A partire dalla sua ascesa alla Casa Bianca il Presidente statunitense Donald Trump ha posto tra le priorità strategiche degli Stati Uniti la conquista della cosiddetta energy dominance, ovvero l’ottenimento di una posizione di assoluta sicurezza e supremazia da parte di Washington nei mercati globali delle materie prime energetiche, petrolio e gas naturale soprattutto. Negli ultimi anni gli Stati Uniti sono stati saldamente ai primi posti nella classifica dei Paesi produttori ed esportatori di queste due commodities, e ora si preparano ad ampliare il loro profilo di esportatori, puntando soprattutto sul gas naturale.
Trump, in questo senso, prosegue una strategia a cui aveva già strizzato l’occhio Barack Obama e l’amministrazione precedente, supportata dal voto congressuale del 2016 che aprì le porte alle esportazioni Usa di gas naturale liquefatto verso il Vecchio Continente, in diretta concorrenza con i gasdotti nordafricani e russi. La Commissione europea in una nota ha sottolineato come dalla partenza del primo cargo nell’aprile 2016 la crescita dell’export statunitense sia stata esponenziale, ammontando a un +272% nel marzo 2019, caratterizzato dalla fornitura record di 1,4 miliardi di metri cubici. La conferenza CeraWeek di Houston ha visto i principali consulenti di Trump in materia di energia, primo fra tutti il Segretario ad essa deputato Rick Perry, parlare con ambizione delle prospettive aperte dal mercato americano. Il gas americano viene lavorato, raffreddato per ridurre i volumi del prodotto e liquefatto per permettere lo stoccaggio e il trasporto con le navi, con costi maggiori del 20% rispetto all’export via gasdotto, ma questo è compensato dalla natura politica dell’azione statunitense, che con il gas naturale mira a creare un nuovo vincolo tra le due sponde dell’Atlantico.
Di recente Trump ha ospitato negli Usa il vicepresidente della Commissione europea e commissario per l’unione energetica, lo slovacco Maros Sefcovic, invitato a visitare l’importante terminale di rigassificazione di Cameron, in Louisiana. Esso, sottolinea Italia Oggi, “è costato 10 miliardi di dollari (8,9 miliardi di euro). La società Sempra Energy di San Diego ha concluso il mese scorso la costruzione di una prima unità di produzione di gas liquefatto. Altre due ne sono previste. Una volta operative, queste tre unità potranno produrre 12 milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto all’anno, un dato che corrisponde grossomodo alla quantità necessaria per riscaldare 8,5 milioni di abitazioni durante una giornata. L’amministrazione Trump ha appena dato il via libera a Sempra Energy per esportare gas da un altro terminale che sarà costruito a Port Arthur, in Texas, e che dovrà approvvigionare i paesi che non hanno firmato accordi di libero scambio con gli Stati Uniti, tra cui proprio l’Unione europea”.
Tra i Paesi più entusiasti degli accordi sul gas stipulati con gli Usa vi sono quelli che nutrono particolare astio verso la Russia di Vladimir Putin, principale bersaglio della strategia di espansione del gas statunitense: Polonia e Romania sono in tal senso in prima fila. L’attacco a tutto campo di Trump coinvolge anche la principale minaccia alla strategia di esportazione energetica americana, il gasdotto Nord Stream 2 che collega Russia e Germania. Contro di esso è arrivato un vero e proprio attacco bipartisan, come riporta Agenzia Nova: “I senatori degli Stati Uniti Ted Cruz, John Barrasso e Tom Cotton, esponenti del Partito repubblicano, e Jeanne Shaheen, del Partito democratico, hanno presentato una proposta di legge volta a introdurre sanzioni finanziarie e divieti di viaggio per gli individui e le imprese che partecipano alla realizzazione del Nord Stream 2”, segnalando di fatto la natura geopolitica della sfida energetica sull’asse euro-atlantico. Che gli Stati Uniti puntano a vincere puntando sulla forza delle loro esportazioni.