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L’ampio e strutturato rimbalzo delle economie più avanzate dopo la batosta del 2020 legata alla pandemia, ai lockdown e al blocco dei commerci non è ancora definitivamente maturo per consolidarsi come ripresa di lungo periodo. Nessun nuovo boom economico appare, ad ora, all’orizzonte mentre ancora nel mondo il contagio corre, tra economia reale e finanza si mantengono diverse frizioni, tre ostacoli potenziali minano le prospettive di rilancio e la fiducia di mettersi la crisi alle spalle.

Omicron, energia, inflazione: possiamo sintetizzare così queste tre minacce. Legate rispettivamente all’emersione di nuove varianti del Covid-19 (di cui Omicron è il caso più recente) in grado di diventare i “cigni neri” capaci di rendere difficoltoso il cammino verso il superamento del contagio; alla sistematica crisi delle materie prime che si sostanzia in un’elevata volatilità dei prezzi di gas e petrolio, tuttora volano della produzione energetica globale; alla bomba dell’inflazione, tornata a correre in direzione ostinata e contraria alle aspettative di cittadini, imprese, consumatori dopo che per anni, nonostante i quantitative easing e i piani di stimolo monetari, essa era rimasta a livelli ridottissimi. Ognuno di questi problemi non è una monade isolata. La loro combinazione può riportare, nell’anno a venire, i venti recessivi sull’Europa, gli Usa e le altre grandi economie avanzate. Analizziamoli nel dettaglio.

Il dilemma delle varianti

Omicron, su un orizzonte temporale di breve periodo, ha già fatto riassorbire i durissimi danni che aveva provocato l’annuncio della sua esistenza alle bombe e ai mercati. Ma questo non rende meno probabile il ripetersi di casi di panico borsistico e finanziario in caso di annuncio di nuove varianti ignote del virus.

Da un lato perchè, come ha ben commentato su Il Giornale l’analista Emilio Tomasini, “fa parte del meccanismo normale della Borsa che la maggior parte dei media e dei market player si concentri su notizie che sono ormai superate dagli eventi e la cosa negativa è che spesso questi timori non suffragati da ipotesi concrete vengano avallate da organismi istituzionali”.

Dall’altro, perché ormai nella mente di tutti gli operatori, ma anche dei comuni cittadini in qualità di lavoratori, consumatori, investitori ogni nuova notizia relativa al Covid richiama, inevitabilmente, l’era dei lockdown, delle restrizioni, soprattutto della sfiducia. Non a caso, a guidare la ripresa in diversi contesti (i dati di Paesi come il Regno Unito, gli Stati Uniti e l’Italia) è stato proprio l’elemento della fiducia legata alla campagna vaccinale e alla ripresa di consumi e investimenti.

Mettere a rischio questo capitale, ogni volta, sottopone la ripresa a un vero e proprio “referendum” sulla sua continuazione. Torna alla mente la metafora che l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti utilizzò nel 2011 per descrivere l’evolvere della crisi finanziaria globale attraverso le sue fasi successive: “È come vivere in un videogame, compare un mostro, lo combatti, lo vinci, ti rilassi e subito spunta un altro mostro più forte del primo”.

Questo dato di fatto è acuito dal fatto che la natura simmetrica, globale della crisi pandemica rischia di impattare, nelle sue nuove versioni, su un contesto in cui l’economia dà l’impressione di aver ripreso slancio. E se l’annuncio di nuove varianti rischia di trascinare a terra le borse, è nell’economia reale che si ha il maggior rischio di pantano. Come i dati sull’energia e l’inflazione lasciano presupporre.

La “bomba” dell’energia

Il rischio di un blackout europeo, l’ottovolante dei prezzi di gas e petrolio, la corsa delle bollette per i cittadini possono deprimere su scala internazionale la ripresa e acuire tensioni geopolitiche in regioni precise come l’Est dell’Europa.

In un recente rapporto, un attore specializzato nell’analisi  e nelle previsioni macroeconomiche, la bolognese Prometeia, ha segnalato dati allarmanti. Secondo il report del gruppo di Piazza Trento e Trieste l’indice aggregato dei prezzi delle materie prime da ottobre 2020 al 2021 è quasi raddoppiato, dilatandosi dell’87,3%. Il prezzo del petrolio nel solo mese di ottobre su settembre ha segnato nell’area euro un incremento del 14% mentre quello del gas naturale liquefatto ha visto un’impennata del 37% sul mese precedente

Invece la società di consulenza PwC nel settembre scorso ha parlato dei problemi delle catene logistiche energetiche sottolineando come per le imprese sarà in futuro sempre più strategica la questione del procurement, l’approvvigionamento di risorse.  Inoltre, il mercato mondiale si è dimostrato ben poco flessibile e dipendente da flussi che passano su rotte ben precise. La ripresa di forza da parte di cartelli come l’Opec+ in campo petrolifero, l’egemonia di pochi attori (Russia, Algeria, Qatar ad esempioi) nel mercato gasiero e il caso del blocco del canale di Suez nei mesi scorsi hanno ben esplicitato la natura delle sfide a cui si trova di fronte il mondo dell’energia.

Nel mondo del gas, in particolare, la ridotta taglia delle scorte lascia presagire un inverno sul filo. In questo mercato, mediamente, èer ogni grado sotto i 14 gradi, il consumo di gas aumenta di circa il 3%. Questo spiega perché il consumo aumenta fortemente durante i mesi invernali e un inverno rigido causerà un aumento del consumo, dunque dei prezzi.

L’Italia rischia di essere una delle grandi perdenti di questo processo, e il prezzo al dettaglio dell’elettricità lo testimonia. Secondo la Commissione Europea, i prezzi all’ingrosso dell’elettricità sono aumentati del 200% su base annuale rispetto alla media del 2019, ma Roma svetta in questa classifica. Il Pun, il prezzo unico nazionale dell’elettricità, il 25 novembre ha sfiorato i 300 euro al MWh (292 per la precisione), ovvero oltre sei volte di più di un anno fa. I dati di Energy Live segnalano un trend esponenziale: Roma, già in testa alla classifica del costo in termini di euro per megawatt/ora nel mese di settembre, ha accelerato la sua spirale a ottobre, passando in meda da 158,59 €/MWh a 217,63 €/MWh (+37,22%), un aumento che batte quelli di Spagna (a ottobre 199,90 €/MWh, +28%), Francia (172,58 €/MWh, +27%) e Germania (139,59 €/MWh, +8,74%), e in vista della stagione fredda le previsioni sono di un’ulteriore stangata.

Si può, in quest’ottica, segnalare quanto sia kafkiana per l’Italia la situazione che vede il Belpaese importatore netto di energia ma, al tempo stesso, produttore che ha letteralmente decapitato il suo accesso all’oil&gas nazionale. Nell’era in cui si rischia la bomba di un inverno dello scontento per cittadini e consumatori, si mostrano in tutta la loro problematicità gli effetti di decisioni compiute senza alcuna razionalità strategica. Tutto questo mentre in tutto il mondo a non fare sconti è la corsa dei prezzi.

La corsa dell’inflazione

I dati Istat hanno segnalato nell’ultimo rapporto dell’istituto che a novembre l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) è accelerato nuovamente nel nostro Paese registrando un +3,8% su base annua, “portandosi a un livello che non si registrava da settembre 2008”. Ma quello che riguarda il nostro Paese è solo un frammento di una dinamica globale. L’Eurozona mostra trend ancora più consistenti: si è passati dal +4,1% di ottobre al +4,9% di novembre, un balzo record, mai registrato dall’inizio delle serie statische di Eurostat, oltre 20 anni fa. Negli Usa di Joe Biden, tali numeri sono già sorpassati da tempo: oltre Atlantico il tasso annuo di inflazione negli Stati Uniti ha raggiunto il 6,2% nell’ottobre 2021, il dato più alto da oltre tre decenni.

L’energia traina sicuramente la corsa dei prezzi, ma ci sono problemi ancora più complessi a minare la ripresa. Incidono su queste dinamiche le crisi di approvvigionamento delle materie prime strategiche centrali per l’industria. A segnare l’anno è stata la grande crisi dei semiconduttori, il chipageddon che sta rallentando la produzione di dispositivi elettronici, console, auto e molti altri prodotti; dalla gomma per i pneumatici delle auto alla carta che frena l’editoria e il mondo della cultura, passando per plastiche, resine e metalli di ogni sorta, sono innumerevoli le piccole e medie crisi di approvvigionamento che sbilanciano i prezzi di singoli mercati e a cascata impattano sulle industrie.

Costa di più l’alimentazione degli impianti per l’aumento dell’elettricità, costa di più il trasporto per via dell’altalena energetica, si è distorto il mercato globale fondato su traffico marittimo e container, e il blackout del meccanismo domanda-offerta fa schizzare i prezzi per il predominio della prima sulla seconda in quasi tutti i settori. Dall’estate scorsa la circolazione delle merci nel mondo non riesce a stare dietro alla domanda di consumi. “La discrepanza tra domanda di consumo e offerta di trasporto ha portato a un aumento delle tariffe di trasporto dei container su praticamente tutte le rotte commerciali”, ha scritto Il Post. “A giugno del 2020 il tasso spot (cioè il costo una tantum di uno slot di carico a bordo di una portacontainer) dello Shanghai Containerized Freight Index sulla rotta Shanghai-Europa era inferiore a mille dollari per TEU (twenty-foot equivalent unit, l’unità standard che indica la capacità dei container da 6,1×2,4×2,4 metri). Alla fine dell’anno è salito a circa 4 mila dollari e alla fine di luglio 2021 a 7.395 dollari per TEU. In un anno e mezzo il rincaro è stato del 600 per cento”.

L’economista Alberto Quadrio Curzio ritiene che tale processo non sarà né di rapida risoluzione né di breve durata. “L’inflazione non sarà passeggera”, scrive Quadrio Curzio sull’Huffington Post,perché quando la stessa si incardina nei prezzi delle materie prime, unite a politiche fiscali e monetarie, eccezionalmente (ma necessariamente!) espansive, le correzioni richiedono sempre tempo”.

Tutto questo si ripercuote sui consumatori finali, erodendo indirettamente redditi e risparmi. Ma non solo: una risposta da parte delle banche centrali in quest’ottica dovrebbe essere una stretta creditizia e l’aumento dei tassi, in modo da rendere più difficile (perché più oneroso) il prestito del denaro, indurre una minore quantità di denaro in circolazione e quindi rendere il denaro “scarso”. Ma questo non è possibile nel quadro di un’estrema divaricazione tra un’economia reale che mostra segni di anemia e una finanza che continua la sua corsa e vuole la continuazione degli stimoli monetari ai mercati.

L’inflazione, se perdurante, può essere il vero game-changer nell’economia, può dare vita a una crisi in grado di controbilancaire gli effetti della ripresa. Prima di parlare di boom economico, è bene mettersi la pandemia alle spalle e evitare i danni delle scosse di assestamento di un sistema che ancora trema per il terremoto pandemico. Nel quadro di una ristrutturazione globale dell’economia che nei prossimi anni prevederà anche la duplice transizione, energetica e digitale, è ora più che mai da tenere in mente la necessità di non abbassare la guardia.

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