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Tra Mosca, Berlino e Washington (con Bruxelles ferma sull’uscio) si sta giocando una partita sottile quanto micidiale. Nodo del contendere il super gasdotto North Stream 2, un serpentone di 1290 chilometri che si allunga sotto il Baltico collegando la Russia (Ust-Luga) alla Germania (Greifswald). Un mega impianto capace a regime di trasportare in Europa 55 miliardi di metri cubi annui di prezioso gas siberiano. Completato, dopo innumerevoli traversie, lo scorso 10 settembre è parzialmente operativo dal 18 ottobre. Gasprom ha annunciato che prima linea è stata riempita con 177 milioni di metri cubi di gas ed entro il primo novembre gli impianti di stoccaggio russi saranno riempiti. Tutto bene? Non proprio.

Il braccio di ferro con gli Usa

Andiamo per ordine. Per Washington, prima con Trump e oggi con Biden, l’obiettivo è stato contenere la “morsa” energetica putiniana sull’Europa come confermato quest’inverno dal portavoce del dipartimento di Stato statunitense Ned Price: “Il Nord Stream 2 e la seconda linea del TurkStream (il gasdotto russo-turco) sono progettati per aumentare l’influenza della Russia sui nostri alleati e partner e minano la sicurezza transatlantica”. Da qui negli anni le pesanti sanzioni alle società occidentali coinvolte nella costruzione del gigantesco impianto, le continue pressioni sul Parlamento europeo e il pieno sostegno all’alleata Ucraina, tradizionale paese di transito per il gas russo. Kiev infatti non solo teme di essere bypassata dalla nuova linea baltica, perdendo così un reddito annuo di 7 miliardi di euro in tasse di passaggio, ma soprattutto rischia di ritrovarsi pericolosamente esposta ad un aumento di interruzioni energetiche da parte di Mosca.

nord stream germania russia

 

Minacce e intrighi che non hanno però intimorito frau Merkel che ha saputo rassicurare gli investitori del costosissimo progetto (circa nove miliardi di euro) e destreggiarsi con abilità tra la Casa Bianca e il Cremlino. Un esercizio di grande politica. Per l’ex cancelliera (come per i i suoi alleati socialdemocratici) il NS2 era ed è la pietra angolare del molto ambizioso piano energetico tedesco teso a superare la dipendenza dal carbone e dal nucleare. Un disegno che contempla (altro dispiacere a Washington) una stretta collaborazione russo-tedesca, proprio grazie al Nord Stream 2, nel campo dell’energia da idrogeno.

Da qui il continuo, cocciuto lavorio diplomatico della signora conclusosi con una vittoria parziale ma significativa. A sorpresa lo scorso 16 giugno Biden ha dovuto annunciare di voler scongelare le sanzioni trumpiane contro il gasdotto. “Mi sono opposto sin dall’inizio”, ha  sostenuto l’inquilino della Casa Bianca, “ma quando sono entrato in carica era quasi finito. Andare avanti sarebbe controproducente per le nostre relazioni con gli europei. Spero di poter lavorare con loro su come gestire la cosa da questo punto in avanti”. In cambio gli statunitensi hanno preteso da Berlino investimenti in Ucraina e si sono riservati il diritto di sanzionare russi e tedeschi nel caso Mosca utilizzi il raddoppio del gasdotto come leva di influenza nei confronti del continente europeo.

L’intoppo burocratico

Ora tocca alla Germania, ancora senza governo, e le cose si fanno nuovamente intricate: l’agenzia federale per le reti, la Bundesnetzagentur, ha rilevato un problema riguardo alla forma giuridica. Poiché le direttive europee impongono la separazione tra la gestione della rete e la distribuzione del gas, la pratica resterà ferma fino a quando la filiale costituita per gestione del segmento tedesco del gasdotto non completerà il trasferimento dei principali beni e delle risorse umane dalla società titolare del progetto, la Nord Stream 2 AG (controllata della russa Gazprom). Ma non è finita. Una volta terminato l’iter, la procedura passerà sui tavoli della Commissione europea per l’ultimo passaggio giuridico. Tempi previsti (salvo sorprese) quattro mesi. Dopodiché, il tutto tornerà alla Bundesnetzagentur che si è data altri due mesi per la definitiva (?) certificazione.

Risultato? L’ennesimo ritardo ha agitato sommamente i mercati: il prezzo di riferimento per l’Europa, fissato dal contratto dell’hub olandese TTF, è balzato dell’11 per cento e va verso i 90 euro/MWh, il massimo nelle ultime tre settimane. La telenovela del gas continua e a Washington (e a Kiev) qualcuno si sfrega le mani.