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Il Parlamento Europeo ha promosso la Tassonomia sulla sostenibilità introdotta dalla Commissione von der Leyen e ha dato dunque un quadro definitivo su cosa è ritenuto funzionale allo sviluppo sostenibile e cosa invece no nelle attività del Vecchio Continente.

La tassonomia contro la crisi energetica

La Tassonomia è stata approvata dopo settimane in cui l’Europarlamento si era spaccato su auto elettrica, dazi verdi e tetti alla compravendita dei permessi di inquinamento grazie alla saldatura tra Partito Popolare Europeo, Conservatori, sovranisti e fette dei liberali di Renew Europe. Contrari in blocco Socialisti, Verdi e Sinistra.

Cosa cambia ora? Bisogna partire dalle basi. E cioè alla ratio politica che ha spinto la Commissione a promuovere questo provvedimento. A gennaio l’inizio dell’attuale tempesta energetica ha prodotto l’effetto di mostrare la differenza tra fonti fossili capaci di frenare la transizione e fonti, invece, che possono giocare un ruolo nel quadro degli scenari del futuro, come il gas naturale. La tassonomia dell’Ue è emersa tra gennaio e febbraio come una strategia omnicomprensiva con cui Bruxelles ha voluto armonizzare la definizione di ciò che è identificabile in tutto il Vecchio Continente come un’attività “sostenibile” utilizzando criteri tutt’altro che restrittivi.

Il minimo comune denominatore è la volontà di potenziare il Piano d’azione per la finanza sostenibile e il complementare Regolamento sulla divulgazione della finanza sostenibile, che vuole promuovere trasparenza. Da oggi sono definibili come sostenibili solo le attività che contribuiscono in modo sostanziale a uno o più dei sei obiettivi ambientali indicati. Si tratta di: mitigazione del cambiamento climatico del sistema economico; adattamento dei settori strategici ai cambiamenti climatici; protezione delle risorse marine e idriche; transizione verso un’economia circolare; prevenzione l’inquinamento; protezione e ripristino della biodiversità e deggli ecosistemi.

Cosa cambia ora

In quest’ottica qui, il cambiamento è principalmente legato alle nuove certificazioni richieste agli operatori nel riportare gli effetti delle loro scelte di investimento. In primo luogo, le 550 pagine della Tassonomia modificano due importanti direttive di carattere tecnico, la  Non-Financial Reporting Directive (Nfrd) e la Sustainable Finance Disclosure Regulation (Sfdr). In quadro Nfrd, imprese e società finanziarie europee dovranno indicare come sostenibili i proventi e le quote di investimenti in conto economico e capitale associati a attività esplicitamente indicate nella tassonomia. Sul fronte Sfdr, dovranno essere invece date dettagliate informazioni e rendicontazioni in materia di applicabilità della tassonomia stessa, indicando con precisione quali sono le operazioni oggetto di interesse della tassonomia nel caso degli investitori finanziari. Le imprese attive nella produzione di beni e servizi devono invece dichiarare al mercato quali loro attività si collocano nel perimetro della sostenibilità, della transizione energetica e via dicendo.

In secondo luogo, la Commissione Europea e i governi potranno orientare sulle attività indicate nella Tassonomia gli investimenti pubblici e i sostegni economici indiretti necessari a accelerare la transizione. I prodotti generati con filiere rispettosi della tassonomia potranno mantenere l’Ecolabel europeo di sostenibilità e si prevede che la prossima proposta di emissione dell’Unione Europea per un Green Bond Standard dell’Ue utilizzerà la Tassonomia come metro di giudizio della destinazione degli investimenti finanziabili con questo tipo di titoli.

Infine, in vista della approvazione del Carbon Border Adjustment Mechanismil programma di “dazi verdi” dell’Ue in via di definizione nelle commissioni parlamentari, vi sarà la necessità di adattare i piani europei contro il dumping ambientale alle nuove, più pragmatiche richieste della Commissione.

Gas e nucleare, paletti precisi

Il dato principale, e quest’ultimo punto ce lo fa capire, è politico: l’Ue sceglie definitivamente, sul fronte della transizione, la via pragmatica di fronte all’ecologismo. I critici della tassonomia dicono che ora gas e nucleare potranno, in quanto inclusi, essere sdoganati come fonti “verdi”. Ciò è vero solo in parte. Sei attività (tre del nucleare e tre del gas), nota l’Agi, “vengono identificate per la transizione green e quindi sono ritenute meritevoli di finanziamenti pubblici e privati”. Il principio che ha guidato la Commissione in questa valutazione è “la transizione verso il net zero fissato al 2050 e la coscienza di non riuscirci tagliando fuori gas e nucleare già ora”, come del resto si è capito nei mesi cupi della guerra in Ucraina. Tuttavia ciò non significa che a essere sdoganato sia un Far West energetico, tutt’altro. I paletti su gas e nucleare sono rigidi

Come spiega l’Agi, infatti, “le tre attività identificate per il nucleare sono ricerca e sviluppo di tecnologie per la minimizzazione delle scorie radioattive; la realizzazione di impianti nucleari di nuova generazione e l’estensione del funzionamento degli attuali impianti. Le tre attività del gas riguardano invece la produzione di elettricità, la co-produzione ad alta efficienza di calore/freddo ed elettricità e la produzione di calore/freddo in un efficiente sistema di teleriscaldamento e teleraffrescamento”.

In sostanza: tutto ciò che nei settori in questione promuove innovazione, sviluppo tecnologico e risparmio energetico è considerato un abilitatore della transizione. Per la quale, si sottolinea, ci vorrà tempo. Ma nel frattempo si pone un principio importante di trasparenza. Perfettibile come scelta? Sicuramente sì. Ma iniziare a indicare cosa può davvero aiutare alla transizione e cosa invece è semplice greenwashing, così come dare un perimetro chiaro ai fondi di finanza sostenibile, agli investimenti Esg e a prodotti simili, aiuta a fissare dei paletti chiari sul processo della transizione. Il quale non sarà un pasto di gala e necessiterà delle migliori energie economiche e industriali. Ragion per cui la via dei passi graduali appare l’unica percorribile.

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