In poche settimane la risposta delle autorità degli Stati Uniti alle conseguenze economiche dell’emergenza coronavirus ha oscillato dalla sostanziale sottovalutazione alla messa in campo di strumenti anticonvenzionali da parte della Federal Reserve e dall’amministrazione Trump. Una vera e propria valanga di miliardidi dollari si appresta a essere rovesciata sui mercati, sull’economia e sui conti correnti statunitensi in una logica incrementale senza precedenti anche nella fase della Grande Recessione del 2008.
Allora lo stimolo del piano Paulson ebbe un valore di 700 miliardi di dollari, mentre la Fed di Ben Bernake aspettò il 2009 per varare il primo quantitative easing. Ora la risposta è di un tenore ancora maggiore: il piano di stimolo economico dell’amministrazione Trump ha rapidamente quadruplicato il suo volume di fronte all’avanzare della crisi, passando da 500 a 2.000 miliardi di dollari, mentre la Fed ha fatto un passo oltre, prima sostenendo le borse con la liquidità, poi azzerando i tassi e, infine, entrando in fase whatever it takes, implementando politiche di acquisto illimitato di Treasury Bond e progettando un sostegno diretto alle imprese.
Per gli Stati Uniti ora la sfida più grande sarà far si che queste misure facciano sistema contro la crisi, aiutino a evitare di cadere negli errori di considerare eccessivamente prioritarie borse e mercati finanziari a scapito dell’economia reale e, soprattutto, siano in tempi rapidi implementate, vincendo la dura polarizzazione della politica a stelle e strisce.
La Fed a tutto campo
La Federal Reserve di Jerome Powell ha ulteriormente alzato il calibro delle sue politiche nella giornata del 23 marzo, al termine di una riunione straordinaria del suo board. Da un lato, l’istituto centrale americano ha reso di fatto illimitato il piano di acquisto di titoli statunitensi e di monetizzazione del deficit di Washington per fornire una sponda alla politica fiscale della presidenza Trump.
Dall’altro – ed è forse questa la novità più importante – la Fed ha completamente stravolto le sue capacità di intervento a sostegno dell’economia e delle imprese. La Fed potrà acquistare obbligazioni corporate sul mercato e, al contempo, metterà in campo una nuova struttura finanziaria per garantire liquidità su una base temporale lunga fino a quattro anni per compagnie potenzialmente in crisi in cambio dell’emissione di nuovo debito acquistato direttamente dal suo sistema.
Oltre a ciò, la Fed ha rimesso in campo il Talf (Term Asset-Backed Securities Loan Facility), un programma del 2008 che le consente di acquistare asset aventi come sottostante debiti commerciali o titoli legati ai prestiti auto e studenteschi. L’obiettivo è fornire 300 miliardi di dollari di risorse al business e ai consumatori statunitensi, unitamente a un programma di sostegno alle imprese di “Main Street” che rischiano di pagare i costi più severi della crisi.
Il piano da 2 trilioni passa Senato
Contemporaneamente alle mosse della Fed, i democratici Usa hanno bocciato per la seconda volta in Senato la promulgazione del piano da 2 trilioni di dollari messo in campo da Trump e dal Segretario al Tesoro Steven Mnuchin. L’amministrazione prevede, in particolare, misure di helicopter money per distribuire direttamente ai cittadini il denaro ritenuto necessario a fronteggiare la fase più dura della crisi. La proposta include fasce di distribuzione comprese tra i 1.200 dollari per i singoli adulti e i 3.000 dollari per i nuclei famigliari di almeno quattro persone.
Oltre a ciò, il piano presentato in Senato prevede un aumento di 242 miliardi di dollari dei fondi per la sicurezza e la sanità pubblica, dal rafforzamento degli ospedali al potenziamento dei programmi di food stamps. Misure su cui i democratici, certamente, non hanno da ridire, salvo criticare la parte più controversa del piano di Trump, riguardante l’aiuto alle imprese. L’amministrazione ha messo sul campo oltre 350 miliardi di dollari per difendere le piccole e medie imprese dalla possibilità che non possano più permettersi di pagare i loro dipendenti. Le compagnie con 500 dipendenti o meno potrebbero far richieste di prestiti fino a 10 milioni di dollari, mentre al contempo ancora più strutturato è il piano di sostegno al grande business.
I repubblicani hanno recentemente ampliato da 208 a 500 miliardi di dollari la proposta di sostegno alle grandi imprese in crisi, specie le compagnie aeree travolte dal blocco dei viaggi interni e transoceanici, mandando su tutte le furie i democratici, che chiedono invece politiche più attive e hanno presentato alla Camera dei Rappresentanti da loro controllata un pacchetto da 2,5 trilioni di dollari, incentrato su un ulteriore rafforzamento della proposta di helicopter money. Mitch McConnell, capo della maggioranza repubblicana al Senato, ha risposto a Nancy Pelosi, suo contraltare democratico alla Camera, ritenendo degna di una “lista dei desideri” certe proposte come l’imposizione di standard sulle emissioni alle compagnie aeree come garanzia ai prestiti e l’avvio di un piano di sostegno pubblico alle energie rinnovabili.
Nella giornata del 24 marzo, finalmente, democratici e repubblicani hanno sbloccato l’impasse sullo stimulus package da 2 trilioni di dollari: chiave dell’accordo, l’istituzione di una commissione di vigilanza sul piano di aiuti alle grandi imprese in difficoltà. Il via libera definitivo al pacchetto, dunque, renderà operativo la sua sovrapposizione con le mosse della Fed.
Un connubio possibile?
L’obiettivo della politica statunitense sarà creare il giusto connubio tra i due pacchetti di misure e rendere sistemica l’interazione tra la politica monetaria e quella fiscale. Soprattutto, evitando che le politiche messe in campo si risolvano in una serie di strumenti scoordinati e non risolvano la necessità di imporre all’economia uno choc positivo, creando occupazione e rilanciando la produzione interna.
Vi è chi, come l’analista Mauro Bottarelli,ha espresso scetticismo, in particolar modo, per l’attivismo della Fed, ritenuto una dilatazione del quantitative easing globale che ha contribuito a dilatare eccessivamente i mercati: “trattasi o meno di un clamoroso salvataggio pubblico di Wall Street? Trattasi o meno del denaro degli statunitensi che, per la seconda volta in un decennio, viene stampato con il ciclostile per tamponare i danni miliardari di chi abusa dell’azzardo morale per fare soldi sui soldi?”, fa notare Bottarelli su Il Sussidiario. La certezza che così non sarà, per ora, non c’è.
Al contempo, Trump e i democratici sembrano essere convinti nel considerare la distribuzione di denaro a pioggia come la misura migliore per fronteggiare gli impatti violenti della crisi, che sia i democratici che i repubblicani si dicono tuttavia certi di poter riassorbire entro l’anno in corso. Manca invece un sufficiente sostegno a quella che potrebbe essere la misura-chiave per la svolta: il piano infrastrutturale da 1.000 miliardi di dollari, tra spesa pubblica e leva privata, più volte oggetto delle discussioni tra amministrazione e opposizione democratica.
Quel che è certo è che gli Stati Uniti hanno definitivamente passato il Rubicone, alzando l’asticella della risposta al Covid-19. E la sfida sarà in primo luogo quella che la politica americana, a lungo così litigiosa e faziosa, dovrà affrontare per rendere operativa tale risposta in tempi brevi. Gli States potrebbero essere il “termometro” della risposta globale alla crisi in via di preparazione. E proprio per questo devono preparare il loro intervento con grande organicità.