Correva l’anno 2001 quando la Cina veniva ammessa nella World Trade Organization (Wto), l’Organizzazione mondiale del commercio creata al fine di supervisionare i numerosi accordi commerciali tra gli Stati membri. In quel periodo la comunità internazionale pensava che Pechino, una volta entrata a far parte dell’organizzazione, potesse accantonare una volta per tutte la pianificazione di Stato di matrice comunista per abbracciare definitivamente l’economia di mercato.
Così non è successo, visto che il Dragone è diventato un bizzarro Frankeinstein collocato a metà strada tra i due diversi estremi. Come se non bastasse la Cina non è più uno Stato del Terzo Mondo anche se, nonostante questo, continua a usufruire dei benefici che spettano ai cosiddetti Paesi in via di sviluppo.
Scendendo nello specifico, i tre vantaggi più importanti consistono nei sussidi all’esportazione, nei vantaggi procedurali per le controversie interne allo stesso Wto e in una maggiore impermeabilità del proprio mercato di fronte alle ingerenze esterne. In altre parole, il governo cinese non è più da un pezzo un sosia del Laos e della Cambogia, eppure continua a essere considerato come tale. Un paradosso che ha avvantaggiato la Cina a discapito di tutti gli altri membri dell’Organizzazione.
La posizione di Conte
A proposito del paradosso, Giuseppe Conte è intervenuto al centenario di Confagricoltura presso la Luiss Business School. Il premier italiano si è accorto proprio adesso, nel bel mezzo dell’emergenza sanitaria causata dal nuovo coronavirus, che il Wto deve cambiare registro: “L’Organizzazione mondiale del commercio andava riformato prima. È impensabile avere un Paese come la Cina, entrato con lo status di Paese emergente, sia ancora considerato tale”.
Conte ha utilizzato un termine ben preciso per delineare la situazione: “follia”. È una follia considerare la Cina quello che non è in ambito commerciale. Si tratta di un pensiero che aveva già espresso in precedenza niente meno che Donald Trump.
Lo scorso luglio il presidente Usa aveva alzato la voce per lo stesso motivo: riteneva che fosse quanto mai necessario cambiare le regole del Wto. Il nodo riguardava proprio la Cina, usurpatrice di un ruolo che non le spetterebbe. Proprio in virtù di questo status speciale, nel corso degli anni Pechino è cresciuta a dismisura, fino a raggiungere gli Stati Uniti in vetta alla classifica dei Paesi dalle economie più floride.
Le critiche di Trump
Trump ha più volte puntato il dito contro il Wto per l’”ingiusto trattamento” riservato dall’Organizzazione a un governo che ormai, statistiche alla mano, non dovrebbe più rientrare nella lista degli svantaggiati. L’inquilino della Casa Bianca, in occasione del World Economic Forum di Davos, era stato chiarissimo: “L’Organizzazione mondiale del commercio è stata molto ingiusta con gli Usa e lo è da tanti anni, senza di questa la Cina non sarebbe dove si trova adesso.Con la Wto ho avuto dispute perchè gli Usa non sono stati trattati molto bene, la Cina è considerata un Paese in via di sviluppo, noi no; loro hanno avuto vantaggi straordinari al contrario di noi, e non dovrebbero essere considerati tali”. In parte è anche a causa di tutto questo che Washington e Pechino hanno ingaggiato una estenuante guerra dei dazi, calmata in parte con la firma della Fase uno tra le due superpotenze.