Dopo un’escalation, a dire il vero più retorica che fattuale, sulle minacce di uno stop alle forniture di gas russo il governo Draghi e il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani in particolare stanno adottando un approccio più realista sul superamento della dipendenza da Mosca. Nelle scorse settimane abbiamo analizzato come, al netto di dichiarazioni spesso confusionarie del titolare del MITE dettate dall’emotività della fase in corso, la guerra russo-ucraina ha fornito il gancio per mostrare quali sono le criticità del sistema-Paese Italia sul fronte energetico:
- Eccessiva dipendenza dalle importazioni gasiere di un solo fornitore, la Russia, che garantisce 33 miliardi di metri cubi annui su 70 di consumo.
- Scarsa elasticità del mix energetico dovuta alla doppia problematica della crescita esponenziale dei prezzi delle materie prime e dell’inflazione che rende più costoso sostenere gli investimenti in transizione energetica.
- Assenza di un’agenda energetica di carattere politico-strategico al di fuori dei piani industriali dei grandi gruppi (Eni, Snam e via dicendo)
Dopo un mese dall’invasione russa dell’Ucraina l’analisi di scenario sembra essersi fatta, finalmente, più pacata. A partire da una considerazione: pensare il decoupling energetico dalla Russia in termini graduali e senza strappi relativi è possibile complice il fatto che presto si aprirà la stagione calda e la pressione sulla cittadinanza si farà meno gravosa. Come riporta Il Foglio, “le esigenze da tenere in considerazione sono due. Una riguarda l’inverno 2022/2023, l’altra gli anni successivi. Secondo il calcolo del governo, i “processi avviati rendono credibile il superamento totale della dipendenza vincolante dalla Russia e anche il raggiungimento di un’ampia platea di fornitori, a vantaggio della stabilità dei prezzi, per il 2024”.
Come fare? In primo luogo col potenziamento del sistema di rigassificazione a cui recentemente si è dato il via libera con l’acquisto da parte di Snam di due navi destinate a questo scopo. Si prevede di trovare una extra-capacità compresa tra i 10 e i 12 miliardi di metri cubi e soprattutto di “mettere l’Italia nella condizione di avere una certa sicurezza grazie ai rapporti con fornitori (Algeria, Egitto e Congo in testa). L’Italia è il secondo paese europeo per capacità di stoccaggio e quest’ anno è stato il primo, con un riempimento tuttora al 30,1 per cento”, che portata al massimo permetterebbe maggiori economie di scala per l’arrivo di Gnl americano, qatariota, norvegese, africano.
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In caso di totale azzeramento delle forniture russe per embargo energetico unilaterale o proseguimento del conflitto, poi, l’Italia dovrebbe trovare nuovi pivot di rifornimento. L’Algeria e l’Egitto sono attenzionate. E nel Mediterraneo riprende piede l’ipotesi EastMed. Siamo meno ottimisti sull’ipotesi di azzerare la dipendenza dal gas russo entro il 2024, se non altro per capire se davvero l’opzione di azzeramento delle forniture del gas di Mosca sia, per il dopoguerra, l’ipotesi realmente più efficace.
In potenza va creata una capacità di sostituzione che superi i 33 miliardi di metri cubi potenzialmente cruciali per i conusmi interni e a cui l’Italia non può rinunciare. E bisogna evitare di sostituire alla dipendenza dal gas russo la dipendenza da qualsiasi altro produttore. In quest’ottica aumentare le forniture azere del Tap, che fornisce il 10% del gas nazionale e ha dato un aiuto notevole nella lotta al caro-bollette, darebbe aiuto sul medio periodo. Come ha dichiarato a Il Messaggero Luca Schieppati, managing director della società che gestisce il Trans Adriatic Pipeline, il primo step per una sua valorizzazione sarebbe l’utilizzo a pieno regime del gasdotto (10 miliardi di metri cubi annui dai 7 attuali), il secondo un raddoppio della sua portata capace di renderlo l’hub in grado di portare in Italia il gas non solo dell’Azerbaijan ma anche del Turkmenistan.
Quanto tempo richiederà una mossa del genere? Schippati ha dato risposte chiare: “40 mesi a partire dalla firma dei contratti.Se fosse un raddoppio completo ci vorrebbero oltre 50 mesi”, ovvero almeno quattro anni. Un tempo in cui pensare a una graduale riduzione della dipendenza dal gas russo. La cui presenza nel mix energetico nazionale va ridimensionata ma non necessariamente cancellata. Facendo i conti: portare da 7 a 20 miliardi di metri cubi annui la portata del Tap e da circa 9 a oltre 20 miliardi metri cubi quella dei rigassificatori consentirebbe, unitamente all’applicazione del piano del governo Draghi di alzare da 3 a 6,5 miliardi di metri cubi la produzione dei giacimenti nazionali, di avere un cuscinetto di sicurezza non indifferente. Parliamo di 26,5 miliardi di metri cubi che possono essere deviati dalla dipendenza dalla Russia. E i 10 miliardi del gas mediterraneo di EastMed possono in tal senso far la differenza rendendo il mercato resiliente e consentendo all’Italia di acquistare dalla Russia secondo dinamiche di mercato e non sulla base di una dipendenza strutturale. “L’adesione italiana nel 2020 al Forum del gas del Mediterraneo orientale (East Mediterranean Gas Forum – Emgf) costituito da Cipro, Egitto, Giordania, Grecia ed Autorità nazionale palestinese ha aperto la strada alla realizzazione del progetto. Sono così venute meno le nostre riserve verso un’iniziativa a lungo considerata non rispondente all’interesse nazionale nel confronto col Tap” ma ore ritenuta decisiva, ha scritto l’ammiraglio Fabio Caffio su StartMag.
I mesi caldi possono essere utilizzati per capire in che modo l’Italia può ottimizzare le decisioni e le scelte. Senza isteria, senza strappi radicali e senza pregiudizi possiamo e dobbiamo pensare in grande. Nella consapevolezza che programmare con un orizzonte più lungo rispetto all’aspettativa del 2024 può fornire maggiore sicurezza verso la grande meta dell’autonomia energetica. Fattore decisivo per il nostro posizionamento geopolitico e per la sicurezza economica di milioni di famiglie e imprese. Mai sprecare una crisi dimenticandosi le opportunità che può schiudere.