La diversificazione dell’Italia dal gas russo è stata avviata ma per farla marciare a pieno regime ci vorrà tempo. E un profondo pensiero strategico sulla transizione.
La difficile partita sul gas
Grande è la confusione sotto il cielo del mercato europeo ed italiano del gas, ma parafrasando Mao Zedong non si può dire che la situazione, ad ora, sia eccellente. La corsa alla sostituzione del gas russo nel mix energetico nazionale, in particolare, dettata più da necessità geopolitiche che da un reale calcolo strategico come una vera agenda energetica avrebbe imposto procede ma avrà tempi tutt’altro che ridotti.
Su Inside Over a inizio guerra in Ucraina avevamo sottolineato come per l’agenda italiana dell’energia la possibilità di pensare in grande avrebbe garantito risultati sul lungo periodo, ma al tempo stesso sarebbe stato tutto fuochè un pranzo di gala realizzarla concretamente. E all’inizio il governo Draghi e il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani avevano fissato obiettivi difficilmente realizzabili, fissando in tre mesi i termini per il dimezzamento dell’importazione di gas russo e in diciotto mesi i tempi per l’indipendenza.
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Obiettivi, questi, poi modificati dalla realtà dei fatti. Secondo le nostre stime la prospettiva di un coordinamento tra importazioni da altri attori, estrazione di gas nazionale, spinta sul gas naturale liquefatto e sulla rigassificazione e decarbonizzazione potrebbe consentire di sostituire 26,5 miliardi dei 33 miliardi di metri cubi di importazioni annue dalla Russia (dati riferiti al periodo pre-pandemico di ordinaria attività economica) in un orizzonte di quattro-cinque anni. Questo prescindendo dal grande punto interrogativo rappresentato dalla bomba dei prezzi, problema di caratura europea.
Le strategie dell’Italia
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e non solo metaforicamente. L’Italia non ha potuto non guardare oltre il turbolento Mediterraneo o dentro il suo offshore per cercare le nuove rotte su cui costruire le fonti future di approvvigionamento, le alleanze infrastrutturali, le nuove basi dell’estrazione e della rigassificazione nazionale. E questo ha consistito in uno sforzo su tre direttrici. Una, minoritaria per ora, punta verso il Gnl Usa; la seconda guarda alle grandi infrastrutture orientali, da EastMed al raddoppio del Tap che porterà il gas naturale azero in quote sempre maggiori dal Mar Caspio alla Puglia; l’ultima, la più importante, guarda all’Africa. Algeria, ovviamente, ma anche Congo e Angola; la Libia può giocare un ruolo e altrettanto può valere per Niger e Nigeria, possibili tratti di passaggio del gasdotto trans-sahariano oggi allo studio: tutto sembra allineato perché sia il continente oltre il Grande Mare la destinazione dello sforzo energetico italiano.
Ad oggi l’ipotesi di una strategia graduale su tempi ben più lunghi di quelli pensati inizialmente da Cingolani sembra veder conferme concrete. E il governo italiano pedala con decisione su una salita lunga e insidiosa, quella verso la vetta dell’indipendenza energetica.
Tra l’inizio del 2023 e la fine del 2024, in particolare, il Corriere della Sera ritiene possibili sostituire 17 miliardi di metri cubi di gas facendo riferimento sulla sua metrica al dato delle importazioni del 2021, anno segnato da prime tensioni geopolitiche e dalla coda della pandemia, pari a 29 miliardi di metri cubi. In particolare “circa 2,5 miliardi di metri cubi sono stati garantiti dall’Azerbaijan entro la fine dell’anno tramite il gasdotto Tap che arriva in Puglia. Altri tre miliardi di metri cubi arrivano dall’Algeria passando per Gela: il governo di Algeri ci darà 9 miliardi di metri cubi di metano in aggiunta ma lo farà, a regime, solo dal 2024”, mentre lo sfruttamento totale dei terminal di rigassificazione può portare a 16 miliardi di metri cubi la capacità a disposizione del sistema-Paese, utilizzata nel 2021 per 9,7 miliardi, mentre Snam è al lavoro per alzare in prospettiva di 5 miliardi di metri cubi tale propsettiva. Il Gnl in arrivo sarebbe congolese, angolano (6 miliardi di metri cubi dal 2023) ma soprattutto proveniente dal Qatar: “il governo di Doha si è impegnato a fornire altri 5 miliardi di metri cubi” oltre ai 6,4 già garantiti nel terminal Adriatic Lng di Rovigo, “ma dal 2023, mentre l’Egitto ne fornirà 3 miliardi sempre entro l’anno prossimo”.
Il resto della strategia dovrà confrontarsi con le importanti necessità di investimenti infrastrutturali, accordi a tutto campo con i Paesi fornitori, ricerca di economie di scala e competizione tra i Paesi europei per accaparrarsi forniture a buon mercato e si dispiegherà negli anni a venire. Il tutto, nelle intenzioni del governo Draghi, con la possibilità che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza acceleri i complessi scenari venutisi a creare sulla transizione energetica. Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec) prevedeva nel 2019 i consumi destinati a scendere dai 70-75 miliardi di metri cubi l’anno ai 60 del 2030 nel quadro di una strategia di efficienza energetica, decarbonizzazione e risparmio
Le nostre simulazioni sulla sostituzione delle importazioni si manifestavano come funzionali a uno scenario in cui tale diminuzione è messa in dubbio dalle conseguenze macroeconomiche e sistemiche di pandemia, destrutturazione delle catene del valore, bomba inflattiva e tempeste geopolitiche, fattori che a loro volta vanno a risultare in grado di pregiudicare la transizione. Ma per smarcarsi dal gas russo puntare fortemente sulla decarbonizzazione complementare all’utilizzo del gas naturale in uno scenario in grado di unire l’oro blu alle rinnovabili nel mix nazionale appare come una strategia indispensabile. Specie considerato il fatto che la grande opportunità sistemica dell’Italia oggi è la possibilità di sostituirsi alla Germania come hub energetico europeo, di unire a sé le reti energetiche del contesto euromediterraneo ed africano e di sfruttare questa rendita di posizione in termini di dual use per consolidarsi come “superpotenza delle rinnovabili” grazie ai propri campioni nazionali già attivi sul piano internazionale (Enel, Terna, Edison e via dicendo).
Rischi sistemici
Questo consentirebbe di promuovere una strategia di graduale indipendenza dalla Russia senza arrivare a rovinosi strappi unilaterali come un embargo energetico unilaterale, ridimensionando la tempesta finanziaria sui mercati, rafforzando l’interesse nazionale in Europa. E soprattutto senza puntare necessariamente a azzerare del tutto i rapporti energetici con Mosca.
Va inoltre pesato in questo contesto il rischio che l’emancipazione dal ricatto energetico russo porti con sè la creazione di rischi sistemici in altri contesti. In particolare, sono tre gli ostacoli da doppiare per non rendere l’emancipazione dal gas russo più complessa.
In primo luogo, evitare di creare “nuove Russie” in grado di pressare il sistema-Paese per la sua dipendenza nei loro confronti. Pensiamo in particolar modo all’Algeria, Paese indispensabile ma al contempo instabile che potrebbe diventare il primo fornitore di Roma ma, al contempo, risulta un partner strategico di Mosca che la rifornisce di armi pagate, guarda caso, proprio con le forniture di oro blu all’Europa.
In secondo luogo, appare vitale puntare a tutto campo sugli accordi energetici coi Paesi produttori e evitare di consegnarsi alle logiche dei mercati in tempo reale (spot) che muovono forniture e carichi soprattutto nel campo del Gnl. Ciò creerebbe possibili colli di bottiglia in caso di competizione serrata.
In terzo luogo, bisogna coordinare strategie sistemiche in Europa. Per evitare la competizione tra acquirenti e un’eccessiva fugacità dell’attuale strategia appare in particolar modo molto pragmatica l’idea di pensare a quote di acquisti centralizzati legati, soprattutto, alla copertura delle riserve, vero asset strategico per Paesi assetati di importazioni come l’Italia.
Insomma, la strategia è in via di evoluzione ma va governata politicamente. E affidarsi unicamente alla volontà di azzerare il gas russo nel mix energetico nazionale può essere la base per una strategia fuorviante: l’obiettivo, che per ora sta venendo in parte recepito, deve essere la sicurezza energetica nazionale, asset strategico vitale per l’Italia, la sua economia, i suoi cittadini. Vera garanzia per non essere un Paese in bolletta. E evitare ricatti da qualsiasi Paese capace di puntarci alla tempia la pistola della dipendenza energetica. Come la Russia oggi o altri attori in futuro.