Non è un razionamento, ma poco ci manca. La Germania ha alzato al secondo livello d’allarme la vigilanza sul mercato del gas su iniziativa del ministero dell’Economia guidato dal verde Robert Habeck, vicecancelliere del governo di Olaf Scholz. Dei tre step di garanzia nel mercato energetico nazionale, il primo era stato attivato il 30 marzo scorso, a poco più di un mese dall’invasione russa dell’Ucraina.
Il gas è “da ora in avanti un bene scarso in Germania“, ha affermato Habeck nel comunicare l’inizio della situazione di “allarme”. Pur avendo aggiunto che la situazione attuale vede “attualmente garantita” la fornitura minima vitale alla Germania, il governo federale è conscio del fatto che “la situazione è grave e arriverà l’inverno”. L’obiettivo dichiarato è evitare il razionamento del gas per l’industria, “se possibile”.
Habeck aveva già in passato dichiarato il rischio di “disoccupazione di massa e povertà” senza il gas russo e, da fautore della transizione, si è trovato ad essere il ministro chiamato a riattivare emergenzialmente le centrali a carbone. Ora, nuovo paradosso, l’ecologista nemico di Nord Stream II è il ministro che rassicura l’industria manifatturiera e i cittadini tedeschi sulla tenuta del sistema nazionale in riferimento alle forniture di oro blu e denuncia un “attacco economico” contro la Germania voluto da Vladimir Putin quando ha deciso di ridurre le esportazioni di gas della Russia del 50% attraverso il tratto già in funzione del gasdotto baltico.
Sul piano concreto, va sottolineato, i razionamenti scatterebbero solo qualora la Germania arrivasse alla terza e ultima fase, quella di “emergenza”. Allora si entrerebbe in uno scenario di vera e propria economia di guerra con razionamenti decisi dalle autorità, manovre di efficientamento dei consumi, austerità generalizzata. L’incubo della coalizione “semaforo” è dover promuovere misure di questo tipo quando arriverà l’inverno qualora Berlino si facesse trovare in una situazione analoga a quella del febbraio scorso, in cui gli stoccaggi erano semivuoti.
Ma la mossa appare comunque importante sotto il profilo politico e simbolico. La decisione è in primo luogo volta a evitare traumi alla popolazione qualora in futuro si dovesse segnalare alle aziende e alle famiglie che sono in arrivo tagli dolorosi. Ma segna anche un cambiamento importante per la Germania, che annuncia di fatto la fine del legame accomodante con la Russia sull’energia. Mosca ha alzato l’asticella del confronto col ricatto dei prezzi e il controllo dell’arma delle forniture contro lo storico partner tedesco, ritenuto eccessivamente allineato agli Stati Uniti nella gestione della crisi a Est e nel sostegno all’Ucraina. Berlino, che assieme all’Italia fornisce quasi i due terzi dei pagamenti giornalieri a Mosca, dall’inizio della guerra ha garantito alla Russia un tesoretto di 24 miliardi di euro e ha al tempo stesso frenato ogni strategia europea di embargo temendo che questo scatenasse sul Paese lo tsunami della recessione. Ora però è intrappolata tra la sua dipendenza e la lucida strategia di guerra economica e weaponization dell’energia promossa dalla Russia. A cui non può che reagire iniziando a tutelare il fronte interno da possibili scossoni.
In quest’ottica la Germania ammette di essere il “malato d’Europa” in campo energetico. Tanto che poche ore dopo le parole di Habeck il Ministro italiano per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ha voluto fare dei distinguo: “Noi non abbiamo bisogno di alzare il livello” di allarme sul gas come fatto dalla Germania, che “ha più problemi” di dipednenza e minore diversificazione: “stiamo molto meglio degli altri, non c’è confronto”, ha dichiarato l’ex direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia sottolineando che come sistema-Paese Italia “”siamo abbastanza avviati verso la sicurezza energetica nazionale. Il piano che abbiamo dichiarato è rispettato” e gli stoccaggi, oggi al 55%, saranno “all’85-90% entro fine anno”. La differenza è che l’Italia può arrivarci senza passare dalla strada pressoché esclusiva del gas russo, la Germania no. E questo preoccupa gli operatori.
L’industria manifatturiera sta diventando il settore capace di essere la vittima più illustre di questa crisi. Gli imprenditori tedeschi scontano una grave crisi di sfiducia verso le contingenze che si stanno creando l’Indice Pmi manifatturiero, “termometro” della fiducia delle imprese, elaborato da Markit ha registrato infatti una flessione che lo ha portato a 52 punti, in calo rispetto ai 54,8 punti di maggio e ai minimi degli ultimi due anni. L’indice va da 0 a 100 e sotto il 50 segnala un’economia che si muove verso una fase recessiva. In quest’ottica dunque la discesa ai minimi dal 2020 indica che le aspettative delle imprese sono al livello più basso dall’era iniziale della pandemia ai tempi dei primi confinamenti.
Lo stop al gas sarebbe un primo passaggio verso una certificazione della rilevanza concreta di questi timori. Per ora resta l’allarme espresso dal leader verde divenuto “tutore” del gas circa una situazione che, tra riempimenti degli stoccaggi che proseguono a rilento, inflazione energetica e problemi strutturali nella risposta europea, lascia presagire un inverno decisamente problematico per la Germania e l’Europa.