La Germania è nota per essere la nazione paladina del pareggio di bilancio, la principale fautrice del rigore sui conti pubblici e, in quanto economia maggiore d’Europa, i suoi titoli di Stato storicamente rappresentano il benchmark su cui valutare quelli del resto del continente (sul Bund tedesco è, infatti, calcolato lo spread).

Il debito pubblico tedesco è costantemente in calo, e nel 2019 potrebbe rientrare entro la soglia del 60% fissata dai parametri di Maastricht. Ma le politiche di avanzo primario del governo di Angela Merkel, unite ai programmi di acquisto della Bce che hanno ritirato dal mercato titoli tedeschi per 518 miliardi di euro, hanno portato il Bund a ridurre notevolmente rendimenti attesi e liquidità del titolo. Nel caso in cui la Germania continuasse per altri anni le sue politiche di avanzo e l’austerità interna, funzionale alle politiche mercantiliste che ne alimentano le esportazioni, negli Anni Trenta il debito pubblico di Berlino potrebbe scendere sotto il 30% del Pil e il Bund sparire, di fatto, dai mercati finanziari.

L’ipotesi di una finanza senza Bund è stata provocatoriamente lanciata da Christopher Jeffery, Fixed Income Strategist di Legal & General Investment Management, che all’analisi della riduzione del debito tedesco ha aggiunto quella della sua graduale perdita di appetibilità. Più volte, infatti, i titoli dall’annuale al decennale sono scesi in territorio negativo in quanto a rendimento, col Bund decennale che ha toccato a giugno il record negativo di -0,33% di tasso.

Come scrive Il Sole 24 Ore, “la strada che porta verso l’estinzione del Bund prevede naturalmente il verificarsi di una serie di condizioni, che però appaiono abbastanza plausibili. Anzitutto, secondo lo scenario tracciato da Legal & General, la crescita nominale tedesca deve procedere a una media del 2% annuo nei prossimi due decenni, un risultato che è ben più basso della media degli ultimi 10 anni. L’avanzo fiscale primario tedesco (cioè l’eccedenza al netto di qualsiasi pagamento di interessi sul debito) deve inoltre registrare una media annuale pari all’1,5% del Pil nei prossimi due decenni, cifra anche questa che sarebbe in linea con la media del decennio passato”. Nel lungo periodo, una situazione di mantenimento di bassi tassi ridurrebbe ulteriormente l’appetibilità finanziaria del Bund, estromettendolo di fatto dai mercati finanziari e cambiando radicalmente gli scenari finanziari europei.

Tale scenario implica, tuttavia, una continuazione pressoché lineare delle dinamiche finanziarie ed economiche del Vecchio Continente difficile da immaginare sul lungo periodo. Per una serie di motivi che riguardano, in particolare, la Germania. In primo luogo, il proseguimento di una politica di avanzi primari implicherebbe un proseguimento di politiche di austerità e di svalutazione interna che la Germania non può permettersi di sostenere: la Merkel ha dovuto provvedere a un aumento delle pensioni minime e constatare il graduale sgretolamento delle riforme del lavoro Hartz, che ha condotto alla precarizzazione del lavoro e all’aumento delle disuguaglianze economiche e della povertà. In secondo luogo, come “corollario” della prima condizione, a tale politica dovrebbe essere associata una stabilizzazione dell’attuale situazione europea che vede la moneta unica funzionale al surplus commerciale tedesco e un livellamento delle economie del Vecchio Continente attorno al mercantilismo di Berlino, eventualità che però è contestata da diversi economisti e analisti tedeschi, che definiscono “tossico” il surplus commerciale e auspicano un ritorno a una politica coraggiosa di investimenti.

Infine, e questo è forse il punto di domanda più importante, bisogna ritenere plausibile la continuità della Germania come Paese simbolo della stabilità finanziaria europea. Ma su Berlino aleggia la nube nera di Deutsche Bank, malato della finanza europea e fonte di grattacapi notevoli per l’establishment tedesco. In fin dei conti, alla Germania e all’Europa intera conviene che Berlino torni a spendere a deficit, ovvero a produrre debito rilanciando il mercato del Bund. Solo la Germania potrà garantire, capendo una volta per tutte i guai da essa causati, la fine definitiva della stagione dell’austerità. Pena il rischio di un collasso economico generalizzato.

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