10 a 20 miliardi di metri cubi così da soddisfare il buco che Cingolani intende compiere in tempi brevi. Costi in volo e incertezze geopolitiche rendono il realismo d’obbligo: il gas russo è una dipendenza da cui liberarsi in prospettiva, ma che nell’immediato è tuttora una fornitura imprescindibile. Anche dopo le esecrabili mosse del Cremlino in Ucraina.
Complessivamente l’Ue continua a fornire al giorno, secondo le stime più attendibili, 700 milioni di euro al giorno al Cremlino tramite Gazprom per le forniture gasiere. Un’amara considerazione è che così facendo Berlino e gli altri Paesi scegliono di continuare a finanziare l’erario russo attraverso Gazprom e, dunque, l’offensiva russa in Ucraina: anche su questo fronte l’Unione, che si dichiara coesa nelle intenzioni (condannare l’offensiva russa) è disunita alla prova dei fatti e delle risposte concrete. Nulla di nuovo sotto il sole anche sotto questo punto di vista: l’Europa è sempre più oggetto e sempre meno soggetto delle grandi dinamiche globali.