Mentre in Occidente avanza la crisi energetica, l’ombra della possibilità di lockdown produttivi in Italia prende forma. La crisi del gas e dei prezzi dell’energia elettrica continua a mordere e soprattutto dalla Germania arrivano segnali sul fatto che possibili chiusure industriali si renderanno necessarie qualora le alte bollette continuassero a colpire. Il rischio, che su queste colonne paventavamo già a inizio anno come ipotesi possibile entro la fine del 2022, è sempre più concreto. “O il prezzo dell’elettricità scende o si arriva a un’economia di guerra”, ha dichiarato a fine dicembre Roberto Ariotti, titolare di una fonderia a Adro (Brescia). Nove mesi dopo, l’economia di guerra è realtà in mezza Europa, la guerra non metaforica è esplosa in Ucraina e con essa la tempesta energetica. E le imprese soffrono.

A causa del caro bollette, da qui ai primi sei mesi del 2023 Confcommercio-Imprese per l’Italia ha stimato che nel nostro Paese saranno a rischio circa 120 mila imprese e 370 mila posti di lavoro. La continua crescita dei costi dell’energia e un’inflazione che ha sfondato l’8%, dovuta per quattro quinti ai rincari delle bollette colpiscono congiuntamente. La simbolica, ma tutt’altro che secondaria, chiusura delle vetrerie di Murano avvenuta la scorsa settimana è un esempio di ciò che potrà succedere in futuro. Dall’Umbria, a Deruta, emerge la notizia secondo cui sta succedendo lo stesso per il distretto locale della ceramica. Crisi che rischia di diventare sistemica dato che Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica, contattato dall’Adnkronos, ha dichiarato che “come Paese rischiamo di buttare una grossa fetta del Made in Italy“.

A essere colpiti sono i settori ad alta intensità energetica a monte delle attività produttive, che dunque mantengono in essere capacità produttive in cui la domanda di elettricità e prodotti come il gas è consistente già prima dell’avvio dei cicli industriali. Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo, ha inserito anche il suo settore tra quellii a rischio facendo notare che se l’Europa e, o il governo italiano, pur dimissionario, non agiscono subito per bloccare gli aumenti si rischia lo stop ad intere filiere produttive strategiche fra cui quella del legno-arredo, che teme di dover  mettere migliaia di lavoratori in cassa integrazione e di perdere di conseguenza fette di competitività sui mercati.

Già ferme in un modo o nell’altro cartiere e acciaierie che stanno allungando la pausa estiva. Sul fronte delle cartiere in provincia di Pescara, ad Alanno, la Ico ha previsto la chiusura dell’impianto, mentre il gruppo veneto Pro Gest ha rinviato la riapertura della fabbrica di Tolentino, vicino Macerata. Il gruppo bresciano Alfa Acciai ha invece prolungato di tre settimane la chiusura per ferie di quattordici giorni decisa all’impianto di Catania.

Oltre alle industrie, ci sono settori che rischiano danni durissimi ai bilanci del 2022 per il combinato disposto tra inflazione e crisi energetica. Pensiamo al settore della logistica e della distribuzione diretta alla diffusione di prodotti per i supermercati che, stima Confocommercio, ha consumi annui per oltre 12,2 TWh, legati principalmente alla critica ed energivora gestione della catena del freddo. Come scritto su IlGiornale.it, in questa fase le aziende della distribuzione stanno subendo un rincaro delle bollette medio del +200%-+300% avente al contempo punte anche più alte. Dall’1% pre-Covid l’impatto relativo è passato al 6% dei costi nei bilanci. “Alcuni consumi di energia sono incomprimibili”, ha fatto notare Confcommercio:si pensi ai banchi refrigerati, il cui assortimento, fatto di prodotti deperibili, è vitale per molte filiere produttive di eccellenza del Made in Italy ed è un servizio fondamentale per i consumatori, che possono accedere a un assortimento di prodotti di qualità”, e in cui i rincari possono scaricarsi a terra, come un fulmine, fino alla base della filiera. “I prodotti deperibili”, è l’allarme dell’associazione delle imprese, “rappresentano oltre il 45% delle vendite medie di un supermercato, e in gran parte rappresentano eccellenze produttive nazionali, prevalentemente del territorio”.

Stesso discorso per il turismo: Marina Lalli, presidente di Federturismo Confindustria, ha stimato di recente il rischio di 3mila chiusure nel suo settore. Il caro energia rischia di produrre la più grande slavina economica degli ultimi anni, facendo sembrare per intensità e rischi la recessione pandemica uno choc secondario. All’Italia, e all’Europa in generale, si pone davanti un lungo periodo autunnale ed invernale a cui i legislatori devono reagire in tempo, anche se potrebbe essere troppo tardi per alleviare le conseguenze della slavina. Dal tetto ai prezzi del gas alla gestione congiunta a livello  europeo dei piani di acquisto energetici tutte le mosse necessarie ad alleviare il peso delle controsanzioni russe sono state colpevolmente rimandate e ora c’è il rischio che l’Europa resti a leccarsi le ferite. Trovandosi a combattere con la trappola del de-sviluppo che rischia di avere l’Italia e le sue imprese come prima vittima.