Una partita a tutto campo, non priva di venature “sovraniste”, nella perfetta applicazione della concezione francese dell’Europa. Sulle materie prime strategiche e le tecnologie per la transizione energetica Emmanuel Macron tira dritto, nel tentativo di anticipare il resto dell’Europa, proponendo un’alternativa all’Inflation Reduction Act di Joe Biden e alla nuova “sfida americana” portata attraverso sussidi e sostegni alle imprese attive in questi campi negli Usa.

Un dinamismo a tutto campo quello dell’inquilino dell’Eliseo, specchio di un piano ben preciso. Il governo francese del capo dello Stato aveva già prima delle presidenziali 2022 scommesso molto sul grande progetto France Relance legato alla transizione energetica, e ora lancia a tutto campo un grande partenariato pubblico-privato per consolidarsi.

Nella giornata dell’11 maggio il dipartimento dell’Ambiente e dell’Ecologia del governo francese ha pubblicizzato sui suoi canali l’avvenuto lancio di un fondo di investimento finalizzato a rendere la Francia protagonista nei mercati dei materiali critici costruito assieme al fondo di venture capital InfraVia col sostegno di Caisse des Dépôts, una delle “casseforti” del risparmio pubblico transalpino.

La scommessa di Macron

Il fondo si inserirà nella strategia Francia 2030 e i suoi investimenti saranno dedicati alla ricerca nel suolo nazionale e fuori dall’Esagono giacimenti strategici di minerali e metalli critici per la transizione per potenziare, nelle parole del Ministro dell’Economia Bruno Le Maire ” le risorse dell’industria francese nella competizione globale per le tecnologie verdi”

InfraVia sarà finanziato con 500 milioni di euro e si finanzierà sui mercati e con gli investitori per raggiungere quota 2 miliardi di euro di capitale. I fondi saranno garantiti sul fronte pubblico dal piano France 2030, che stanzia 30 miliardi di euro per potenziare il progetto transalpino di produzione di asset per l’energia pulita, 8 dei quali garantiti all’industria nucleare. In quest’ottica, Parigi è ben conscia delle implicazioni economiche, industriali, geopolitiche e securitarie della transizione energetica e non vuole trascurarne alcun settore. Se da un lato il nucleare deve essere il pivot del sistema francese, e la rinazionalizzazione completa dell’utility Edf avvenuta nel 2022 lo conferma, dall’altro Parigi vuole proiettarsi anche negli altri campi come attore-guida europeo.

Come accaduto con l’uranio, cercato in ex parti dell’impero coloniale come il Niger, anche su litio, nichel, cobalto e terre rare la Francia userà la politica mineraria come punta di lancia del suo sistema di “capitalismo politico”. Ma al contempo giocherà su molti fronti. “Questo strumento, come si augurano i suoi promotori, dovrà scongiurare lo spettro di nuove dipendenze da paesi che producono i materiali critici per l’elettrificazione dell’industria automotive. Una sfida che si fa sempre più intensa tra i paesi consumatori, come Stati Uniti e Cina”, ha scritto Formiche.

La terza via di Parigi

Macron vuole promuovere una terza via europea a guida francese, anticipare sia la strategia europea sulle batterie che il Critical Raw Materials Act che vuole stanziare fondi comunitari per portare al 10% la quota europea nel mercato mondiale degli asset per la transizione e creare mercato ai colossi francesi. Mentre a Versailles Macron riuniva un esercito di Ceo da tutto il mondo incassando investimenti per 13 miliardi di euro Le Maire e i suoi proseguivano nel cesellare una strategia industriale ambiziosa. La transizione energetica si inserisce in un contesto più ampio che vede la Francia giocare da attore capace di plasmare i mercati.

Nel 2021 Macron ha lanciato il fondo VivaTech da 10 miliardi di euro che servirà a iniettare grandi quantità di capitali governativi in startup tecnologiche. Dall’intelligenza artificiale al semiconduttori, dai data center innovativi agli investimenti nel quantum computing, la Francia vuole promuovere le conoscenze tecnologiche di frontiera, gli atenei d’eccellenza presenti a Parigi, Toulouse, Grenoble e Nizza e l’innovazione per essere un gigante industriale europeo anche in futuro. A questo si aggiunge il ruolo della banca pubblica d’investimento Bpi France, che si muove come fondo sovrano per il sostegno all’innovazione, l’acquisto di quote di aziende promettenti in ogni settore (dall’agricoltura alle costruzioni, dalla sanità al fintech) e la concessione di linee di credito agevolate.

La volontà della Francia di Macron è chiara: dipendere il meno possibile dal resto del mondo. Tenere in patria le aziende attratte dai fondi dell’Ira di Biden. Preservare una leadership europea nei campi di riferimento. Incentivare il dinamismo e essere attiva su ogni punto della filiera. Alle materie prime, in questo caso, si aggiungono gli accordi industriali. E la capacità di Macron di giostrarsi nel grande gioco globale tra Cina e Usa è testimoniata da molti avvenimenti recenti.

Gli accordi sulle batterie con Cina e Taiwan

Il piano di Macron sopra descritto si sta lentamente concretizzando anche attraverso i fatti. Il presidente francese ha dichiarato che il gruppo cinese Xtc New Energy Materials intende costituire una joint venture con la francese Orano, nel settore delle batterie, nella città portuale di Dunkerque, per un investimento previsto di 1,5 miliardi di euro.

Sempre nella stessa città, il capo dell’Eliseo ha annunciato un secondo investimento, dal valore di 5,2 miliardi di euro, da parte del produttore di batterie taiwanese ProLogium, per la costruzione di una nuova gigafactory.

“Abbiamo appena firmato, con una joint venture tra Xtc e Orano, un secondo investimento per la produzione di materiale catodico nelle batterie al litio. Questo ci consentirà di garantire l’estremità superiore della catena del valore nella produzione di batterie al litio”, ha spiegato Macron, aggiungendo che i due investimenti creeranno complessivamente 5mila nuovi posti di lavoro.

Il quotidiano cinese Global Times ha scritto che Xtc New Energy Materials è adesso impegnata nella ricerca e sviluppo, produzione e vendita di materiali catodici per batterie agli ioni di litio, e che la joint venture sarà incaricata di produrre materiale catodico e precursori.

Allo stesso tempo, la Francia è riuscita ad attirare anche un maxi investimento da Taiwan. Vincent Yang, amministratore delegato del produttore taiwanese di batterie per auto ProLogium, ha elogiato la spinta dei veicoli elettrici in Europa come motivo per scegliere la Francia per un maxi impianto, a sostegno degli sforzi di Bruxelles per contrastare l’appello dei massicci sussidi verdi statunitensi. “L’Europa è un buon posto per avviare un’attività del genere, in quanto vi è una crescente domanda di mercato per i veicoli elettrici. Il regolamento è neutrale, nel senso che è sovranazionale e non sarà influenzato dalle elezioni nazionali”, ha dichiarato Yang al Financial Times.

Il pragmatismo della Francia

ProLogium, che tra i suoi azionisti può vantare Mercedes-Benz e la vietnamita VinFast, ha scelto il porto di Dunkerque, nel nord della Francia, dopo aver esplorato dozzine di località europee e selezionato come possibilità Paesi Bassi e Germania. Tra le condizioni che hanno convinto l’azienda a scegliere Parigi, troviamo la disponibilità di energia nucleare a basse emissioni di carbonio garantita dalla Francia, così come i sussidi statali francesi che si attivano “in anticipo” (e non quando inizia la produzione come i crediti d’imposta statunitensi).

Scendendo nei dettagli, ProLogium si concentra sulle batterie a stato solido, che secondo gli sviluppatori sono più sicure e più durevoli delle batterie agli ioni di litio a base liquida. L’azienda mira ad avviare la produzione entro la fine del 2026 e raggiungere una capacità di 48 Gigawatt all’ora entro il 2030. “Il nostro progetto va oltre la semplice Gigafactory. Vorremmo localizzare l’approvvigionamento di materiali chiave in Europa e disporre di un centro di ricerca e sviluppo”, ha affermato Yang.

Macron non può che essere soddisfatto del doppio jolly svelato. Già, perché mentre la maggior parte dei Paesi, data la forte pressioni degli Stati Uniti, è in difficoltà nel giustificare un rafforzamento nei rapporti commerciali con la Cina, la Francia è riuscita, in un colpo solo, ad attirare investimenti cinesi e taiwanesi. E per di più nella stessa città. Il pragmatismo di Parigi ha lanciato un chiaro messaggio a Washington, ma soprattutto agli altri partner europei.

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