La rottura annunciata tra Google e Huawei, che porterà Mountain View a impedire l’accesso dei dispositivi dell’azienda cinese ai prossimi aggiornamenti del sistema operativo Android, segnala un punto di svolta nel braccio di ferro tecnologico tra Stati Uniti e Cina.
Il colosso per eccellenza della Silicon Valley rompe l’ipocrisia dell’Internet neutrale e mostra, se ce ne fosse stato il bisogno, di essere parte integrante del sistema di potere statunitense. Donald Trump o no, i colossi della tecnologia vivono e prosperano grazie alla loro relazione simbiotica con la Difesa, l’intelligence e il complesso apparato strategico che si irradia da Washington. Logico, dunque, il loro arruolamento nella sfida a tutto campo a Pechino, che ha in questo caso come obiettivo Huawei.
Tuttavia, la mossa rischia di rivelarsi un boomerang per Google sotto il profilo commerciale. Da un lato, certamente, Huawei subirà inconvenienti di natura economica legati all’impossibilità di continuare a gestire sui suoi dispositivi le fondamentali applicazioni e i servizi offerti da Google, e perdite importanti saranno sofferte anche dai fornitori diretti dell’impresa di Shenzen. Dall’altro, in ogni caso, anche Google necessiterà di un riassesto.
Tanto che, secondo alcuni analisti, il danno emergente potrebbe spingere Mountain View a ripensamenti. Ne è convintoStartMag, per cui “la grande realtà americana si “ciba” di informazioni personali e l’attuale strategia ha una significativa ripercussione sull’approvvigionamento di quel che rappresenta l’alimentazione essenziale. Chiudere le porte ai clienti Huawei significa rinunciare a tutti i dati che questi avrebbero pagato come pedaggio per avvalersi dei servizi normalmente messi a disposizione del pubblico”. “La circostanza è tutt’altro che secondaria e probabilmente”, continua, “questo sarà il fattore che indurrà ad un ripensamento o quanto meno ad una rivisitazione delle condizioni di blocco”.
Se, tuttavia, la contesa dovesse andare alle estreme conseguenze, la tendenza alla frammentazione della rete internet globale si acuirebbe ancora di più. Portando ulteriormente in auge le pratiche di “sovranismo digitale” che stanno divenendo sempre più la regola in diversi Paesi di primaria grandezza. Corroborando la previsione di un ex esponente di spicco della stessa Google, Eric Schmidt (amministratore delegato dal 2001 al 2011), che nel 2018 ha affermato che entro il 2030 vi sarà una biforcazione nell’Internet globale, destinato a dividersi tra una parte gravitante attorno a Washington e un’altra centrata su Pechino. La volontà di controllare i dati in entrata e uscita nei sistemi informatici nazionali, del resto, è dichiaratamente espressa da tempo dal Partito Comunista Cinese, il cui governo è stato l’unico, sino ad ora, ad essere riuscito ad imporre condizioni favorevoli in quanto a censura e adattamento al grande firewall che filtra i contenuti “sensibili” alle compagnie straniere operanti nel Paese.
Se Google è pronta a rinunciare alla miniera di dati forniti da Huawei, tendenze del genere si acuirebbero sempre di più. Aprendo a una situazione di completa imprevedibilità. In cui Cina e Stati Uniti giocherebbero una partita a sè nella definizione delle nuove regole di Internet e, soprattutto, nell’adattamento dei vari dispositivi all’accesso alla rete, ma anche altre nazioni potrebbero, in determinate questioni far sentire la loro voce. A inizio maggio il Presidente russo Vladimir Putin ha firmato la legge che avvia la definizione di RuNet, ovvero una rete internet controllata su basi nazionali, e la la costruzione di una versione russa del sistema degli indirizzi dei domini (Domain Name System, Dns) in modo che possa operare senza interruzioni, in caso vengano tagliati i link ai server collocati in diversi parti del mondo. Mosca non mira a un ruolo globale ma a tutelare i suoi interessi entro i confini nazionali. Mentre avvisaglie di distacco dal big tech statunitense sono state fornite anche dalla scelta della Francia di passare da Google al motore di ricerca “autarchico” Qwant per ridurre la dispersione dati verso l’altra sponda dell’Atlantico. In questo contesto, la rottura di Google con Huawei potrebbe accelerare una tendenza alla frammentazione che appare già in atto.