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Nella giornata del 3 marzo è stato annunciato che Francesco Gaetano Caltagirone è entrato nel capitale di Mediobanca attraverso l’Istituto Finanziario 2012, con una partecipazione di poco superiore all’1% del capitale, in seguito a un blitz comunicato alla Consob nella giornata del 23 febbraio. La manovra riguarda solo una piccola percentuale del capitale dell’istituto di Piazzetta Cuccia, ma ha elevata valenza strategica. Come del resto lo ha qualsiasi spostamento nei rapporti di forza nell’istituto che è centrale per la ramificazione dei rapporti strategici in diversi settori del capitalismo italiano.

Mediobanca, pur essendo notevolmente mutata nella struttura e nella sua visione operativa dai tempi della Prima Repubblica in cui era il “salotto buono” della finanza italiana, non ha mai perso centralità nell’economia nazionale. In primo luogo per la sua natura di primo azionista istituzionale di uno dei gruppi chiave per l’economia nazionale, le Assicurazioni Generali, un colosso da oltre 90 miliardi di euro di fatturato in cui Piazzetta Cuccia pesa per il 13%, rimasto a lungo in subbuglio nell’anno della pandemia per la perdita di capitalizzazione riassorbita completamente col ritorno alle quotazioni vicino a 16 euro ad azione solo nelle ultime sedute.

In secondo luogo, Mediobanca mantiene un notevole peso relazionale e strategico. Per la professionalità dei suoi operatori e per la sua specifica nicchia operativa la banca d’affari basata a Milano è spessa ingaggiata in qualità di advisor per processi di ristrutturazione aziendale e, soprattutto, di fusione e acquisizione (M&A) tra realtà consolidate. Alberto Nagel, ad del gruppo, ha più volte spiegato che in questo contesto sta tornando ad essere la vecchia Piazzetta Cuccia, con un ruolo importante come advisor avuto in processi come l’Ops di Intesa San Paolo su Ubi, la fusione Fca-Psa in Stellantis e, assieme a Credit Suisse, la ricerca di un compratore per Monte dei Paschi di Siena. Processi a cui si associa dunque il possesso di un capitale informativo sulle manovre di Piazza Affari che nei tempi incerti e complessi di oggi è fondamentale presidiare.

Dunque la mossa di Caltagirone va vigilata attentamente. Perché spesso è da manovre apparentemente di piccolo cabotaggio che si sviluppano i grandi schemi finanziari che portano al cambiamento di equilibri e rapporti di forza. In questo contesto, non si può scindere l’azione dell’editore del Messaggero e del Mattino da quella del suo alleato finanziario in Mediobanca e vero protagonista della battaglia che anima Piazza Affari nei mesi dell’incorporazione al listino EuronextLeonardo Del Vecchio. Il fondatore di Luxottica attraverso Delfin, la sua holding lussemburghese, ha comunicato l’acquisto di quasi 11 milioni di titoli Mediobanca, pari all’1,25% del capitale di Piazzetta Cuccia, nel mese di febbraio, portando oltre il 13% la sua quota, sempre più vicino a quel 20% per il cui raggiungimento ha già ottenuto il via libera dalla Bce. Una crescita graduale e inesorabile, dal 9% di due anni fa, che dopo l’uscita di Unicredit da Mediobanca ha reso Del Vecchio il nuovo protagonista della finanza milanese.

La manovra non è un esempio di spericolata finanza corsara o un’operazione in cui i protagonisti rischino l’osso del collo. Del Vecchio e Caltagirone paiono muoversi di concerto per arrivare a prendere due piccioni con una fava: assieme a Mediobanca, Generali, da azionisti in entrambi i gruppi quali sono ora. Quanto scritto da Repubblica precisa la situazione: “Con numerosissimi acquisti ripetuti negli anni Caltagirone”, che è vicepresidente delle Generali, “è salito al 5,2% del Leone, diventando così il secondo azionista dopo la stessa Mediobanca che è poco sopra il 13%. In parallelo a lui c’è appunto Del Vecchio, che di Generali controlla il 5% circa e siede in consiglio”. In Generali Caltagirone e Del Vecchio contestano apertamente l’ad Philippe Donnet, difendendo la necessità di preservare l’italianità del gruppo che ritengono minacciata dalla nazionalità francese dell’amministratore, pur essendo a loro volta intenti a scalare proprio l’epicentro del legame finanziario tra l’Italia e il Paese transalpino, Mediobanca.

La realtà dei fatti è che il peso di Mediobanca nel Leone e il suo capitale relazionale la rendono un boccone ambito, e posizionarsi al cuore di Piazzetta Cuccia vorrebbe dire per i due finanzieri guadagnare una rendita di posizione difficilmente scalfibile dagli altri attori in gioco: sicuramente non da Donnet, che vede il suo mandato in scadenza nel 2022 e si trova di fronte a scarse prospettive di riconferma, ma nemmeno da Nagel che non potrà presentare a nome di Mediobanca una lista per il rinnovo del cda del gruppo di Trieste senza tenere in considerazione il parere di chi, oltre che in Generali, pesa anche nel capitale alle sue spalle.

Repubblica sottolinea che la Consob, in caso di convergenze che si renderanno necessarie tra Nagel, Del Vecchio e Caltagirone, tra un anno potrebbe addirittura ravvisare la presenza di soggetti che, sommati, detengono oltre il 25% del capitale di Generali e riconoscere le premesse di un’offerta pubblica d’acquisto. Ipotesi che al momento non ci sentiamo di escludere: se così fosse, Mediobanca diverrebbe la “leva” finanziaria con cui operatori ad alte disponibilità di capitale come Del Vecchio e Caltagirone intendono, col minimo impiego finanziario, conquistare posizione rilevanti nel capitalismo nazionale utilizzando reti di relazione, rapporti consolidati come quelli di Mediobanca e alleanze di capitale. Tutto ciò va chiaramente monitorato: ma ogni spostamento di capitale di magnitudine osservabile nel contesto di Mediobanca prelude necessariamente a un riposizionamento degli equilibri nel capitalismo italiano. E anche un colosso come Generali, in prospettiva, potrebbe essere scalato negli anni a venire.

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