Nel pieno della crisi pandemica e della tempesta economica autunnale si segnala, in Italia, la problematica uscita del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Il banchiere napoletano, prossimo 71enne, è intervenuto al webinar organizzato dall’Università Bocconi e da Deutsche Bank Gli Stati generali delle pensioni sul tema dello shock recessivo della pandemia e sui suoi effetti sul sistema previdenziale nazionale.

Visco ha sottolineato che in tutta Europa l’impatto della pandemia sui sistemi pensionistici “sarà, per lo meno nel breve periodo, significativo”, poiché l’aumento della disoccupazione si rifletterà “in più alti tassi di pensionamento e in minori entrate contributive” per il sistema Paese. Nulla da eccepire, su questo punto di vista: anche l’impatto previdenziale va tenuto in conto nel calcolare i danni della slavina coronavirus. D’altronde, però, Visco ha ricordato che negli anni a venire l’obiettivo sarà coniugare la crescita economica con “una rapida riduzione del debito, innalzato dagli effetti della pandemia e dalle indispensabili risposte di finanza pubblica”. Indicando nel riequilibrio dei conti pubblici un’azione da compiere tempestivamente a fine emergenza pandemica.

L’uscita di Visco è decisamente problematica. La crisi economica legata allo tsunami coronavirus è qualcosa di senza precedenti per i sistemi occidentali. Crisi simmetrica tra i vari Paesi, essa travolge in maniera diversa determinati comparti produttivi, dall’industria al commercio al dettaglio passando per i trasporti, rendendo necessario un forte intervento di politica pubblica per arginarne gli effetti più dirompenti e i danni in campi come la disoccupazione, l’aumento della povertà, i fallimenti aziendali. Il debito non è, in questo contesto, un problema in sé e per sé, in quanto in larga misura garantito e incentivato dalla sponda della Banca centrale europea alle emissioni di Btp.

Il nodo chiave, infatti, non è il livello del debito, ma capire come usare la nuova esposizione delle nostre finanze pubbliche per politiche strategiche di lungo periodo, capaci di rilanciare produttività e investimenti. Quanto sembra esserci di più distante dalla rapsodica e inefficace azione governativa. Spostare alla riduzione del debito o al contenimento del deficit la questione, come sembra fare Visco o anche il contenuto della Nota di aggiornamento al Def, si rischia di ritornare all’errore strutturale di ritenere vera la teoria dell’austerità espansiva, rovinoso tentativo di risposta alla crisi finanziaria del 2010-2012 secondo cui il riequilibrio dei conti pubblici aumenterebbe implicitamente la credibilità di un Paese e la razionalizzazione della spesa sarebbe foriera, non si sa in che modo preciso, di sviluppo e aumenti di produttività. Teoria che Visco sembra sostenere quando dice che in questa fase “l’azione di politica economica non può che porsi l’obiettivo di conseguire un progressivo riequilibrio”.

Tutto questo mentre il vero tema dovrebbe essere capire quanto deficit fare nel 2021 e come utilizzarlo al meglio, senza usare il Recovery Fund come trucco contabile, e dopo che anche la Banca centrale europea ha demolito uno dei cardini della teoria austeritaria, il concetto di “Pil potenziale” oltre il quale uno Stato dovrebbe tagliare la spesa, ridurre il debito, fare austerità. Il famoso “output gap” che sta dietro tanti errori passati della politica comunitaria. Visco sembra intendere che la risposta alla pandemia porterà l’Italia a cercare nuovamente di vivere sopra le possibilità imposte dai vincoli finanziari, ideologia dannosa in una fase tanto critica: dal caso Monti in Italia a quello della Grecia, gli esempi dell’ultimo decennio ci ricordano che molto spesso cercare di ottenere con testardaggine rilevanti avanzi di bilancio pubblico impone il sacrificio di servizi essenziali (come la sanità) con il solo risultato di peggiorare il denominatore del rapporto debito/Pil senza alcuna garanzia di effetti positivi sul numeratore. Quanto di più distante dalle nostre necessità presenti.





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